Pax Christi, con la Flotilla
nel segno della nonviolenza
«Siamo al paradosso di accusare ingiustamente una coraggiosa iniziativa pacifica di fomentare la violenza». La posizione a 360 gradi del movimento ecclesiale nell’intervista al presidente, il vescovo Giovanni Ricchiuti

Solidarietà alla Sumud Flottilla ANSA/FABIO CIMAGLIA
Tra le tante bandiere arcobaleno della pace (quelle cioè con la striscia viola in cima, ndr) che si alzano durante le numerose manifestazioni su Gaza, è immancabile trovare quella caratteristica di Pax Christi, movimento cattolico internazionale strettamente collegato con l’autorità ecclesiale tanto che, ad esempio, il ruolo di presidente è sempre ricoperto da un vescovo nominato dalla Cei.
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Genova primo ottobre 2025 ANSA/LUCA ZENNARO |
Abbiamo perciò intervistato il vescovo Giovanni Ricchiuti, attuale presidente italiano del movimento, mentre è cominciata l’operazione di blocco delle barche della Sumud Flotilla da parte degli incursori della Marina Militare israeliana. Sono scattate manifestazioni di protesta in diverse città italiane nella notte del primo ottobre e proclamato lo sciopero generale da parte dei sindacati Usb, Si Cobas e Cgil per il 3 ottobre. Sullo sfondo si discute dell’accordo a due Trump-Netanyahu che ridisegna il destino della Striscia di Gaza devastata dai bombardamenti israeliani con un numero spropositato di vittime, che sempre più fonti non hanno timore a definire genocidio. Così come ha fatto da ultimo la “Commissione internazionale indipendente delle Nazioni Unite d’inchiesta sul territorio palestinese occupato, compresa Gerusalemme Est e Israele”.
Contro la Flotilla si è espressa duramente la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, secondo la quale gli aiuti possono essere consegnati senza sfidare Israele: «Risparmiateci le lezioni di morale sulla pace se il vostro obiettivo è l’escalation. E non strumentalizzate la popolazione civile di Gaza se non vi interessa davvero il loro destino». Tesi ribadita con asprezza da Bruno Vespa durante la sua trasmissione giornaliera sulla Rai in collegamento con un componente della Flotilla che non ha potuto replicare.
Come legge questi attacchi all’iniziativa della Flotilla?
Da troppo tempo assistiamo da parte dei principali organi di stampa e televisione italiani ad una ostilità preconcetta che colpisce un movimento vasto e variegato, che va dalle piazze alle parrocchie, dove lo scandalo per ciò che accade è palpabile. Qualsiasi iniziativa promossa dai movimenti per la pace viene quasi sistematicamente accusata di essere un’istigazione alla violenza. È un paradosso amaro.
La Flottiglia è un gesto di assoluta solidarietà. Il suo obiettivo è portare cibo a una popolazione affamata, dirigendosi verso acque territoriali palestinesi, perché Gaza, fino a prova contraria, ha diritto al suo mare. Assistiamo ad un fenomeno incredibile: la nonviolenza che, secondo questa narrazione, scatenerebbe la violenza. L’accusa rivolta alla Flotilla di avere come scopo quello di destabilizzare il governo italiano è semplicemente menzognera.
Che posizione avete preso nel merito come Pax Christi?
Noi non solo appoggiamo pienamente questa missione, ma siamo ammirati dal coraggio dei suoi partecipanti. Siamo in stretto e costante rapporto con alcuni di loro. L’urgenza di questo gesto è drammaticamente umana. Pochi giorni fa, al centro Ernesto Balducci di Zugliano (Udine), ho incontrato una famiglia palestinese fuggita in Italia. La madre era riuscita a mettersi in contatto con il figlio maggiore, rimasto a Gaza, che le ha detto: «Mamma, sono nove giorni che non mangiamo». Di fronte a questo dolore, come si può restare indifferenti?
C’è poi la grande ipocrisia che circonda l’arrivo dei bambini palestinesi feriti in Italia. Vengono accolti e curati nelle nostre strutture sanitarie, ma sono stati colpiti dalle bombe e dalle armi che, oltre gli Usa, la stessa Europa, Italia inclusa, fornisce a Israele. C’è solo da scandalizzarsi per una propaganda che riduce tragedie immani a mero spettacolo.
La Santa Sede evita di usare il termine “genocidio” per descrivere quanto sta accadendo a Gaza, mentre abbiamo visto oltre un migliaio di preti sottoscrivere un appello contro il genocidio unendosi a Roma alla grande manifestazione del 22 settembre. Può spiegarci la sua posizione?
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Preti contro il genocidio, Roma, 22 Settembre 2025. ANSA/GIUSEPPE LAMI |
Come si può negare che sia in atto un genocidio di fronte a oltre 60.000 morti, a una città e un’intera striscia di terra rase al suolo? La stessa dichiarazione dell’ONU è stata chiarissima in merito. Di fronte all’evidenza dei fatti, la prudenza rischia di apparire come un silenzio colpevole.
All’interno della Chiesa, voci coraggiose si sono levate. Penso appunto all’iniziativa dei “preti contro il genocidio”. Uno di questi, Tonio Dell’Olio, già presidente di Pro Civitate Christiana, ha lanciato una proposta forte: “Santità, vada a Gaza, e noi le faremo da scorta”. Questa immagine mi ha riportato al sogno di Don Tonino Bello, che promosse la marcia di 500 persone per fermare la guerra a Sarajevo. L’idea di una Chiesa che si fa scudo umano per proteggere gli oppressi rimane potentissima.
Un’accusa ricorrente, quasi un’arma retorica contro i movimenti pacifisti, è quella di creare una gerarchia della sofferenza, focalizzandosi sulle vittime palestinesi a discapito degli ostaggi israeliani. Come risponde a chi vi accusa di avere uno sguardo unilaterale sulla tragedia?
La restituzione degli ostaggi è un passaggio fondamentale per qualsiasi processo di pacificazione, e su questo non c’è alcun dubbio. L’anno scorso, durante un pellegrinaggio a Gerusalemme, abbiamo ascoltato la testimonianza straziante della madre di un giovane ostaggio israeliano. Disse una frase che mi colpì profondamente: “Io soffro per mio figlio, ma soffro anche per le mamme dei palestinesi che in questi giorni stanno morendo”. Ecco, questa è la complessità del dolore.
Detto questo, la verità ci impone di porre un’altra domanda: quanti prigionieri palestinesi, migliaia, sono detenuti nelle carceri israeliane e in quali condizioni? Lo scambio di prigionieri e ostaggi è sempre stato, in ogni conflitto, un momento cruciale verso la riconciliazione.
Pax Christi si espone sempre e partecipa alle manifestazioni per Gaza. Ma ad esempio il prossimo 4 ottobre, mentre la Meloni andrà ad Assisi annunciando di aver ripristinato la festività nazionale di san Francesco, si svolgerà a Roma una grande manifestazione di sostegno alla resistenza palestinese. Non c’è il rischio che dietro al concetto esteso di “resistenza” si nasconda quella armata di Hamas?
Dal punto di vista cristiano, la logica della vendetta semplicemente non ci appartiene, non è nel nostro linguaggio. La pace non può nascere dalla vendetta. Siamo radicalmente contro ogni violenza e lo ripetiamo in ogni contesto. Ci dispiace che sia data troppa enfasi a gesti di pochi come quelli avvenuti a Milano durante la grande manifestazione nazionale del 22 settembre. Abbiamo condannato e condanniamo senza riserve l’eccidio perpetrato da Hamas il 7 ottobre 2023. Ogni violenza va condannata. Ma la storia non inizia quel giorno. I 1.239 morti israeliani sono una tragedia immane, ma come non vedere la sproporzione di fronte agli oltre 60.000 morti palestinesi?
Lei è stato lo scorso agosto in Palestina, un viaggio segnato fin dall’inizio dall’arresto e dall’espulsione di Don Nandino Capovilla. Può raccontarci cosa ha visto e vissuto in quell’esperienza?
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Delegazione di Pax Christi in Palestina Giugno 2024. Vescovo Ricchiuti al centro dietro la bandiera Foto PC |
Abbiamo visitato Taibè, Ramallah, Betlemme, incontrando comunità che subiscono angherie quotidiane da parte dei coloni: ulivi secolari distrutti, incendi, offese continue. Eppure, la loro risposta non è l’odio. La storia di Daud, proprietario di decine di ettari di terreno vicino a Betlemme, è emblematica. Da anni i coloni cercano di espropriare la sua terra, un uliveto di famiglia. Lui resiste non-violentemente, forte di documenti che attestano la proprietà della sua famiglia fin dai tempi dell’Impero Ottomano e del Mandato Britannico. La Corte Suprema israeliana non si è ancora pronunciata. La sua esperienza di resistenza nonviolenta è ormai nota come “Tenda delle Nazioni” per il sostegno che riceve da centinaia di persone da tutto il mondo che accoglie ogni anno.
Ad At-Tuwani, nelle colline a sud di Hebron, abbiamo incontrato i giovani volontari italiani dell‘Operazione Colomba, che con la loro presenza nonviolenta cercano di proteggere i pastori palestinesi. Questa è la Sumud: una forma di resistenza tenace, non-violenta, che subisce la violenza senza rispondere con la stessa moneta. È la determinazione a esistere sulla propria terra, vivi o morti.
Ogni critica a Israele, soprattutto se proveniente da ambienti pacifisti, viene quasi automaticamente etichettata come antisemitismo. Come risponde Pax Christi a questa accusa?
È un’accusa che non dovrebbero mai rivolgerci. È semplicemente impensabile che noi cristiani oggi possiamo essere antisemiti. La storia della Chiesa è stata purtroppo macchiata da secoli di antigiudaismo, ma veniamo da un Concilio, il Vaticano II, che ha segnato una rottura definitiva con quel passato. Veniamo da un papa come Giovanni XXIII che, con un gesto storico, fece eliminare l’aggettivo “perfidi” dalla preghiera del Venerdì Santo per gli ebrei. Ogni 27 gennaio commemoriamo commossi l’Olocausto. L’accusa è infondata.
Ciò che noi critichiamo è l’uso strumentale della religione per giustificare un’occupazione militare. Quando sentiamo alcuni rabbini usare l’argomento della “terra promessa” da Dio per legittimare la violenza e l’espropriazione. La terra promessa è il mondo intero, aperto a un popolo che doveva essere luce per tutte le genti. Assistere a violenze spietate compiute in nome di questa interpretazione è una profanazione.
Nel contesto della guerra in Ucraina, invece, opponendovi all’invio di armi verso Kiev, approvato in Italia da una larga maggioranza parlamentare, venite accusati di stare dalla parte dell’aggressore, di essere “putiniani”. Come dire di questa critica?
Mi astengo da un’analisi puramente geopolitica. Non sono né “putiniano” né “zelenskiano”. La mia domanda è rivolta all’Europa. Un’Europa che si vanta di essere Premio Nobel per la Pace, è stata capace solo di rispondere con le armi e le sanzioni? Non abbiamo visto un solo, vero tentativo diplomatico per obbligare le parti a fermarsi.
Mi fa sorridere amaramente la retorica sulle “radici cristiane dell’Europa” pensando alle due guerre mondiali legittimate dalle Chiese. Se queste sono le radici, i frutti sono avvelenati. Un’Europa veramente cristiana avrebbe agito in modo completamente diverso. C’erano e ci sono proposte concrete sul tavolo: la neutralità dell’Ucraina, un’autonomia reale per le regioni del Donbas. Ma si è scelta unicamente la via delle armi.
Già il 3 marzo 2022, Pax Christi lanciò un appello chiarissimo: “Tacciano le armi”. Quella voce, come quella di tanti altri, è rimasta inascoltata. E le armi, fino a oggi, non hanno taciuto.
Vale la pena continuare in questo impegno così scomodo e spesso frainteso?
Certo! Credo che verranno giorni in cui l’umanità capirà che bisogna vivere soltanto come fratelli e sorelle, lasciando stare eserciti, bombe e arsenali. Verranno giorni, ma per questo dobbiamo lavorare, soffrire e talvolta saper attendere.
(Fonte: Città Nuova, articolo di Carlo Cefaloni 02/10/2025)