SINODO.
IN ASCOLTO
DELLE REALTA’ DI BASE
Giampiero Forcesi
A sorprendere non è il fatto che, per la preparazione del Sinodo dei vescovi sulla pastorale per la famiglia, sia stato predisposto e inviato ai vescovi delle chiese locali un questionario con 38 domande. Questa è una prassi seguita anche per gli altri sinodi, l’ultimo quello dell’ottobre 2012 sulla trasmissione della fede cristiana.
La definizione di Paolo VI
Nei Lineamenta, che costituiscono il primo documento di ogni percorso sinodale, l’obiettivo è proprio quello di fare il punto sul tema prescelto, ponendo interrogativi ai vescovi, e dunque alle chiese locali, per poi imbastire, in base ai dati di ritorno, l’Instrumentum laboris, che è ildocumento con il quale si arriva all’apertura dell’assemblea sinodale. Del resto, in quella che è considerata la definizione più appropriata e autorevole del sinodo, Paolo VI, il papa che il sinodo lo istituì durante l’ultima sessione del concilio Vaticano II, lo presenta come “uno studio comune delle condizioni della Chiesa” e come “la soluzione concorde delle questioni relative alla sua missione”. Uno studio, dunque, cioè un’indagine. Comune, che coinvolge la Chiesa cattolica nel suo insieme. Allo scopo di giungere a una “soluzione concorde”, cioè ad un orientamento pastorale condiviso. In questo senso, il sinodo è uno strumento della collegialità episcopale (come lo definì più avanti papa Woytjla). Anche se non è quella collegialità, permanente e soprattutto effettiva, che in Concilio la maggioranza dei Padri aveva cercato di istituire, senza riuscirci...
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