Il clericalismo patriarcale e la riscoperta del padre
Il Messaggio nella "Lettera al popolo di Dio". Francesco indica la strada per la Chiesa-famiglia
Rembrandt, Il ritorno del figliol prodigo
«Abbiamo trascurato e abbandonato i piccoli» è l’amara constatazione che fa papa Francesco nel documento che ha scritto il 20 agosto scorso e che ha titolato 'Lettera del Santo Padre al Popolo di Dio'. Uno stile inusuale per un pontefice che, tradizionalmente, formula dottrine o elabora un pensiero teologico a guida e norma dei fedeli cattolici. Il genere letterario richiama una prassi davvero popolare della Chiesa: quella delle origini. Autori di Lettere furono gli Apostoli che usarono questo strumento tanto familiare per 'edificare' le chiese giovinette che loro stessi avevano dato alla luce. Non a caso, dunque, Francesco ha scritto al popolo di Dio una lettera: voleva esprimere la sua intimità con tutti coloro che ne fanno parte, la sua fiducia e amicizia in un momento di grande bisogno. «Abbiamo trascurato i nostri bambini»: una parola che suona della dolcezza e la desolazione che un padre o un nonno potrebbero avvisare dinanzi al dolore e alla sventura che, malvagia e inesorabile, si abbatta sui propri figli o nipoti. Una tristezza che evoca scene di dopoguerra quando si aprivano gli occhi sulle atrocità subite dai bambini, rimaste come cicatrici di memoria sulle loro membra ancora e sempre troppo ignare, troppo morbide, troppo sacre. O scene di miseria e di fame, quando ci si trovava a dover alienare i propri figli a qualcun altro, a chi potesse dargli il necessario, perdendoli, talvolta, completamente di vista. Abbandonandoli, appunto.
Gli occhi della memoria degli italiani più grandi rivedono una solenne Sofia Loren nelle vesti di Filomena Marturano che costringe l’uomo che ama a riconoscere tutti i figli suoi, non solo quello che aveva avuto da lui. A restituire, insomma, il diritto – violato – di ogni figlio di avere un padre a prescindere dal Dna. Le immagini di tanto cinema neorealista italiano, quelle di Mamma Roma , ad esempio, un film di Pier Paolo Pasolini interpretato da una struggente Anna Magnani. Costretta a prostituirsi, abbandonata e sfruttata dal suo uomo, aveva lasciato nel paese d’origine suo figlio, perché non capisse il mestiere di sua madre e non vedesse quanti sacrifici faceva, quante umiliazioni dovesse subire per riuscire a procurargli una casa e un futuro decenti. E quando, all’età di sedici anni, finalmente lo porta a Roma con sé, piena di speranza e d’intenzione di dargli quella dignità che a se stessa aveva dovuto negare, era ormai troppo tardi e a completare l’opera dell’abbandono ci pensa la Città, con la sua anima impura. Quelle di Francesco sono parole che sorgono da un senso d’impotenza insopportabile, poiché riguardano i bambini, quanto di più caro ci sia al cuore del mondo. E di Dio.
Uscite dalla bocca del Papa mostrano il suo cuore di padre, non sempre scontato in un uomo e neppure in un Vescovo di Roma; l’identità petrina è stata, infatti, declinata più spesso come autorità e magistero che come paternità in senso stretto, a dispetto del nome: 'Santo Padre'. E giungono in un tempo in cui, nella civiltà occidentale, si è consumata la morte del padre: dalla 'morte di Dio' alla fine della figura paterna, fenomeno già denunciato agli inizi del secolo scorso. Una figura essenziale che Luigi Zoja – uno dei più illustri psicoanalisti e saggisti di questi ultimi anni – considera la più grande costruzione del mondo occidentale, realizzata dai Greci, e che ha permesso all’Occidente di darsi una struttura culturale solidissima con cui è riuscito a conquistare il mondo. Nel suo prezioso libro: Il gesto di Ettore, Zoja ne denuncia la scomparsa iniziata nel Novecento e portata a pieno compimento negli ultimi decenni. Una mancanza che ha lasciato un mondo unicamente di figlifratelli senza il legame e l’autorevolezza di un padre a legittimare il diritto-dovere di ognuno di condividere la casa, la mensa, la fraternità; a indicare la giustizia, la solidarietà e la pace. Orfani di padre, i figli del Novecento si fecero la guerra tra di loro per cinquant’anni; privati e incapaci di paternità, quei fratelli di ieri non reggono alla prova dei figli di oggi: alcuni giungono persino a ucciderli (insieme alle loro madri) prima di suicidarsi; molti altri rinunciano a essere per loro la stella polare, la direzione, la via dell’anima, e non soltanto corpo e denaro. È a questi ultimi che si rivolge Antonio Polito in un lucido libro il cui titolo è una parenesi: Riprendiamoci i nostri figli. Quei figli che non patiscono ormai più del complesso di Edipo, ma sono malati di ciò che Massimo Recalcati ha definito Il complesso di Telemaco . Una patologia rovesciata dove i Telemaco, che sono i nostri figli, piuttosto di ribellarsi – a un padre che non c’è! – si mettono alla ricerca disperata di lui, ché riporti attenzione, distinzione e relazione tra i fratelli; che doni un nome e una vocazione, un senso e un progetto di famiglia, di comunità e di politica.
Figli di un padre scomparso sono anche quei sacerdoti pedofili, nutriti solo di clericalismo: «Un modo anomalo di intendere l’autorità nella Chiesa – molto comune in numerose comunità nelle quali si sono verificati comportamenti di abuso sessuale, di potere e di coscienza – è il clericalismo, quell’atteggiamento che non solo annulla la personalità dei cristiani, ma tende anche a sminuire e a sottovalutare la grazia battesimale dello Spirito Santo». Questa l’analisi di papa Francesco. Il 'patriarcato' del clericalismo si rivela il vero nemico della paternità nella Chiesa. E qui sono le donne, le sorelle e le madri a dover denunciare la latitanza e la violenza dei mancati padri. Il loro obbrobrio sulla pelle dei figli.
Oggi ritroviamo un Papa padre. Si rivela con evidenza in questa Lettera al 'popolo di Dio' che porta una supplica forte e accorata: quella di assumere tutti insieme la responsabilità della salus della famiglia-Chiesa: «È sempre bene ricordare che il Signore nella storia della salvezza ha salvato un popolo. Non esiste piena identità senza appartenenza a un popolo. Perciò nessuno si salva da solo come individuo isolato, ma Dio ci attrae tenendo conto della complessa trama di relazioni interpersonali che si stabiliscono nella Comunità umana».
Le sue parole sono quelle di un genitore abbattuto e addolorato, quasi sconfitto, che piange per le ferite dei suoi piccoli. Un padre di cui si avverte persino la vergogna di quella sofferenza, lo smacco di non aver potuto 'passare' da loro quel calice amaro e di non averlo bevuto egli stesso. Un linguaggio autentico che rimette vita nella Chiesa, la quale ritrova il suo sapore di casa, di famiglia, di corresponsabilità, di reciprocità, di carità degli uni verso gli altri, di fedeltà dei padri verso i figli, di legami indissolubili e liberi, doverosi e gratuiti, allo stesso tempo. Di vera paternità. Una Chiesa che mostra all’Occidente il ritorno del padre. Non più 'padrone', non più giudice di condanna e di morte, ma Servo e Salvatore, Diacono come Gesù e come Marta di Betania, fondamento su cui i figli potranno costruire, riconciliati, il futuro. Un padre che non si dimette quando pensa o capisce di aver sbagliato, ma chiede perdono.
Se la Chiesa è questa, la Chiesa è viva. E può rigenerarsi in ogni suo membro, in ogni sua parte. Preziosa è la coscienza di chi ricorda che: «Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme» (1Cor 12,26). Un’aria buona, un odore di pane, l’umiltà e l’amore che fa sentire tutti figli legittimi di questa famiglia universale. Che ascolta, che dialoga, che chiede scusa, che discute, che corregge e si corregge, che non scarta e non scomunica, che si sente in debito con tutti e ha bisogno del credito di ognuno. Una Chiesa che non si nasconde dietro nessuna 'immunità', che versa lacrime sui propri delitti, che si riconosce umana e fragile, che digiuna e fa penitenza. Per questa famiglia il Papa invita a pregare. Come un buon padre sa che la coralità darà futuro e salvezza. Là dove i migranti vengono trattati non da figli, ma da figliastri, ci vuole questa Chiesa materna e paterna. Ci fa sentire vivi e felici. Perché la madre è la ragione evidente della fraternità; mentre il padre ne stabilisce il diritto, dopo aver diretto la discussione tra i due fratelli litiganti. Nessuno dovrà restare senza la sua stanza nel mondo. Qualcuno ha detto che la Chiesa non cerca di 'fare notizia', ma di portare una 'buona notizia'. E questa lo è davvero.
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