#Ammirare o disprezzare?
Breviario di Gianfranco Ravasi
In mezzo ai flagelli ci sono negli uomini più cose da ammirare che non da disprezzare.
Sorprende questa affermazione dal taglio così positivo quando si scopre che a proporla è Albert Camus, uno dei massimi scrittori francesi del Novecento (morì nel 1960 a 47 anni per un incidente stradale), noto per il suo pessimismo. I suoi personaggi, infatti, come il protagonista del suo primo romanzo, Lo straniero (1942), cercano ma non trovano una giustificazione all’esistenza e, così, sbandano verso l’assurdo. Le righe che abbiamo citato sembrano virare in controtendenza e sono passibili di due interpretazioni. Da un lato, si suppone che nel fondo sotterraneo delle persone si svolga una storia invisibile che non è da rubricare totalmente sotto un giudizio negativo. È facile, infatti, esercitare il disprezzo perché nel fiume di ogni vita ci sono correnti inquinate dal male. Eppure – osserva Camus – scorrono molte acque limpide, simbolo dei valori che ciascuno di noi custodisce in sé, del bene nascosto che ognuno compie, della verità che ricerca.
Purtroppo è facile adottare la deriva del disprezzo. Un altro scrittore francese, il settecentesco Antoine de Rivarol non esitava a registrare sarcasticamente questo dato: «Su venti persone che parlano di noi, diciannove ne dicono male e la ventesima che ne dice bene, lo dice male». D’altro lato, però, nella frase di Camus c’è un altro aspetto: «in mezzo ai flagelli», cioè alle prove. È di scena, quindi, la sofferenza, un altro tema caro all’autore (si pensi a quel capolavoro che è La peste, sullo scandalo del dolore innocente). Ebbene, quando la tempesta della prova s’abbatte su una persona, certo, possono esplodere anche disperazione, bestemmie, rigetto della vita. Tuttavia più spesso si rivelano straordinarie capacità di coraggio, una fortezza e persino una generosità sorprendenti. È per questo che – come affermava un altro scrittore ateo e pessimista franco-rumeno, Emile Cioran – «nel giorno del giudizio verranno pesate solo le lacrime».
(Fonte: “Il Sole 24 Ore - Domenica” del 12.10.2025)