per costruire il dialogo
Lettera aperta di Franco Lorenzoni, maestro elementare, per una scuola che contribuisca alla costruzione di una società aperta
Care colleghe e colleghi insegnanti,
come tanti, mi domando in questi mesi cosa sia possibile fare per arginare la crescente intolleranza verso chi emigra nel nostro Paese. Il clima sociale sta mutando a una velocità impressionante. La mentalità intollerante e razzista sta crescendo intorno a noi: è un dato di fatto. Come educatore, non posso accettare che una ragazza di Milano che ha il padre africano confessi a sua madre di aver paura a uscire di casa. Credo che, per contrastare il veleno del razzismo, noi insegnanti siamo chiamati a ripensare il nostro ruolo. Abbiamo responsabilità ineludibili riguardo alla difficile costruzione di una società aperta. A scuola ci troviamo in una situazione delicata, ma in qualche modo privilegiata. La scuola italiana è abitata da spinte divergenti. Da un lato è il luogo pubblico di maggiore accoglienza e integrazione dei figli degli immigrati (e, prima in Europa, da 40 anni accoglie alunni portatori di disabilità), dall'altro tollera ancora al suo interno situazioni in cui vengono messe in atto piccole e grandi discriminazioni inaccettabili.
Ogni giorno, dai nidi alle superiori, lavoriamo in classi multietniche che rendono necessario il nostro ruolo di mediatori attenti e di costruttori di una cultura della convivenza, per essere all'altezza dei compiti che ci affida la Costituzione, quando invita a "rimuovere gli ostacoli" che "impediscono il pieno sviluppo della persona umana". Non è facile. Da trent'anni nel nostro Paese si insulta e si denigra la cultura. Si tagliano fondi alle biblioteche, alla ricerca, alla scienza e alla preservazione dell'arte e del paesaggio. Le conseguenze le paghiamo ogni giorno. Il ruolo di chi insegna è sottovalutato e spesso vilipeso. Ma, paradossalmente, proprio in questa situazione di estrema difficoltà, possiamo ritrovare le ragioni e il senso del nostro operare, che deve nutrirsi di una visione di ampio respiro e andare necessariamente oltre i muri della scuola.
Le scuole sono luoghi in cui sperimentiamo la complessa arte della convivenza
In tante e tanti, in classe, sperimentiamo ogni giorno la costruzione di frammenti significativi di quella complessa arte della convivenza di cui abbiamo assolutamente bisogno. Gli esiti sono contraddittori e disuguali, non sempre ne abbiamo la consapevolezza necessaria. Per questo dobbiamo moltiplicare le occasioni per incontrarci, cooperare, studiare e progettare una scuola all'altezza dei compiti dell'oggi. Dobbiamo far conoscere in tutti i modi possibili il lavoro e l'impegno di bambini e ragazzi che, insieme ai loro insegnanti, soprattutto in territori difficili, danno vita a rari e preziosi presidi di democrazia. Luoghi di costruzione culturale capaci di non separare l'apprendimento dell'italiano, lo studio di matematica, scienze, storia, lingue, arti e movimento, dallo sviluppo di una capacità di ascolto tra diversi, dalla pratica del dialogo e dell'argomentare rigoroso, per dare spazio al confronto tra idee diverse.
Per fare tutto ciò c'è bisogno di un tempo lungo e disteso. Dobbiamo compiere scelte radicali, diminuendo la quantità di contenuti e aumentando i momenti di ricerca e di approfondimento, verificando e dando peso ai dati, prendendoci cura delle parole che usiamo: l'opposto di ciò che prevalentemente si fa oggi nella società e nei media. La geografia che oggi abita le nostre classi ci offre una possibilità inedita di riflettere e ricercare intorno allo stato della condizione umana nel pianeta che abitiamo, per comprendere meglio ciò che si muove nel mondo. Dobbiamo assumerci la responsabilità di dare un ampio respiro culturale a ciò che sperimentiamo nelle scuole. Dobbiamo coordinare i nostri sforzi perché le tante piccole scoperte che andiamo facendo possano crescere, diffondersi e, soprattutto, dare coraggio a chi subisce le pressioni di una società sempre più chiusa.
Per un'alfabetizzazione alla compresenza nel nome di Erodoto
Nonostante guerre, scontri e invasioni, il mar Mediterraneo è stato culla di ricche civiltà perché era facilmente navigabile e da sempre ha favorito ogni genere di scambi. Non c'è crescita culturale senza un continuo attraversamento di confini. Erodoto, il primo storico, era figlio di una greca e di un persiano. Figlio di due popoli in guerra tra loro. E' dal suo sangue misto che è nato uno degli ambiti di ricerca più ricchi di futuro, perché capace di far tesoro delle memorie più diverse.
Le classi, oggi, possono essere il luogo di questa mescolanza feconda. "Diversità è bellezza" è uno slogan che rischia di essere retorico. Va riconosciuto francamente che diversità è anche fatica, percorso lungo di avvicinamento da affrontare con determinazione e lungimiranza. A partire dalle scuole siamo chiamati oggi a dimostrare che l'inevitabile società multietnica e multiculturale in cui viviamo e sempre più vivremo, può essere più ricca, stimolante e aperta al futuro, dunque più vivibile e sicura, di una società chiusa in se stessa, impaurita e rancorosa.
Il ruolo degli insegnanti è centrale perché oggi l'educazione e la sperimentazione sociale vengono prima della politica, largamente screditata, specie tra i più giovani. E' una sfida a cui non possiamo sottrarci che può coagulare nuove energie e ravvivare entusiasmi, aiutandoci a ridare senso e respiro al nostro mestiere. Solo la costruzione di una società multietnica capace di ascolto reciproco ci può aprire al futuro
Ripartiamo dalla Dichiarazione universale dei diritti umani: una proposta concreta per l'anno scolastico che inizia
Ci sono voluti 68 milioni di morti, di cui 43 milioni di vittime civili, perché 192 stati del nostro pianeta arrivassero, al termine della seconda guerra mondiale, a sottoscrivere una dichiarazione universale in cui si afferma solennemente che "Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti". In quella dichiarazione, votata esattamente 70 anni fa, il 10 dicembre del 1948, nell'articolo 7 si afferma che "Tutti sono eguali dinanzi alla legge, tutti hanno diritto ad una eguale tutela contro ogni discriminazione, come contro qualsiasi incitamento a tale discriminazione".
Di fronte ai continui incitamenti alla discriminazione, ad alzare steccati e costruire muri, non bastano denunce ed appelli, pur necessari. Dobbiamo rendere sempre più le nostre scuole luoghi di costruzione culturale consapevole e cosciente, capaci di testimoniare che è possibile, utile ed efficace non escludere nessuno.
Il Movimento di Cooperazione Educativa ha promosso il tavolo di lavoro "Bambini, migranti, umanità", a cui hanno già aderito oltre 30 associazioni, che si è riunito al prima volta il 3 settembre. Concretamente, si tratta di raccogliere e coordinare più forze ed energie possibili. Invitiamo singoli insegnati, colleghi di classe o di scuola, interi collegi di docenti perché promuovano o aderiscano a iniziative molteplici, da inventare e sviluppare insieme nell'intero anno scolastico a partire dall'autunno, per costruire, intorno all'anniversario del 10 dicembre, momenti pubblici e corali capaci di ricordare, rilanciare e festeggiare i 70 anni della Dichiarazione universale dei diritti umani, dentro e fuori le scuole.
Studiare in modo partecipe e approfondito questo fondamentale testo collettivo, così come tornare alle parole della nostra Costituzione, ci può aiutare a ragionare in positivo, costruendo dal basso la capacità di avere uno sguardo attento e critico verso ciò che accade intorno a noi, offrendo a bambine e bambini, a ragazze e ragazzi strumenti per intendere le dinamiche lunghe della storia, senza restare intrappolati nelle angustie del presente.
Tre date possono scandire momenti di ricerca dentro le scuole e momenti pubblici in cui confrontarci:
il 3 ottobre, giornata che il Parlamento italiano, con voto unanime, ha dedicato alla Memoria delle vittime dell'emigrazione;
il 20 novembre, anniversario della Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza;
il 10 dicembre, in cui ricordiamo i 70 anni della Dichiarazione universale dei diritti umani.
Per entrare in contatto con noi, potete consultare il sito del MCE http://www.mce-fimem.it/fimem/dove scambieremo idee e pubblicheremo informazioni sulle iniziative.
Il coordinamento che ha dato vita lo scorso anno alle iniziative a favore dello Ius soli e dello Ius culturae mette a disposizione la pagina del gruppo "Insegnanti per la cittadinanza" su Facebook, https://www.facebook.com/groups/1195386007234353/about/
(fonte: La Repubblica 03/09/2018)
Questo paese accecato dall’odio
può essere salvato solo dagli insegnanti
Mentre sui social (e non solo) sembrano prevalere odio, indifferenza, razzismo e bufale, lo scrittore e insegnante Enrico Galiano lancia un appello ai suoi colleghi: "Rimbocchiamoci le maniche e diamoci da fare: possiamo davvero salvare le menti dei nostri ragazzi, ma soprattutto i loro cuori". Per battere non solo l'analfabetismo funzionale, ma anche quello emotivo
Adesso vi racconto una storia che voi la leggerete e direte: ma va, non è possibile! Dunque: qualcuno pubblica su Facebook la foto della piramide Cestia, a Roma, scrivendo nel post: “Guardate cosa hanno costruito a Roma gli immigrati musulmani egizi: una PIRAMIDE per venerare i loro dei!!!”. Nei commenti, decine e decine di persone si sono scagliate indignate contro il monumento, credendo davvero che fosse una costruzione recente. Per pudore, evito di riferirvi i più accesi e pieni di odio.
Uno dice: ok, qui abbiamo toccato il fondo, non si può andare più giù. E invece. Qualcun altro pubblica la foto di un ipotetico uomo musulmano, scrivendo “Questo è Tarim Bu Aziz. Per una maggiore integrazione chiede di introdurre i numeri arabi nelle scuole italiane. Tu cosa gli rispondi?” E giù di nuovo commenti intrisi di odio, andate a casa vostra voi e i vostri numeri, noi difendiamo le nostre tradizioni!
Ecco perché. Ecco perché da settembre ci aspetta un compito molto duro. Sì ragazzi, perché in questo preciso momento, io credo che questo paese lo possono salvare solo gli insegnanti. Ovvio che tutti possono fare il loro nel proprio piccolo ma siamo noi, tutti i giorni, in classe, che possiamo dare ai ragazzi gli strumenti per non essere un domani qualcuno che sotto al post dei numeri arabi scriva: andate via! Non vi vogliamo!
Fermi tutti: che vi vedo che magari state già pensando alla storia del prof che fa politica in classe, che vuole inculcare nei ragazzi le sue idee e compagnia bella. Il punto primo, il principio base da cui non si può prescindere, è che un pessimo insegnante ti insegna a pensare come lui, un bravo insegnante ti insegna a pensare con la tua testa. Infatti il primo giorno di scuola, ogni anno, scrivo questa frase alla lavagna: “Dubitate sempre di ogni cosa vi viene detta, soprattutto di quelle che vi dico io”. È un’iperbole, naturalmente, ma il concetto è chiaro: non sono l’auctoritas, non ho nessuna verità in tasca. E se c’è qualcuno di cui diffidare è proprio chi si presenta come il possessore di tutte le risposte. Quello che voglio dire è questo: che solo grazie allo studio, alla grammatica, alla lettura e comprensione dei testi possiamo permettere ai ragazzi di avere gli strumenti per non farsi abbindolare in questo modo osceno dai diffusori di bufale, dai furbacchioni dei social media.
In Italia la vera emergenza è quello che, spesso impropriamente, viene definito analfabetismo funzionale: ed è vero. Ci sono in giro troppi adulti che non leggono, non si informano, e che nel tempo hanno perso la facoltà di riuscire a comprendere e interpretare correttamente un testo. Quello che però secondo me è molto più grave, e l’analfabetismo emotivo che sembra aver colto come un’epidemia tante persone. E quello lo si combatte leggendo poesie, romanzi, educando alla bellezza e all’empatia. Che poi un ragazzo, dopo aver letto e studiato, decida di stare da una parte che a me insegnante non piace ci può stare: anzi, in qualche modo è proprio la prova che sono stato un bravo insegnante per lui. Ciò che non ci può stare, in nessun luogo, mai, è che di fronte alla sofferenza dell’Altro ci sia il livello di indifferenza, di odio, di paura ingiustificata che ho trovato in tantissimi commenti di gente comune davanti alle immagini di morte e sofferenza di questi giorni. Gente che incontri tutti i giorni. Hannah Arendt sarebbe senza parole di fronte a questo.
Per questo a settembre rimbocchiamoci le maniche e diamoci da fare: possiamo davvero salvare le menti dei nostri ragazzi, ma soprattutto i loro cuori.
(fonte: Il Libraio)
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