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martedì 25 settembre 2018

VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE FRANCESCO IN LITUANIA, LETTONIA ED ESTONIA - TALLINN - Incontro Autorità: "Il benessere non è sempre sinonimo di vivere bene." - Incontro Ecumenico con i giovani: "Accogliamo insieme quella novità che Dio porta nella nostra vita... Il Signore ci sorprende perché la vita ci sorprende sempre. Andiamo avanti, incontro a queste sorprese." (cronaca, foto, testi e video)


VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
IN LITUANIA, LETTONIA ED ESTONIA
22-25 SETTEMBRE 2018


Martedì, 25 settembre 2018
VILNIUS - TALLINN
8:15 Cerimonia di congedo nell’Aeroporto internazionale di Vilnius
8:30 Partenza in aereo dall’Aeroporto internazionale di Vilnius per Tallinn
9:50 Arrivo all’Aeroporto internazionale di Tallinn
Accoglienza ufficiale
10:15 Cerimonia di benvenuto nel piazzale antistante il Palazzo Presidenziale
10:30 Visita di cortesia al Presidente nel Palazzo Presidenziale
11:00 Incontro con le Autorità civili, la Società civile e il Corpo Diplomatico nel Giardino delle Rose del Palazzo Presidenziale
11:50 Incontro ecumenico con i giovani nella Kaarli Lutheran Church


 





Questa mattina prima di lasciare la nunziatura di Vilnius il Papa ha voluto donare alla rappresentanza pontificia, una scultura in legno del “Cristo pensoso” realizzata dallo scultore lituano Andriaus Kaziukonio, un’opera che appartiene alla classica iconografia della devozione popolare baltica. All’aeroporto di Vilnius c’è stata la cerimonia di congedo dalla Lituania.

Sull’aereo che lo stava portando in Estonia, ultima tappa del suo viaggio apostolico nei Paesi Baltici, il Papa ha inviato due telegrammi ai Presidente di Lituania e Lettonia nei quali ha assicurato ai due Paesi ogni benedizione di Dio di pace e di gioia.

Lasciata Vilnius, capitale della Lituania all’80% cattolica, è volato a Tallinn, capitale dello Stato meno religioso della regione, con oltre il 70% di non credenti, che ospita la più piccola comunità cattolica dei Paesi visitati dal Papa. Appena 6000 anime. Anche per questo ad accoglierlo non ci sono state le folle trovate anche in Lettonia. Ma nella città, battuta dal vento freddo del Baltico, si registra attesa e curiosità per l’illustre ospite venuto da Roma.

All’Aeroporto internazionale di Tallinn Francesco è stato accolto dalla Presidente Dalia Grybauskaité nell’area riservata al cerimoniale dove è stata allestita la sala per un incontro di alcuni minuti. Erano comunque presenti circa 200 volontari che hanno eseguito un canto. Due di loro hanno regalato al Papa un dono commemorativo della visita. 

Il messaggio di Papa Francesco sul libro d’onore nel palazzo presidenziale di Tallinn in Estonia



INCONTRO CON LE AUTORITÀ CIVILI, LA SOCIETÀ CIVILE E IL CORPO DIPLOMATICO
Giardino delle Rose del Palazzo Presidenziale a Tallinn (Estonia) 

Per prima prende la parola la presidente della Repubblica di Estonia, Kersti Kaljulaid. “Con la sua autorità morale e politica, la Santa Sede è stata una fonte di potere spirituale per le nazioni europee tenute ostaggio del comunismo”, ha sottolineato nel suo intervento. “Ha dato loro ispirazione, affinché potessero rimpadronirsi della loro libertà, e ha richiamato le parole dell’Apostolo Paolo ai Romani: 'Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene'”.

Il capo dello Stato estone ha ricordato lo uno scambio che avvenne in Vaticano circa cento anni fa, durante la Guerra di Indipendenza dell’Estonia: “mentre il Paese faceva pressione sulla comunità internazionale per ottenere il riconoscimento, il diplomatico estone Kaarel Robert Pusta ebbe un incontro con il cardinale segretario di Stato della Santa Sede, Pietro Gasparri, il quale, tra le altre cose, volle sapere dei rapporti Chiesa – Stato. Di fronte alla risposta di Pusta, che vi era una totale libertà religiosa nella nuova Repubblica, il cardinale replicò cordialmente: ‘Allora dobbiamo essere amici’”. Un’amicizia che “è durata resistendo alle prove anche dei periodi più difficili. La Santa Sede non ha mai riconosciuto l’occupazione dell’Estonia”. E oggi che l’Estonia è libera ed è rimasta fedele alla democrazia, la presidente sottolinea che è importante ricordare un verso di un poema di Giovanni Paolo II che si recò in visita in Estonia 25 anni fa: “La libertà deve essere continuamente conquistata, non si può meramente possedere. Viene come un dono, ma può essere mantenuta solo mediante la battaglia”. Centrale quindi per la presidente, l'"essere attenti a salvaguardare la nostra libertà e i diritti umani. Se non lo siamo - avvisa - potremmo ottenere qualche giorno di lieve spensieratezza, ma erediteremo un futuro carico di preoccupazioni".

Il testo integrale del discorso del Papa

Signora Presidente,
Membri del Governo e Autorità,
Distinti Membri del Corpo Diplomatico,
Eccellenze, Signore e Signori,

Sono molto felice di essere tra voi, qui a Tallinn, la capitale più settentrionale che il Signore mi ha dato di visitare. La ringrazio, Signora Presidente, per le Sue parole di benvenuto e per l’opportunità di incontrare i rappresentanti di questo popolo dell’Estonia. So che tra voi c’è anche una delegazione dei settori della società civile e del mondo della cultura che mi permette di esprimere la mia intenzione di conoscere un po’ di più la vostra cultura, specialmente quella capacità di resilienza che vi ha permesso di ricominciare di fronte a tante situazioni di avversità.

Da secoli queste terre sono chiamate “Terra di Maria”, Maarjamaa. Un nome che non solo appartiene alla vostra storia, ma fa parte della vostra cultura. Pensare a Maria evoca in me due parole: memoria e fecondità. Lei è la donna della memoria, che custodisce tutto ciò che vive, come un tesoro, nel suo cuore (Lc 2,19); ed è la madre feconda che genera la vita di suo Figlio. Ecco perché mi piacerebbe pensare all’Estonia come terra di memoria e di fecondità.

Terra di memoria

Il vostro popolo ha dovuto sopportare in diversi periodi storici duri momenti di sofferenza e tribolazione. Lotte per la libertà e l’indipendenza, che sono sempre state messe in discussione o minacciate. Tuttavia, negli ultimi poco più di 25 anni – in cui siete rientrati a pieno titolo nella famiglia delle nazioni – la società estone ha compiuto “passi da gigante” e il vostro Paese, pur essendo piccolo, si trova tra i primi per l’indice di sviluppo umano, per la sua capacità di innovazione, oltre a dimostrare un alto livello riguardo a libertà di stampa, democrazia e libertà politica. Inoltre avete rafforzato i legami di cooperazione e amicizia con diversi Paesi. Considerando il vostro passato e il vostro presente, troviamo motivi per guardare al futuro con speranza di fronte alle nuove sfide che vi si presentano. Essere terra della memoria significa saper ricordare che il posto che avete raggiunto oggi è dovuto allo sforzo, al lavoro, allo spirito e alla fede dei vostri padri. Coltivare la memoria riconoscente permette di identificare tutti i risultati di cui oggi godete con una storia di uomini e donne che hanno combattuto per rendere possibile questa libertà, e che a sua volta vi chiama a rendere loro omaggio aprendo strade per coloro che verranno dopo.

Terra di fecondità

Come ho sottolineato all’inizio del mio ministero di Vescovo di Roma, «l’umanità vive in questo momento una svolta storica che possiamo vedere nei progressi che si producono in diversi campi. Si devono lodare i successi che contribuiscono al benessere delle persone» (Esort. ap, Evangelii gaudium, 52); tuttavia, occorre sempre ricordare che il benessere non è sempre sinonimo di vivere bene.

Uno dei fenomeni che possiamo osservare nelle nostre società tecnocratiche è la perdita del senso della vita, della gioia di vivere e, quindi, uno spegnersi lento e silenzioso della capacità di meraviglia, che spesso immerge la gente in una fatica esistenziale. La consapevolezza di appartenere e di lottare per gli altri, di essere radicati in un popolo, in una cultura, in una famiglia può andare perduta a poco a poco privando, soprattutto i più giovani, di radici a partire dalle quali costruire il proprio presente e il proprio futuro, perché li si priva della capacità di sognare, di rischiare, di creare. Mettere tutta la fiducia nel progresso tecnologico come unica via possibile di sviluppo può causare la perdita della capacità di creare legami interpersonali, intergenerazionali e interculturali, vale a dire di quel tessuto vitale così importante per sentirci parte l’uno dell’altro e partecipi di un progetto comune nel senso più ampio del termine. Di conseguenza, una delle responsabilità più rilevanti che abbiamo quanti assumiamo un incarico sociale, politico, educativo, religioso sta proprio nel modo in cui diventiamo artigiani di legami.

Una terra feconda richiede scenari a partire dai quali radicare e creare una rete vitale in grado di far sì che i membri delle comunità si sentano “a casa”. Non c’è peggior alienazione che sperimentare di non avere radici, di non appartenere a nessuno. Una terra sarà feconda, un popolo darà frutti e sarà in grado di generare futuro solo nella misura in cui dà vita a relazioni di appartenenza tra i suoi membri, nella misura in cui crea legami di integrazione tra le generazioni e le diverse comunità che lo compongono; e anche nella misura in cui rompe le spirali che annebbiano i sensi, allontanandoci sempre gli uni dagli altri. In questo sforzo, cari amici, voglio assicurarvi che potete sempre contare sul sostegno e sull’aiuto della Chiesa Cattolica, una piccola comunità tra di voi, ma con tanta voglia di contribuire alla fecondità di questa terra.

Signora Presidente, Signore e Signori, vi ringrazio ancora per l’accoglienza e l’ospitalità. Il Signore benedica voi e l’amato popolo estone. In modo speciale, benedica gli anziani e i giovani affinché, conservando la memoria e facendosi carico di essa, facciano di questa terra un modello di fecondità. Grazie.
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INCONTRO ECUMENICO CON I GIOVANI
DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Kaarli Lutheran Church a Tallinn (Estonia) 









Il Papa è arrivato nella Kaarli Lutheran Church di Tallin per l’incontro ecumenico con i giovani. Al suo arrivo in auto, è stato accolto nel piazzale antistante dall’arcivescovo evangelico Urmaas Viilma che gli dà il benvenuto. Sono presenti anche il vescovo francese Philippe Jourdan, l’amministratore apostolico nel Paese, e altri rappresentanti delle diverse confessioni del Paese.

Nell’atrio un gruppo di bambini di diverse scuole cristiane hanno offerto dei fiori ed altri doni al Papa mentre eseguivano un canto. Poi Francesco è entrato in processione insieme all’arcivescovo luterano, al pastore della Chiesa di San Carlo e all’amministratore apostolico di Tallinn. 
I ragazzi che affollavano la chiesa, muniti degli immancabili telefonini per i selfie, lo hanno accolto con un fragoroso e prolungato abbraccio. 

Dopo le parole di benvenuto di due ragazzi, uno cattolico e uno luterano, l’esecuzione di canti, un indirizzo di saluto dell’arcivescovo luterano e alcune brevi testimonianze di un rappresentante luterano, di un ortodosso estone e di un cattolico, Francesco pronuncia il suo discorso. 

Al termine dell’incontro, dopo il canto finale, il breve saluto del presidente del Consiglio delle Chiese dell’Estonia e le parole di ringraziamento dell’amministratore apostolico di Tallinn, il Papa si congeda dai 10 leader religiosi presenti, saluta i membri del comitato organizzatore e si trasferisce in auto al convento delle suore brigidine a Pirita, per il pranzo con i membri del seguito papale.

Il testo integrale del discorso di Papa Francesco

Cari giovani,

grazie per la vostra calorosa accoglienza, per i vostri canti e per le testimonianze di Lisbel, Tauri e Mirko. Sono grato per le gentili e fraterne parole dell’Arcivescovo della Chiesa Evangelica Luterana di Estonia, Urmas Viilma, come pure per la presenza del Presidente del Consiglio delle Chiese dell’Estonia, l’Arcivescovo Andres Põder, del Vescovo Philippe Jourdan, Amministratore Apostolico in Estonia, e degli altri rappresentanti delle diverse confessioni cristiane presenti nel Paese. Sono grato anche della presenza della Signora Presidente della Repubblica.

È sempre bello riunirci, condividere testimonianze di vita, esprimere quello che pensiamo e vogliamo; ed è molto bello stare insieme, noi che crediamo in Gesù Cristo. Questi incontri realizzano il sogno di Gesù nell’Ultima Cena: «Che tutti siano una sola cosa, […] perché il mondo creda» (Gv 17,21). Se ci sforziamo di vederci come pellegrini che fanno il cammino insieme, impareremo ad aprire il cuore con fiducia al compagno di strada senza sospetti, senza diffidenze, guardando solo a ciò che realmente cerchiamo: la pace davanti al volto dell’unico Dio. E siccome la pace è artigianale, aver fiducia negli altri è pure qualcosa di artigianale, è fonte di felicità: «Beati gli operatori di pace» (Mt 5,9). E questa strada, questo cammino non lo facciamo solo con i credenti, ma con tutti. Tutti hanno qualcosa da dirci. A tutti abbiamo qualcosa da dire.

Il grande dipinto che si trova nell’abside di questa chiesa contiene una frase del Vangelo di San Matteo: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro» (Mt 11,28). Voi, giovani cristiani, potete identificarvi con alcuni elementi di questo brano del Vangelo.

Nelle narrazioni che precedono, Matteo ci dice che Gesù sta accumulando delusioni. Prima si lamenta perché sembra che a quelli a cui si rivolge non vada bene niente (cfr Mt 11,16-19). A voi giovani capita spesso che gli adulti intorno a voi non sanno quello che vogliono o si aspettano da voi; o a volte, quando vi vedono molto felici, diffidano; e se vi vedono angosciati, relativizzano quello che vi succede. Nella consultazione prima del Sinodo, che celebreremo a breve e in cui rifletteremo sui giovani, molti di voi chiedono che qualcuno vi accompagni e vi capisca senza giudicare e sappia ascoltarvi, come pure rispondere ai vostri interrogativi (cfr Sinodo dedicato ai giovani, Instrumentum laboris, 132). Le nostre Chiese cristiane – e oserei dire ogni processo religioso strutturato istituzionalmente – a volte si portano dietro atteggiamenti nei quali è stato più facile per noi parlare, consigliare, proporre dalla nostra esperienza, piuttosto che ascoltare, piuttosto che lasciarsi interrogare e illuminare da ciò che voi vivete. Tante volte le comunità cristiane si chiudono, senza accorgersene, e non ascoltano le vostre inquietudini. Sappiamo che voi volete e vi aspettate «di essere accompagnati non da un giudice inflessibile, né da un genitore timoroso e iperprotettivo che genera dipendenza, ma da qualcuno che non ha timore della propria debolezza e sa far risplendere il tesoro che, come vaso di creta, custodisce al proprio interno (cfr 2 Cor 4,7)» (ibid., 142). Oggi qui voglio dirvi che vogliamo piangere con voi se state piangendo, accompagnare con i nostri applausi e le nostre risate le vostre gioie, aiutarvi a vivere la sequela del Signore. Voi, ragazzi e ragazze, giovani, sappiate questo: quando una comunità cristiana è veramente cristiana non fa proselitismo. Soltanto ascolta, accoglie, accompagna e cammina; ma non impone niente.

Gesù si lamenta anche delle città che ha visitato, compiendo in esse più miracoli e riservando ad esse maggiori gesti di tenerezza e vicinanza, e deplora la loro mancanza di fiuto nel rendersi conto che il cambiamento che era venuto a proporre loro era urgente, non poteva aspettare. Arriva perfino a dire che sono più testarde e accecate di Sodoma (cfr Mt 11,20-24). E quando noi adulti ci chiudiamo a una realtà che è già un fatto, ci dite con franchezza: “Non lo vedete?”. E alcuni più coraggiosi hanno il coraggio di dire: “Non vi accorgete che nessuno vi ascolta più, né vi crede?”. Abbiamo davvero bisogno di convertirci, di scoprire che per essere al vostro fianco dobbiamo rovesciare tante situazioni che sono, in definitiva, quelle che vi allontanano.

Sappiamo – come ci avete detto – che molti giovani non ci chiedono nulla perché non ci ritengono interlocutori significativi per la loro esistenza. È brutto questo, quando una Chiesa, una comunità, si comporta in modo tale che i giovani pensano: “Questi non mi diranno nulla che serva alla mia vita”. Alcuni, anzi, chiedono espressamente di essere lasciati in pace, perché sentono la presenza della Chiesa come fastidiosa e perfino irritante. E questo è vero. Li indignano gli scandali sessuali ed economici di fronte ai quali non vedono una condanna netta; il non saper interpretare adeguatamente la vita e la sensibilità dei giovani per mancanza di preparazione; o semplicemente il ruolo passivo che assegniamo loro (cfr Sinodo dedicato ai giovani, Instrumentum laboris, 66). Queste sono alcune delle vostre richieste. Vogliamo rispondere a loro, vogliamo, come voi stessi dite, essere una «comunità trasparente, accogliente, onesta, attraente, comunicativa, accessibile, gioiosa e interattiva» (ibid., 67), cioè una comunità senza paura. Le paure ci chiudono. Le paure ci spingono a essere proselitisti. E la fratellanza è un’altra cosa: il cuore aperto e l’abbraccio fraterno.

Prima di arrivare al testo evangelico che sovrasta questo tempio, Gesù inizia elevando una lode al Padre. Lo fa perché si rende conto che coloro che hanno compreso, quelli che capiscono il centro del suo messaggio e della sua persona, sono i piccoli, coloro che hanno l’anima semplice, aperta. E vedendovi così, riuniti, a cantare, mi unisco alla voce di Gesù e resto ammirato, perché voi, nonostante la nostra mancanza di testimonianza, continuate a scoprire Gesù in seno alle nostre comunità. Perché sappiamo che dove c’è Gesù c’è sempre rinnovamento, c’è sempre l’opportunità della conversione, di lasciarsi alle spalle tutto ciò che ci separa da Lui e dai nostri fratelli. Dove c’è Gesù, la vita ha sempre sapore di Spirito Santo. Voi, qui oggi, siete l’attualizzazione di quella meraviglia di Gesù.

Allora sì, diciamo di nuovo: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi ristorerò» (Mt 11,28). Ma lo diciamo convinti che, al di là dei nostri limiti, delle nostre divisioni, Gesù continua ad essere il motivo per essere qui. Sappiamo che non c’è sollievo più grande che lasciare che Gesù porti le nostre oppressioni. Sappiamo anche che ci sono molti che ancora non lo conoscono e vivono nella tristezza e nello smarrimento. Una vostra famosa cantante, circa dieci anni fa, diceva in una delle sue canzoni: «L’amore è morto, l’amore se n’è andato, l’amore non vive più qui» (Kerli Kõiv, L’amore è morto). No, per favore! Facciamo sì che l’amore sia vivo, e tutti noi dobbiamo fare questo! E sono tanti quelli che fanno questa esperienza: vedono che finisce l’amore dei loro genitori, che si dissolve l’amore di coppie appena sposate; sperimentano un intimo dolore quando a nessuno importa che debbano emigrare per cercare lavoro o quando li si guarda con sospetto perché sono stranieri. Sembrerebbe che l’amore sia morto, come diceva Kerli Kõiv, ma sappiamo che non è così, e abbiamo una parola da dire, qualcosa da annunciare, con pochi discorsi e molti gesti. Perché voi siete la generazione dell’immagine, la generazione dell’azione al di sopra della speculazione, della teoria.

E così piace a Gesù; perché Lui passò facendo il bene, e quando è morto ha preferito alle parole il gesto forte della croce. Noi siamo uniti dalla fede in Gesù, ed è Lui che attende che lo portiamo a tutti i giovani che hanno perso il senso della loro vita. E il rischio è, anche per noi credenti, di perdere il senso della vita. E questo succede quando noi credenti siamo incoerenti. Accogliamo insieme quella novità che Dio porta nella nostra vita; quella novità che ci spinge a partire sempre di nuovo, per andare là dove si trova l’umanità più ferita. Dove gli uomini, al di là dell’apparenza di superficialità e conformismo, continuano a cercare una risposta alla domanda sul senso della loro vita. Ma non andremo mai da soli: Dio viene con noi; Lui non ha paura, non ha paura delle periferie, anzi, Lui stesso si è fatto periferia (cfr Fil 2,6-8; Gv 1,14). Se abbiamo il coraggio di uscire da noi stessi, dai nostri egoismi, dalle nostre idee chiuse, e andare nelle periferie, là lo troveremo, perché Gesù ci precede nella vita del fratello che soffre ed è scartato. Egli è già là (cfr Esort. ap. Gaudete et exsultate, 135).

Ragazzi e ragazze, l’amore non è morto, ci chiama e ci invia. Chiede solo di aprire il cuore. Chiediamo la forza apostolica di portare il Vangelo agli altri – ma offrirlo, non imporlo – e di rinunciare a fare della nostra vita cristiana un museo di ricordi. La vita cristiana è vita, è futuro, è speranza! Non è un museo. Lasciamo che lo Spirito Santo ci faccia contemplare la storia nella prospettiva di Gesù risorto, così la Chiesa, così le nostre Chiese saranno in grado di andare avanti accogliendo in sé le sorprese del Signore (cfr ibid.., 139), recuperando la propria giovinezza, la gioia e la bellezza della quale parlava Mirko, della sposa che va incontro al Signore. Le sorprese del Signore. Il Signore ci sorprende perché la vita ci sorprende sempre. Andiamo avanti, incontro a queste sorprese. Grazie!

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