di Enzo Bianchi
Nella Costituzione apostolica Episcopalis communio (= EC) di papa Francesco sul sinodo dei vescovi (18 settembre 2018) il termine “discernimento” è attestato solo due volte.
Al paragrafo 7, dopo aver indicato l’importanza del processo consultivo sempre operato in tutta la storia della chiesa per conoscere il parere dei pastori e dei fedeli su ciò che riguarda il bene della chiesa stessa, si mette in rilievo nella celebrazione di ogni assemblea sinodale l’operazione del “discernimento da parte dei pastori appositamente designati, uniti nella ricerca di un consenso che scaturisce non da logiche umane, ma dalla comune obbedienza allo spirito di Cristo”. Al paragrafo 8 si ribadisce che ogni assemblea sinodale “è un momento importante di ascolto comunitario di ciò che lo Spirito santo ‘dice alle chiese’ (Ap 2,7). È perciò necessario che, nel corso dei lavori sinodali, ricevano particolare risalto le celebrazioni liturgiche e le altre forme di preghiera corale, per invocare sui membri dell’assemblea il dono del discernimento e della concordia”.
Nonostante queste due uniche attestazioni del termine, in realtà tutto il documento ha come punto centrale l’operazione del discernimento ecclesiale, essenziale per ogni cammino e ogni decisione nella chiesa del Signore. Anche se la chiesa ha sempre praticato l’operazione del discernimento, e la preghiera dell’Adsumus che apre e chiude ogni assemblea sinodale ne dà testimonianza, è vero che oggi siamo chiamati a essere più attenti e quindi invitati a un più profondo ed esteso esercizio del discernimento ecclesiale, comunitario.
Papa Francesco ha richiamato e richiama a più riprese la chiesa tutta e le diverse comunità cristiane a questo esercizio del discernimento ecclesiale, perché la vita della chiesa deve certamente scaturire dall’obbedienza alla parola di Dio e al mistero eucaristico celebrato, ma deve anche essere pensata, progettata, delineata e decisa da tutto il popolo di Dio in cammino verso il Regno. Si tratta di un cammino faticoso e difficile, che richiederà molto tempo per essere assunto dalla chiesa nel suo vivere quotidiano, ma è decisivo per il futuro delle comunità cristiane.
La chiesa vive, cresce e si rinnova grazie al discernimento. Se è assodato che il discernimento deve essere innanzitutto esercitato dai pastori (anche se a volte si ha la sensazione di pastori non muniti di questo dono e dunque ci si chiede quali siano stati i criteri della loro elezione!), alla formazione del discernimento devono contribuire tutti i fedeli, muniti del dono dello Spirito santo e del sensus fidei che abita il popolo di Dio rendendolo “infallibile ‘in credendo’” (Evangelii gaudium 119).
La dinamica della forma della chiesa – “tutti, alcuni, uno, il primo” – è resa feconda proprio dall’esercizio del discernimento da parte di ciascuno, secondo il grado di fede ricevuto e secondo il posto da lui/lei occupato nella comunità cristiana. E se normalmente le assemblee sinodali sono consultive e possono essere deliberanti solo per volontà dell’autorità suprema, il papa successore di Pietro e vescovo di Roma, la formazione del parere deve coinvolgere tutti.
L’adagio “Quod omnes tangit, ab omnibus tractari et approbari debet” (“Ciò che riguarda tutti, da tutti deve essere discusso e approvato”) resta un’acquisizione decisiva nella storia della chiesa.
Per questo soprattutto nei sinodi di oriente, ma pure in quelli di occidente, non sono presenti solo vescovi, ma anche teologi, spirituali, esperti e testimoni che, nel dialogo, nell’ascolto reciproco e nel confronto, operano il discernimento, lasciando la decisione ultima all’autorità suprema. “Il consensus ecclesiae”, infatti, “non è dato dal computo dei voti ma è frutto dell’azione dello Spirito, anima dell’unica chiesa di Cristo” (EC 7). Ma cosa richiede il discernimento comunitario-ecclesiale?
Innanzitutto che il processo coinvolga tutti, dai semplici fedeli nelle chiese locali, uomini e donne, ai pastori e all’autorità del sinodo stesso. Il discernimento ecclesiale può solo essere “sinodale”, ossia un processo che si attua camminando insieme. Questo spiega bene perché discernimento ecclesiale e sinodalità si accompagnino sempre nell’Esortazione di Francesco. È la stessa Scrittura che ci suggerisce il cammino del discernimento comunitario, soprattutto negli Atti degli apostoli, quando la chiesa nascente, munita del dono del Risorto, lo Spirito santo, è chiamata a operare scelte e a prendere decisioni di fronte ai problemi che la vita della comunità pone come urgenze da risolvere insieme. Basterebbe evocare la scelta di un discepolo che ricostituisca il gruppo dei Dodici (oi dódeka) istituito da Gesù, mutilato a causa del tradimento di Giuda (cf. At 1,15-26).
O si pensi ai conflitti nella chiesa di Gerusalemme riguardo al servizio delle tavole e alla necessità di istituire un nuovo ministero, quello dei sette (cf. At 6,1-6). O ancora, al discernimento che spetta a Pietro riguardo all’ammissione delle genti nella chiesa (cf. At 10) e all’aspro confronto sulla necessità della circoncisione dei pagani nel corso del sinodo di Gerusalemme (cf. At 15,1-35).
Che cosa ci suggeriscono queste testimonianze? Che per l’operazione del discernimento comunitario è in primo luogo necessaria la lettura del problema, dell’urgenza e l’interpretazione degli eventi che richiedono valutazione e scelte di atteggiamenti. Non solo i conflitti non sono eliminabili dalla vita ecclesiale, ma sono un’occasione di approfondimento dei temi della vita cristiana e di crescita, di maggior adesione alla volontà del Signore della chiesa. Nella chiesa ognuno deve avere la possibilità della presa della parola, di porre domande, di dare suggerimenti. Soprattutto oggi l’appartenenza alla chiesa si misura con la partecipazione alla sua vita e per questo la presa della parola s’impone come manifestazione fondamentale di soggettività responsabile e pensante. L’ascolto reciproco è dunque il primo passo verso l’esercizio del discernimento comunitario.
Dall’ascolto occorre passare all’interpretazione, in cui ciascuno con i propri doni legge, assume e aiuta una ricezione comunitaria dell’urgenza, della domanda, della scelta da operare. Soprattutto in questa fase del processo, il sensus fidei di ognuno deve essere messo all’opera, in modo che ciò che è stato detto e manifestato sia posto a confronto con il Vangelo, con la parola di Dio, con la grande tradizione della chiesa e quindi con tutta l’esperienza cristiana di cui si è capaci e portatori.
Qui non può certo mancare la preghiera come invocazione dello Spirito santo per il dono del discernimento ma anche come obbedienza alla volontà del Signore. Preghiera nutrita anche dal silenzio che è eloquente e va dunque ascoltato per discernere tra la Parola e le parole, tra le parole di ciascuno e le parole della comunità, della chiesa, dell’assemblea.
Solo a partire da questi elementi preliminari ci si esprimerà in vista della decisione, che sarà certamente formulata dalle autorità ecclesiali (vescovo, papa), ma, grazie al discernimento comunitario, sarà una decisione alla quale ognuno sentirà di aver contribuito, disponendosi quindi ad accoglierla e a obbedirla come parola della chiesa.
L’ultimo sinodo dei vescovi celebrato nell’ottobre del 2018 ha messo in movimento questo esercizio del discernimento comunitario, facendo sì che il sinodo stesso avesse il suo punto di partenza nelle chiese locali, nelle diverse comunità cristiane, e indicando che, al suo termine, il processo avrebbe dovuto raggiungere nuovamente il popolo di Dio: il suo punto di arrivo è la vita quotidiana delle chiese locali.
Ma certo il cammino per l’assunzione della pratica del discernimento comunitario è ancora molto lungo e per ora non può dirsi attestato!
Dossier - EPISCOPALIS COMMUNIO. IL VOLTO SINODALE DELLA CHIESA)