Ricordare il 7 ottobre costruendo la pace
Per non cedere all’abisso dell’odio occorre dare spazio a chi, dentro i conflitti sempre più disumani, testimonia la possibilità di un’altra strada da percorrere. La proposta della Fondazione Gariwo e le chiare parole del cardinal Parolin, segretario di Stato della Santa Sede

Manifestazione dei familiari degli ostaggi rapiti il 7 ottobre da Hamas EPA/ABIR SULTAN
«Come ricordare il dramma del 7 ottobre due anni dopo?»
Inizia così il comunicato della Fondazione Gariwo nata «per far conoscere e promuovere le storie di chi ha scelto il Bene, anche nei momenti più bui della storia». La realtà, nata per iniziativa dello storico saggista e storico ebreo Gabriele Nissim, è nota in particolare per aver promosso in diverse città italiane il “Giardino dei giusti”, un luogo pubblico dove matura la coscienza che resiste alla logica dell’odio e della vendetta.
Con riferimento alla ricorrenza dei due anni dell’eccidio perpetrato il 7 ottobre 2023 da Hamas e alte milizie contro la popolazione israeliana confinante con la Striscia di Gaza, Gariwo comunica che hanno deciso di farne memoria «pensando alla nonviolenza e al dialogo, dando spazio a chi in Medio Oriente lavora per la costruzione della pace. È proprio per questo che oggi proietteremo nei nostri uffici “There is Another Way”, il docufilm che racconta la storia dei Combatants for Peace, un gruppo di visionari che si rifiutano di arrendersi alla violenza e all’ingiustizia e, così facendo, dimostrano che un’altra strada è possibile: per loro, per noi e per tutta l’umanità».
In un mondo dove assistiamo alla pretesa del presidente Usa Trump di ottenere il Nobel per la pace, la Fondazione Gariwo ci ricorda, invece, che l’associazione dei Combatants for Peace è stata già candidata, a ragione, due volte a ricevere il riconoscimento del premio assegnato in questi giorni dal comitato norvegese perché «rappresenta uno straordinario gruppo binazionale di ex combattenti nemici – israeliani e palestinesi – che lavorano insieme per il dialogo e la riconciliazione».
È l’intera rete delle associazioni per la pace in Medio Oriente che ha bisogno di essere messa in luce come espressione di una diversa direzione di marcia della storia dell’umanità, destinata altrimenti all’autodistruzione se trovano spazio nella comunicazione pubblica solo i proclami che rivendicano la violenza estrema, come avviene con le dichiarazioni del governo Netanyahu che continua a seminare morte e distruzione tra la popolazione civile di Gaza ma anche con chi rivendica la strage del 7 ottobre come atto necessario di una guerra di liberazione. Una manifestazione convocata a Bologna con tale motivazione è stata giustamente vietata dal sindaco di quella città che ha dato più volte dimostrazione di una testimonianza di pace condivisa tra persone e comunità di differente credo politico e religioso.
Come dice Gad Lerner, «Il 7 ottobre non c’è proprio niente da festeggiare. Se non credete agli israeliani che due anni fa rivissero l’incubo della shoah e oggi invocano il cessate il fuoco, chiedetelo ai cinque milioni di palestinesi che sopravvivono a Gaza e in Cisgiordania: vi diranno che quel giorno non ha avuto inizio la loro riscossa, ma al contrario una catastrofe peggiore della Nakba. La pace si fa in due, sforzandosi di riconoscere le sofferenze e i diritti dell’altro popolo».
Lerner esprime una posizione minoritaria all’interno della comunità ebraica italiana, il cui pensiero sarà accessibile nella giornata del 12 ottobre quando il Cnel aprirà le porte ad un convegno dal titolo “La Storia stravolta e il futuro da costruire” promosso dall’Ucei «in occasione del secondo anniversario del pogrom del 7 ottobre 2023 e dell’avvio della guerra a Gaza. È nostra convinzione che in questi due anni l’appiattimento della storia abbia preso il posto della complessità, la superficialità dell’approfondimento, l’invettiva delle ragioni, il verosimile della verità. L’esistenza stessa dello Stato ebraico viene messa in discussione nelle piazze, nei campus e nei media; sionismo è diventato sinonimo di colonialismo, Israele di genocidio».
Il prossimo 16 ottobre rappresenta un’altra data importante perché ricorda il rastrellamento del ghetto di Roma avvenuta nel 1943 a dimostrare la carenza di una piena assunzione di responsabilità storica e politica per l’emanazione delle leggi razziali e l’alleanza con il nazismo stretta da parte dell’Italia durante il fascismo.
Ma la memoria dell’Olocausto non è affatto rimossa dalla coscienza comune degli italiani come dimostra la natura della mobilitazione popolare a sostegno della popolazione palestinese che neanche lontanamente può essere collegata all’antisemitismo anche se questo mostro è sempre in agguato e va contrastato in ogni modo. Di certo non chiudendo gli occhi verso l’iniquità e la sofferenza delle vittime.
In questo tornante della storia si rivelano chiare e puntuali le parole del segretario di Stato della Santa Sede, cardinale Pietro Parolin, intervistato per i media vaticani da Andrea Tornielli con riferimento alla ricorrenza del 7 ottobre: «un massacro indegno e disumano» afferma Parolin, «compiuto da Hamas e da altre milizie contro migliaia di israeliani e di migranti residenti, molti dei quali civili». Il Vaticano ha rivolto continui appelli per la liberazione degli ostaggi israeliani rapiti da Hamas e papa Francesco ha incontrato più volte i rappresentanti dei familiari delle persone rapite mettendo in evidenza la «vergognosa incapacità della comunità internazionale e dei Paesi più potenti di far tacere le armi e di mettere fine alla tragedia della guerra».
Quello che emerge nell’intervista che si invita a leggere integralmente è la sottolineatura, di fronte agli impedimenti posti all’Onu, della responsabilità dei «Paesi in grado di influire veramente fino ad oggi» di non essersi mossi « per fermare la carneficina in atto».
Assieme alla condanna dell’antisemitismo definito . «un cancro da combattere e da estirpare», Parolin afferma chiaramente che «la legittima difesa deve rispettare il parametro della proporzionalità.. Purtroppo, la guerra che ne è scaturita ha avuto conseguenze disastrose e disumane… Mi colpisce e mi affligge il conteggio quotidiano dei morti in Palestina, decine, anzi a volte centinaia al giorno, tantissimi bambini la cui unica colpa sembra essere quella di essere nati lì: rischiamo di assuefarci a questa carneficina!».
Il segretario di Stato vaticano afferma che è ingiusto «attribuire agli ebrei in quanto tali la responsabilità per ciò che accade oggi a Gaza. Lo sappiamo che non è così: ci sono anche tante voci di forte dissenso che si levano dal mondo ebraico contro la modalità con cui l’attuale governo israeliano ha operato e sta operando a Gaza e nel resto della Palestina dove – non dimentichiamolo – l’espansionismo spesso violento dei coloni vuole rendere impossibile la nascita di uno Stato palestinese». «Sembra evidente – afferma Parolin- che la guerra perpetrata dall’esercito israeliano per sconfiggere i miliziani di Hamas non tiene conto che ha davanti una popolazione per lo più inerme e ridotta allo stremo delle forze, in un’area disseminata di case e di palazzi rasi al suolo: basta vedere le immagini aeree per rendersi conto di che cosa sia Gaza oggi».
Un dato di fatto di fronte al quale occorre porsi serie «domande sulla liceità del continuare a fornire armi che vengono usate a discapito della popolazione civile».
Una presa di posizione capace di entrare nel merito delle questioni più spinose rifiutando la tesi che assegna ai cristiani e alla chiesa di limitarsi a fare solo veglie di preghiere perché «la preghiera chiama ad un impegno, a una testimonianza, a scelte concrete».
L’impegno per la via del dialogo e della trattativa, afferma Parolin, è un atto di profondo realismo perché «l’alternativa alla diplomazia è la guerra perenne, è l’abisso dell’odio e dell’autodistruzione del mondo».
(Fonte: Città Nuova, articolo di Carlo Cefaloni 07/10/2025)
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