Jannik Sinner, la racchetta come stampella.
Se il tennis diventa una gara a chi resta in piedi
Il tennis è uno sport ricco e non in sé uno sport rischioso, ma capita sempre più spesso di vedere giocatori costretti al ritiro. Perché questo succede? E siamo sicuri che agli spettatori piacciano partite in cui vince chi resta in piedi?

Vedere il numero due del mondo uscire dal campo da tennis cercando di usare la racchetta come bastone è tristissimo: i crampi non sono gravi, per fortuna, ma dolorosi sì e ci si immedesima nell’evidente sofferenza.
Il momento in cui la partita si interrompe, con il ritiro di Jannik Sinner non più in grado di camminare sostenuto a braccia, non in grado di portarsi la borsa, a Shanghai l’orologio segna le 0.42, 42 minuti oltre la mezzanotte. Il tennis, si sa, specie per i migliori che in genere si mettono negli orari dei biglietti più redditizi, è fatto anche di lunghe attese, dovute all’allungarsi di partite precedenti, e gli orari possono essere anche molto balzani.

Si vedeva del resto: sudore che impregnava vestiti e scarpe quasi fossero stati immersi nell’acqua, una perdita di liquidi talmente copiosa da non riuscire a reintegrarla bevendo acqua e integratori salini, una condizione pericolosa per altro anche per l’equilibrio dei tennisti sempre a rischio di scivolare nelle scarpe zuppe e sulle righe del campo bagnate.
Condizioni uguali per tutti, certo, dunque nessuna intenzione di recriminare per il ritiro singolo, ma condizioni proibitive: forse l’Atp, l’Associazione che governa il tennis professionistico una riflessione sullo standard dell’organizzazione dei tornei la dovrebbe fare, la logica dello spettacolo che deve continuare non vale molto in questi casi. Quello che si è visto in questi giorni: atleti che si sentono male in campo, partite interrotte, gioco lettaralmente azzoppato da condizioni che inducono errori causati da corpi esausti e da menti annebbiate dalla fatica non è il genere di spettacolo per cui si paga volentieri un biglietto.
E tra l’altro è uno spettacolo rischioso, perché a certe condizioni il pericolo di infortuni anche seri aumenta. Tanto più nell’ultima parte della stagione, quando molti, secondo le regole, devono giocare molto per recupeare punti o per non perderne, in un momento dell’anno in cui già si porta il carico di un circuito tritacarne, senza pause, con un meccanismo tagliola per cui a ogni torneo si perdono i punti conquistati l’anno precedere.
Un sistema che chiede di giocare tanto e di vincere tanto per non perdere classifica, e che rischia di stritolare soprattutto i migliori, i più costanti che giocano sempre i tornei per intero o quasi, per poi ricominciare subito da un’altra parte, senza il tempo di recuperare. Se è vero che il calendario i giocatori possono gestirselo (ma fino a un certo punto), le condizioni andrebbero valutate prima.
Nei giorni scorsi Holger Rune ha protestato chiedendo il perché l’Atp, circuito ricchissimo che può forse permettersi di dire qualche no se lo standard non è all’altezza, non si sia data regole sul tema delle temperature e delle condizioni climatiche. Forse è il momento di porsi il problema per il bene del tennis, che non vorremmo veder trasformato in un percorso vita, in cui vince chi resta fisicamente integro.
(fonte: Famiglia Cristiana, articolo di Elisa Chiari 05/10/2025)