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giovedì 18 aprile 2019

La "lettura teologica" dell'Ultima Cena di Leonardo a cura di Padre Heinrich Pfeiffer

Pubblichiamo una parte del saggio del gesuita, teologo e critico dell'arte tedesco padre Heinrich Pfeiffer alla presentazione del volume Il Volto dei Volti, contenente gli atti dell’undicesimo congresso internazionale della fondazione “Il Volto dei Volti”, nella edizione del 2007.

Padre Pfeiffer analizza l’Ultima Cena di Leonardo e individua nel movimento la conseguenza della Parola: “Tutti sono in movimento e fanno gesti con le mani; solo Gesù e Giuda sono fermi. È evidente che la frase pronunciata da Gesù ha suscitato tutte queste reazioni, così differenti. Questa è la novità di Leonardo: egli mostra l’effetto della parola, non si limita a indicarla.”

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“Uno di voi mi tradirà” è forse la frase più terribile che sia uscita dalla bocca di Gesù. Tutti gli apostoli si domandano: “Sono forse io?”. Solo il vero traditore rimane trincerato nel suo cuore di pietra. Così è interpretata la visione dell’Ultima cena di Leonardo da Vinci da parte degli studiosi dell’arte. Come Leonardo lo dipinge, Gesù sembra esprimere la parola drammatica del tradimento, ma con una doppia espressione, con la donazione di se stesso, e con un dolore intenso e il rifiuto del traditore nell’anima.

Il dipinto enorme: misura più di otto metri in larghezza. Lo spazio del refettorio si apre a una certa altezza e in tutta la sua larghezza con un’illusione prospettica, quasi con un’apertura per lo sguardo verso la reale camera del cenacolo. Parallelamente alla parete, si estende la tavola, dietro la quale sono seduti tutti gli apostoli con Gesù. Solo due di loro si trovano nelle due parti corte della mensa. La tavola e gli apostoli trovano appena il loro spazio in questo ambiente di finzione pittorica.

Tutti sono in movimento e fanno gesti con le mani; solo Gesù e Giuda sono fermi. È evidente che la frase pronunciata da Gesù ha suscitato tutte queste reazioni, così differenti. Questa è la novità di Leonardo: egli mostra l’effetto della parola, non si limita a indicarla. Diversi apostoli, secondo la famosa descrizione di Goethe, sembrano dire con i gesti: “Non sono io, non lo farei mai”, esprimendosi con l’indice alzato, con le mani congiunte sul petto o alzate. Un apostolo pare che veda la scena con la sua immaginazione, imitando la stessa estensione delle braccia, come fa Gesù. Un altro si è alzato appoggiandosi con le mani sulla mensa. Sulla destra, uno sta parlando con il suo compagno.
Chi sono tutti questi apostoli? Possono essere tutti indicati con il loro nome? Con certezza assoluta – contro recenti tentativi di voler introdurre la Maddalena nel Cenacolo di Leonardo – possiamo identificare solo Giuda, Pietro e Giovanni. Che la persona di Giovanni possa essere la Maddalena, è una lettura più che fantasiosa, tale da contraddire tutta l’iconografia cristiana occidentale che ha fissato chiaramente le fattezze e i vestiti del discepolo prediletto di Gesù.

È molto probabile che la figura che stende le braccia – e che, secondo Goethe, sembra vedere già dentro di sé il tradimento – sia Giacomo minore, il “fratello” di Gesù, poiché le sue fattezze sono simili a quelle del Maestro. Chi sono gli altri? In tutta l’iconografia cristiana, conosciamo solo un altro apostolo con fattezze individuali: Andrea, sempre rappresentato con i capelli bianchi, folti e lunghi, e una lunga barba bianca. L’unico che assomiglia a questa iconografia è il secondo apostolo da destra. Per questo motivo, il primo personaggio sulla sinistra, spesso identificato con il fratello di Pietro, non può esserlo.
Quali criteri abbiamo ancora a disposizione per identificare gli altri apostoli? La liturgia presenta quattro di loro in coppie: Simone con Giuda Taddeo e Giacomo minore con Filippo. Queste due coppie possono essere state rappresentate anche da Leonardo: forse la prima persona a sinistra – erroneamente identificata con Andrea – è in realtà Simone zelota, e la seconda sarebbe allora Giuda Taddeo (non Giacomo maggiore, come ha sostenuto la critica). Anche quest’ultimo personaggio ha il volto simile a quello di Cristo. La tradizione dice che proprio questo apostolo abbia portato l’immagine di Cristo ad Abgar, re di Edessa.

L’altra coppia, formata da Giacomo minore e Filippo, si trova più a destra, dall’altra parte rispetto a Gesù, con Filippo dopo Giacomo minore. Questa identificazione dei due apostoli è proposta dalla maggioranza degli studiosi. Ne mancano due: l’apostolo che punta l’indice verso l’alto e quello dopo Filippo che rivolge tutte e due le braccia verso il centro, verso Gesù. Uno dei due deve essere Tommaso, l’altro Giacomo maggiore. Generalmente, l’apostolo che punta il dito verso l’alto viene identificato con Tommaso: possiamo condividere questa soluzione. Per ultimo, quindi, rimane Giacomo maggiore, che è accanto ad Andrea e Matteo. Quest’ultimo, come evangelista, ha raccontato ciò che Leonardo ha dipinto: “E mentre mangiavano Egli disse: “In verità vi dico che uno di voi mi tradirà e mi consegnerà”. Allora tutti furono molto costernati, e uno dopo l’altro gli domandarono: “Sono forse io, Signore?”” (Matteo, 26, 20-22). Per questo motivo Matteo deve trovarsi in una posizione importante, all’estrema destra del tavolo, quasi come la firma dell’autore del racconto. Lui è l’unico apostolo che ha raccontato l’ultima cena e l’istituzione dell’Eucaristia da parte di Gesù.

La composizione dell’ambiente è costruita con grande rigore prospettico. Attraverso le tre aperture sullo sfondo si scorgono un paesaggio verde e il cielo. Lo spazio è così concepito come infinito e vuoto. Il soffitto e le pareti, nella loro semplicità estrema, creano solo una specie di cornice per le dodici figure con Cristo nel centro. Importanti sono le persone, con i loro corpi seminascosti dal tavolo, con i loro gesti e con le espressioni dei loro volti.
Il Cristo è donazione totale, espressa attraverso le due linee diagonali delle braccia aperte che scendono verso il tavolo. Tutta questa donazione è ancora una volta concentrata nella mano sinistra, aperta, che si stacca dalla tovaglia bianca e indica un pezzo di pane sul tavolo. Il gesto è accompagnato dagli occhi di Gesù che guardano nella stessa direzione. La sua mano destra, invece, è presa come da un crampo che si estende su tutte le singole dita, ed esprime l’orrore e il rifiuto istintivo del tradimento di Giuda.
La veste di Cristo è rossa, secondo la tradizione pittorica, e il suo manto è celeste. Questi due colori hanno un significato: il rosso è l’amore, l’azzurro è la contemplazione celeste. Leggiamo così i due gesti delle braccia vestite, e possiamo dire quanto segue: l’amore è tradito, l’autodonazione di Cristo porta la contemplazione celeste verso gli uomini.
Interpretiamo bene la veste verde chiaro di Giacomo minore che stende le braccia come per essere crocefisso: possiamo dire, con la millenaria tradizione cristiana, che il verde indica la speranza, e così anche Leonardo ha voluto significare che solo nella croce c’è speranza per l’umanità, Cristo è la figura centrale ed è messa esteticamente in contatto con il cielo. L’infinito si concretizza in una persona umana, in Gesù di Nazaret. Ancora un altro apostolo è mostrato in contatto con il cielo infinito. L’abbiamo identificato con Tommaso. Si trova dietro la spalla destra di Giacomo minore, e il suo braccio destro con il dito puntato verso l’alto incrocia il braccio destro del “fratello” del Signore. L’altra persona unita in gruppo di tre dalle braccia di Giacomo minore è Filippo, con il suo gesto indimenticabile di donazione del cuore; è vestito con una tunica celeste e un manto color zafferano, il colore della distinzione spirituale secondo un teologo del dodicesimo secolo.

Davanti a questo gruppo di tre si trova il pane indicato dagli occhi e dalla mano sinistra di Gesù. È come se Gesù dicesse loro la parola salvifica: “Questo è il mio corpo”, e non come se stesse pronunciando la terribile frase: “Uno di voi mi tradirà”. È come se i tre apostoli alla sinistra di Gesù avessero compreso qualche cosa dell’insondabile mistero dell’autodonazione del loro maestro nel pane eucaristico. Adesso comprendiamo che il dito alzato di Tommaso rappresenta quasi un’eco della parola di Gesù: “Io sono il pane vivo disceso dal cielo” (Giovanni, 6, 41).
Teniamo bene in mente che la parola espressa dal dipinto come se venisse fuori dalla bocca di Gesù, in rapporto con i tre apostoli raffigurati alla sua sinistra, può essere solo: “Questo è il mio corpo”. Con questa nuova interpretazione, anche la struttura del legame fra i tre ultimi apostoli è da leggere e da descrivere diversamente, e non come risultato dell’annuncio del tradimento di Giuda.

Il personaggio che abbiamo chiamato Giacomo maggiore è vestito di contemplazione e di speranza, di celeste e di verde. Egli rivolge le due mani verso Gesù, mentre il suo volto e il suo corpo sono girati verso i due compagni, Andrea e Matteo. Quest’ultimo unisce il pollice e l’indice della mano sinistra come se avesse un’ostia consacrata tra le dita. Colui che abbiamo identificato con Andrea fa con la mano destra il gesto di uno che cerca di spiegarsi meglio, che vuole dare corpo al concetto che sta esprimendo. Il colore della sua veste purtroppo non si è conservato. La veste di Matteo è bianca con ombre celesti; il suo manto è bianco con sfumature di rosa: significa che questo apostolo è vestito di fede amorosa e contemplativa. Tutti e tre sono mostrati come in colloquio, suscitato dalla parola di Gesù che si identifica con il pane eucaristico.

Vediamo la parte sinistra. Il gruppo immediatamente a destra di Gesù, ma a una notevole distanza dalla sua testa, è composto da Giuda, Pietro e Giovanni. È chiaro che Pietro ha ancora la parola del tradimento nell’orecchio e che sta domandando a Giovanni di rivolgersi a Gesù per sapere da lui chi lo tradirà; questo con l’intenzione di ammazzare subito la persona traditrice con il coltello che si trova nella sua mano.
Che Giuda, inserito in questo gruppo, formi un blocco triangolare contro Gesù, è stato già osservato da sempre. Bartolomeo, vicino alla punta del coltello di Pietro, alza le mani, in pieno rifiuto della parola del tradimento. Così è stato detto, ma è vero? Il coltello può servire anche a ricordare all’osservatore che Bartolomeo morirà scorticato, martire per il suo Signore. È possibile, invece, che il suo gesto sia in realtà un gesto di preghiera con le due mani alzate.

Quanto a Giuda Taddeo, non accompagna il gesto di Pietro, come molti dicono: sembra che egli voglia toccare la spalla di Pietro per poter parlare con lui e fargli capire che Gesù, in questo momento, si sta donando nell’Eucaristia. Giuda Taddeo non ha alcuna espressione di orrore sul volto; i gesti delle sue mani sono leggeri e pacati; egli guarda con attenzione in direzione di Gesù. Lo stesso fa l’apostolo che apre il gruppo e che io ho identificato con Simone, vestito con i colori della contemplazione e della speranza.
A quale parola unificatrice di tutti i gesti ha pensato Leonardo: all’annuncio del tradimento o, piuttosto, alla parola che istituisce il sacramento dell’Eucaristia? Come già osservato, gli occhi di Gesù e la sua mano aperta sono rivolti verso uno dei pani sul tavolo. Allora anche la sua bocca con la parola espressa deve riferirsi al pane e non al traditore. Con la parola: “Questo è il mio corpo”, Gesù ha creato la Chiesa. Con questa parola Gesù ha creato l’unità della Chiesa, ha fatto della Chiesa il suo corpo. Solo Giuda rimane fuori da questa unità. Perciò gli apostoli si uniscono con Gesù e questa unione si realizza sempre in gruppi di tre. Perciò i gesti, sebbene così vari, uniscono il gruppo e non creano separazioni.

La parola dell’annuncio del tradimento è da considerare soltanto come tema secondario, nell’intenzione dell’Ultima cena di Leonardo da Vinci. Tale annuncio riecheggia solo in due dei personaggi raffigurati: in Giuda e in Pietro. Già Giovanni, il terzo di questo gruppo, inchinandosi verso Pietro forma assieme a lui una figura dì consonanza. La parola di Gesù non trasforma solo il pane nel suo corpo, ma per la fede dei suoi apostoli anche nel corpo sociale di tutti i presenti, ad eccezione di Giuda. In questo corpo sociale le funzioni delle singole membra sono differenti: un apostolo corregge l’altro con molto tatto, come Giuda Taddeo fa qui con Pietro; uno fa riecheggiare le parole appena pronunciate da Gesù, come fa Tommaso con il dito puntato verso il cielo; uno entra in dialogo con un compagno, come Andrea fa con Matteo.
Le braccia di Gesù indicano ancora un altro contenuto universale: accennano al giudizio finale della storia. Il braccio del rifiuto esprime la condanna, la mano della donazione – che indica il pane sul tavolo – annuncia il pegno della futura cena nel regno celeste. Tutto si decide qui: essere partecipe del corpo di Gesù o rimanere escluso da tale dono come Giuda. Leonardo non mostra Gesù mentre porge un boccone al traditore, come fa l’iconografia medievale; non raffigura Giuda mentre riceve in maniera sacrilega la comunione dalle mani di Gesù, ma lo esclude dipingendolo come un blocco erratico, incapace di sciogliersi e di entrare in comunione con gli altri commensali.
Quali contenuti, quale messaggio religioso cristiano abbiamo potuto trovare in un’opera che pure è in rovina! Non possiamo più ammirare la sua bellezza estetica. Troppe parti della superficie pittorica sono andate perdute. I restauri più sofisticati non possono più cambiare questa triste situazione. Leonardo ha pensato di poter creare sulla parete una superficie su cui dipingere a tempera. Fu un grande errore. Già vent’anni dopo aver portato a termine l’opera, il colore cominciò a staccarsi.

Sebbene l’Ultima cena di Leonardo si sia andata sempre più rovinando, il suo influsso sull’iconografia posteriore è stato definitivo. Nessun pittore, in seguito, si è potuto liberare totalmente da questo modello, imitandone almeno qualche dettaglio. La composizione di Leonardo è talmente perfetta che essa ci parla anche attraverso la rovina del suo aspetto materiale. È la prima volta in tutta la storia che un pittore riesce a unire un gruppo di persone intorno al loro maestro in un’unità che non ha niente di conformità, ma rispetta reazioni distinte e differenziate.

Dio rispetta la libertà degli uomini, anche quando l’uomo sceglie il male. Leonardo mostra come la parola di Gesù crea il suo corpo sociale, che sta formandosi proprio in questo momento con una diversa eco, ma con l’eccezione di Giuda Iscariota. Questa unione che si sta creando è tanto forte nella composizione di Leonardo da rimanere visibile anche attraverso il deteriorarsi del dipinto. Anche nello stato in cui l’Ultima cena si trova oggi, si genera in noi la visione dell’unità viva del corpo che è la Chiesa, che inizia nel cenacolo con il dono di Cristo ai suoi apostoli.