"La primavera della chiesa"
di Enzo Bianchi
Papa Francesco ci ha donato senza troppe dilazioni l’esortazione post-sinodale secondo i voti dei padri del Sinodo sulla nuova evangelizzazione (ottobre 2012), al quale ho partecipato come esperto chiamato da Benedetto XVI. L’evangelizzazione vi è presentata nell’ottica della gioia cristiana, perché il Vangelo è sempre un gioioso annuncio.
Nel testo vi sono sì echi delle proposizioni del Sinodo, come testimoniato dalle note, ma non solo lo stile resta diverso dal genere letterario delle esortazioni post-sinodali del passato, ma anche i contenuti rispondono soprattutto alla visione di papa Francesco, alla sua lettura dell’attuale situazione della chiesa nel mondo, al suo programma di ministero petrino iniziato ormai da nove mesi, alla sua sollecitudine di pastore. I temi affrontati sono molti e il linguaggio e il pensiero sono quelli già enunciati in molte occasioni o rinvenibili nel suo magistero di arcivescovo di una chiesa giovane, appartenente al mondo periferico e lontano rispetto all’antica cristianità europea.
Innanzitutto è riaffermato ancora una volta il primato del perdono di Dio, perdono che non si deve meritare ma solo accogliere come un dono che Dio rinnova settanta volte sette (cf. Mt 18,22), affinché noi uomini e donne – operatori di male anche se non lo vogliamo – possiamo alzare il capo e ricominciare con speranza la sequela del Signore. Se davvero il cristianesimo è “un andare di inizio in inizio per inizi che non hanno fine” (Gregorio di Nissa), allora la vita cristiana è gioiosa, sa sperare anche nella disperazione, sa cercare un rinnovamento contro ogni vecchiezza. Qui papa Francesco si fa “servitore della gioia dei credenti” (Paolo VI) e riesce a ridare forza alla fede come convinzione, a ridare slancio alla corsa del Vangelo nel mondo.
Ma il vescovo di Roma pone anche dei limiti alla sua esortazione: è rivolta a tutta la chiesa, ma non ambisce a dire tutto, né pretende di essere esaustiva. Per questo rinuncia a trattare in modo specifico molti temi che abbisognano di approfondimento da parte delle singole chiese. Il papa non vuole sostituirsi agli episcopati delle chiese nel discernimento dei problemi né nell’indicazione della loro soluzione: non a caso, nelle note appaiono – dato inconsueto per un documento papale – testi di alcune conferenze episcopali. La voce del papa non esaurisce quelle dei vescovi né le copre: già questo è un principio di decentralizzazione che instaura la possibile sussidiarietà ecclesiale in virtù della quale molti compiti possono essere svolti dai vescovi e non devono essere riservati al pontefice e alla curia romana che lo assiste.
Se questi sono i punti presenti nell’esordio, il papa passa poi a delineare la riforma della chiesa e a indicare la modalità, lo stile della sua testimonianza nel mondo. Tra i tanti temi faccio un discernimento, soffermandomi sui punti più decisivi e, per molti aspetti, contenenti una certa novità: la conversione del papato, la gerarchia delle verità, il senso dei limiti ecclesiali e la mondanità. Certo, grande spazio prende il tema della povertà della chiesa e della sua azione per i poveri del mondo, i primi clienti di diritto della parola di Dio, ma per ora non approfondiamo questo aspetto, apparso cocente, bruciante fin dall’inizio di questo pontificato.
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Dunque l’entusiasmo per papa Francesco è grande e non va spento, ma occorre restare vigilanti e soprattutto essere consapevoli che, se il papa non è aiutato dai vescovi, dai presbiteri e dal popolo, non riuscirà a fare nessuna riforma. Le riforme hanno bisogno della conversione e del sostegno del popolo di Dio, non possono essere compito di uno solo. Papa Francesco avrà contro soprattutto il vento delle potenze avverse, perché dovrà faticosamente intrecciare le riforme ecclesiali con il principio sinodale. E come ogni profeta sarà più ascoltato – come è avvenuto per il Battista e per Gesù – da quelli che si riconoscono peccatori, “pubblicani e prostitute” (cf. Mt 21,2; Lc 7,34; 15,1), “samaritani e stranieri” (cf. Lc 17,38; Gv 4,39-40), piuttosto che da quelli di casa sua.
Mi diceva Hans Urs von Balthasar: “La chiesa ha conosciuto poche primavere, sempre interrotte da gelate repentine”. Apprestiamo tutto perché questa primavera sbocci e dia i suoi frutti.
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