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giovedì 2 ottobre 2025

Pax Christi, con la Flotilla nel segno della nonviolenza

Pax Christi, con la Flotilla
nel segno della nonviolenza

«Siamo al paradosso di accusare ingiustamente una coraggiosa iniziativa pacifica di fomentare la violenza». La posizione a 360 gradi del movimento ecclesiale nell’intervista al presidente, il vescovo Giovanni Ricchiuti

Solidarietà alla Sumud Flottilla ANSA/FABIO CIMAGLIA

Tra le tante bandiere arcobaleno della pace (quelle cioè con la striscia viola in cima, ndr) che si alzano durante le numerose manifestazioni su Gaza, è immancabile trovare quella caratteristica di Pax Christi, movimento cattolico internazionale strettamente collegato con l’autorità ecclesiale tanto che, ad esempio, il ruolo di presidente è sempre ricoperto da un vescovo nominato dalla Cei.

Genova primo ottobre 2025
ANSA/LUCA ZENNARO

Abbiamo perciò intervistato il vescovo Giovanni Ricchiuti, attuale presidente italiano del movimento, mentre è cominciata l’operazione di blocco delle barche della Sumud Flotilla da parte degli incursori della Marina Militare israeliana. Sono scattate manifestazioni di protesta in diverse città italiane nella notte del primo ottobre e proclamato lo sciopero generale da parte dei sindacati Usb, Si Cobas e Cgil per il 3 ottobre. Sullo sfondo si discute dell’accordo a due Trump-Netanyahu che ridisegna il destino della Striscia di Gaza devastata dai bombardamenti israeliani con un numero spropositato di vittime, che sempre più fonti non hanno timore a definire genocidio. Così come ha fatto da ultimo la “Commissione internazionale indipendente delle Nazioni Unite d’inchiesta sul territorio palestinese occupato, compresa Gerusalemme Est e Israele”.

Contro la Flotilla si è espressa duramente la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, secondo la quale gli aiuti possono essere consegnati senza sfidare Israele: «Risparmiateci le lezioni di morale sulla pace se il vostro obiettivo è l’escalation. E non strumentalizzate la popolazione civile di Gaza se non vi interessa davvero il loro destino». Tesi ribadita con asprezza da Bruno Vespa durante la sua trasmissione giornaliera sulla Rai in collegamento con un componente della Flotilla che non ha potuto replicare.

Come legge questi attacchi all’iniziativa della Flotilla?

Da troppo tempo assistiamo da parte dei principali organi di stampa e televisione italiani ad una ostilità preconcetta che colpisce un movimento vasto e variegato, che va dalle piazze alle parrocchie, dove lo scandalo per ciò che accade è palpabile. Qualsiasi iniziativa promossa dai movimenti per la pace viene quasi sistematicamente accusata di essere un’istigazione alla violenza. È un paradosso amaro.

La Flottiglia è un gesto di assoluta solidarietà. Il suo obiettivo è portare cibo a una popolazione affamata, dirigendosi verso acque territoriali palestinesi, perché Gaza, fino a prova contraria, ha diritto al suo mare. Assistiamo ad un fenomeno incredibile: la nonviolenza che, secondo questa narrazione, scatenerebbe la violenza. L’accusa rivolta alla Flotilla di avere come scopo quello di destabilizzare il governo italiano è semplicemente menzognera.

Che posizione avete preso nel merito come Pax Christi?

Noi non solo appoggiamo pienamente questa missione, ma siamo ammirati dal coraggio dei suoi partecipanti. Siamo in stretto e costante rapporto con alcuni di loro. L’urgenza di questo gesto è drammaticamente umana. Pochi giorni fa, al centro Ernesto Balducci di Zugliano (Udine), ho incontrato una famiglia palestinese fuggita in Italia. La madre era riuscita a mettersi in contatto con il figlio maggiore, rimasto a Gaza, che le ha detto: «Mamma, sono nove giorni che non mangiamo». Di fronte a questo dolore, come si può restare indifferenti?

C’è poi la grande ipocrisia che circonda l’arrivo dei bambini palestinesi feriti in Italia. Vengono accolti e curati nelle nostre strutture sanitarie, ma sono stati colpiti dalle bombe e dalle armi che, oltre gli Usa, la stessa Europa, Italia inclusa, fornisce a Israele. C’è solo da scandalizzarsi per una propaganda che riduce tragedie immani a mero spettacolo.

La Santa Sede evita di usare il termine “genocidio” per descrivere quanto sta accadendo a Gaza, mentre abbiamo visto oltre un migliaio di preti sottoscrivere un appello contro il genocidio unendosi a Roma alla grande manifestazione del 22 settembre. Può spiegarci la sua posizione?

Preti contro il genocidio, Roma, 22 Settembre 2025. 
ANSA/GIUSEPPE LAMI
Premetto che al papa e alla diplomazia vaticana va tutta la mia obbedienza. Tuttavia, mi sia permesso di dire che resto perplesso di fronte a questa prudenza. Comprendo la volontà di non scavare un abisso invalicabile, ma la verità è la verità.

Come si può negare che sia in atto un genocidio di fronte a oltre 60.000 morti, a una città e un’intera striscia di terra rase al suolo? La stessa dichiarazione dell’ONU è stata chiarissima in merito. Di fronte all’evidenza dei fatti, la prudenza rischia di apparire come un silenzio colpevole.

All’interno della Chiesa, voci coraggiose si sono levate. Penso appunto all’iniziativa dei “preti contro il genocidio”. Uno di questi, Tonio Dell’Olio, già presidente di Pro Civitate Christiana, ha lanciato una proposta forte: “Santità, vada a Gaza, e noi le faremo da scorta”. Questa immagine mi ha riportato al sogno di Don Tonino Bello, che promosse la marcia di 500 persone per fermare la guerra a Sarajevo. L’idea di una Chiesa che si fa scudo umano per proteggere gli oppressi rimane potentissima.

Un’accusa ricorrente, quasi un’arma retorica contro i movimenti pacifisti, è quella di creare una gerarchia della sofferenza, focalizzandosi sulle vittime palestinesi a discapito degli ostaggi israeliani. Come risponde a chi vi accusa di avere uno sguardo unilaterale sulla tragedia?

La restituzione degli ostaggi è un passaggio fondamentale per qualsiasi processo di pacificazione, e su questo non c’è alcun dubbio. L’anno scorso, durante un pellegrinaggio a Gerusalemme, abbiamo ascoltato la testimonianza straziante della madre di un giovane ostaggio israeliano. Disse una frase che mi colpì profondamente: “Io soffro per mio figlio, ma soffro anche per le mamme dei palestinesi che in questi giorni stanno morendo”. Ecco, questa è la complessità del dolore.

Detto questo, la verità ci impone di porre un’altra domanda: quanti prigionieri palestinesi, migliaia, sono detenuti nelle carceri israeliane e in quali condizioni? Lo scambio di prigionieri e ostaggi è sempre stato, in ogni conflitto, un momento cruciale verso la riconciliazione.

Pax Christi si espone sempre e partecipa alle manifestazioni per Gaza. Ma ad esempio il prossimo 4 ottobre, mentre la Meloni andrà ad Assisi annunciando di aver ripristinato la festività nazionale di san Francesco, si svolgerà a Roma una grande manifestazione di sostegno alla resistenza palestinese. Non c’è il rischio che dietro al concetto esteso di “resistenza” si nasconda quella armata di Hamas?

Dal punto di vista cristiano, la logica della vendetta semplicemente non ci appartiene, non è nel nostro linguaggio. La pace non può nascere dalla vendetta. Siamo radicalmente contro ogni violenza e lo ripetiamo in ogni contesto. Ci dispiace che sia data troppa enfasi a gesti di pochi come quelli avvenuti a Milano durante la grande manifestazione nazionale del 22 settembre. Abbiamo condannato e condanniamo senza riserve l’eccidio perpetrato da Hamas il 7 ottobre 2023. Ogni violenza va condannata. Ma la storia non inizia quel giorno. I 1.239 morti israeliani sono una tragedia immane, ma come non vedere la sproporzione di fronte agli oltre 60.000 morti palestinesi?

Lei è stato lo scorso agosto in Palestina, un viaggio segnato fin dall’inizio dall’arresto e dall’espulsione di Don Nandino Capovilla. Può raccontarci cosa ha visto e vissuto in quell’esperienza?

Delegazione di Pax Christi in Palestina Giugno 2024.
Vescovo Ricchiuti al centro dietro la bandiera Foto PC
È stata un’esperienza carica di commozione e tristezza. All’arrivo all’aeroporto Ben Gurion, don Nandino è stato fermato e gli è stato notificato un decreto di espulsione: era considerato “un pericolo per Israele”. È stato messo su un aereo e rimandato in Europa. Dopo un primo momento di smarrimento, noi del gruppo abbiamo deciso di continuare la visita, anche come gesto di solidarietà nei suoi confronti. Ciò che ci ha colpito più profondamente è stato non sentire una sola parola di odio o di vendetta da parte dei palestinesi che abbiamo incontrato. Solo una determinazione incrollabile, riassunta nel verbo che il Patriarca emerito Michel Sabbah ripete costantemente: “Resteremo”.

Abbiamo visitato Taibè, Ramallah, Betlemme, incontrando comunità che subiscono angherie quotidiane da parte dei coloni: ulivi secolari distrutti, incendi, offese continue. Eppure, la loro risposta non è l’odio. La storia di Daud, proprietario di decine di ettari di terreno vicino a Betlemme, è emblematica. Da anni i coloni cercano di espropriare la sua terra, un uliveto di famiglia. Lui resiste non-violentemente, forte di documenti che attestano la proprietà della sua famiglia fin dai tempi dell’Impero Ottomano e del Mandato Britannico. La Corte Suprema israeliana non si è ancora pronunciata. La sua esperienza di resistenza nonviolenta è ormai nota come “Tenda delle Nazioni” per il sostegno che riceve da centinaia di persone da tutto il mondo che accoglie ogni anno.

Ad At-Tuwani, nelle colline a sud di Hebron, abbiamo incontrato i giovani volontari italiani dell‘Operazione Colomba, che con la loro presenza nonviolenta cercano di proteggere i pastori palestinesi. Questa è la Sumud: una forma di resistenza tenace, non-violenta, che subisce la violenza senza rispondere con la stessa moneta. È la determinazione a esistere sulla propria terra, vivi o morti.

Ogni critica a Israele, soprattutto se proveniente da ambienti pacifisti, viene quasi automaticamente etichettata come antisemitismo. Come risponde Pax Christi a questa accusa?

È un’accusa che non dovrebbero mai rivolgerci. È semplicemente impensabile che noi cristiani oggi possiamo essere antisemiti. La storia della Chiesa è stata purtroppo macchiata da secoli di antigiudaismo, ma veniamo da un Concilio, il Vaticano II, che ha segnato una rottura definitiva con quel passato. Veniamo da un papa come Giovanni XXIII che, con un gesto storico, fece eliminare l’aggettivo “perfidi” dalla preghiera del Venerdì Santo per gli ebrei. Ogni 27 gennaio commemoriamo commossi l’Olocausto. L’accusa è infondata.

Ciò che noi critichiamo è l’uso strumentale della religione per giustificare un’occupazione militare. Quando sentiamo alcuni rabbini usare l’argomento della “terra promessa” da Dio per legittimare la violenza e l’espropriazione. La terra promessa è il mondo intero, aperto a un popolo che doveva essere luce per tutte le genti. Assistere a violenze spietate compiute in nome di questa interpretazione è una profanazione.

Nel contesto della guerra in Ucraina, invece, opponendovi all’invio di armi verso Kiev, approvato in Italia da una larga maggioranza parlamentare, venite accusati di stare dalla parte dell’aggressore, di essere “putiniani”. Come dire di questa critica?

Mi astengo da un’analisi puramente geopolitica. Non sono né “putiniano” né “zelenskiano”. La mia domanda è rivolta all’Europa. Un’Europa che si vanta di essere Premio Nobel per la Pace, è stata capace solo di rispondere con le armi e le sanzioni? Non abbiamo visto un solo, vero tentativo diplomatico per obbligare le parti a fermarsi.

Mi fa sorridere amaramente la retorica sulle “radici cristiane dell’Europa” pensando alle due guerre mondiali legittimate dalle Chiese. Se queste sono le radici, i frutti sono avvelenati. Un’Europa veramente cristiana avrebbe agito in modo completamente diverso. C’erano e ci sono proposte concrete sul tavolo: la neutralità dell’Ucraina, un’autonomia reale per le regioni del Donbas. Ma si è scelta unicamente la via delle armi.

Già il 3 marzo 2022, Pax Christi lanciò un appello chiarissimo: “Tacciano le armi”. Quella voce, come quella di tanti altri, è rimasta inascoltata. E le armi, fino a oggi, non hanno taciuto.

Vale la pena continuare in questo impegno così scomodo e spesso frainteso?

Certo! Credo che verranno giorni in cui l’umanità capirà che bisogna vivere soltanto come fratelli e sorelle, lasciando stare eserciti, bombe e arsenali. Verranno giorni, ma per questo dobbiamo lavorare, soffrire e talvolta saper attendere.
(Fonte: Città Nuova, articolo di Carlo Cefaloni 02/10/2025)



L’Italia alzi la voce con Israele per salvare le vite sulla Global Sumud Flotilla - LUIGI CIOTTI e LUCA CASARINI

L’Italia alzi la voce con Israele 
per salvare le vite 
sulla Global Sumud Flotilla 
LUIGI CIOTTI e LUCA CASARINI


Ci rivolgiamo con umiltà alle autorità, a chi ha voce e potere, a chi ricopre ruoli di responsabilità dentro le istituzioni del nostro paese.

Rivolgiamo un accorato appello affinché alzino la loro voce per pretendere da Israele il rispetto delle vite e della incolumità dei nostri fratelli e sorelle della Global Sumud Flottilla, in missione verso Gaza. Una missione umana prima che umanitaria, disarmata e disarmante, pacifica, non violenta, volta solo a dare un segno di fraternità e di speranza che parevano smarrite, verso donne, uomini e bambini stremati dalla guerra e dall’orrore che sembra aver imprigionato il mondo intero.

Vi chiediamo in queste ore di levare voce pubblica per parlare allo Stato di Israele che minaccia di usare la violenza contro civili, come fa in Palestina, bombardando ospedali, scuole, case, tende dei campi profughi. Come fa sparando con carri armati su una popolazione deportata e inerme.

Vi chiediamo di ribadire che le acque del nostro Mediterraneo non possono essere zona franca per eserciti armati fino ai denti che agiscono indisturbati in aperta violazione di ogni legge.

Vi chiediamo di difendere i diritti umani e i gesti umani, che rendono onore alla nostra comunità, in un mondo che sembra non riconoscere più cosa sia la compassione, cosa sia la commozione difronte ad un bambino che piange per il dolore.

Vi chiediamo di richiamare con forza alla responsabilità rivolgendovi a Israele, e non solo a chi ha il coraggio di agire in maniera pacifica e non violenta, mettendo in gioco la propria vita per tentare di fermare l’orrore e la guerra contro i civili.

Vi preghiamo di non avere alcuna esitazione nei confronti di chi calpesta sistematicamente i diritti umani, il diritto internazionale e ogni principio e valore sul quale si fonda la nostra civiltà e la nostra Costituzione: levate le vostre voci.

(Fonte:  “l’Unità” - 30 settembre 2025)

mercoledì 1 ottobre 2025

Tonio Dell'Olio: Nel mondo alla rovescia

Tonio Dell'Olio
 
Nel mondo alla rovescia

PUBBLICATO IN MOSAICO DEI GIORNI  1° OTTOBRE 2025


Nel mondo alla rovescia nel quale siamo completamente immersi ci sembra del tutto normale richiamare gli equipaggi della Global Sumud Flottilla alla responsabilità perché non forzino il blocco navale israeliano, non mettano in pericolo la propria vita, non creino una crisi internazionale.

In verità tutti sono pronti ad ammettere che quella flotta agisce nel più rigoroso rispetto delle norme internazionali della navigazione e del diritto. Lo scandalo sta piuttosto dall’altra parte, ovvero dalla parte del governo israeliano e delle sue forze armate che hanno violato e continuano a violare tutte le norme del diritto internazionale e hanno provocato un genocidio senza precedenti. 

Se solo avessimo alzato la voce con la stessa determinazione nei confronti delle scelte scellerate di quel governo, forse avremmo quantomeno ridotto il danno. Quante sono le Risoluzioni dell’Onu che Israele non ha rispettato dal 1948 in poi? Quante le violazioni per le quali nessuno ha mai pronunciato una sentenza o deciso una misura? 

E oggi ci troviamo nella condizione quasi di chiedere scusa al governo israeliano perché persone che impropriamente i giornali definiscono “disobbedienti” decidono di portarsi sulle coste della Striscia per fornire un po’ di aiuti a una popolazione allo stremo. 

Questo è esattamente ciò che da tempo avrebbero dovuto fare i governi dei Paesi democratici del mondo e non hanno osato. 

Per questo non possiamo che stare dalla parte di chi naviga verso l’applicazione delle leggi e non pensa minimamente di violarle.


Intenzione di preghiera per il mese di Ottobre 2025 Preghiamo per la collaborazione tra le diverse tradizioni religiose

Intenzione di preghiera per il mese di Ottobre 2025
Preghiamo per la collaborazione tra le diverse tradizioni religiose

Leone XIV: le religioni non siano armi,
ma ponti in un mondo diviso

Nel video per le intenzioni di preghiera del mese di ottobre, il Papa invita a pregare “per la collaborazione tra le diverse tradizioni religiose”, specialmente nella società contemporanea, colpita da tensioni. In questo mese in cui ricorre il 60.mo anniversario del documento conciliare "Nostra Aetate", il video del Pontefice sottolinea come la fraternità si costruisce anche dal basso, nelle relazioni quotidiane tra le persone



In un mondo “ferito da divisioni profonde”, le religioni non siano “usate come armi o muri” ma “vissute come ponti e profezia”, per realizzare “il sogno del bene comune” e diventare “lievito di unità in un mondo frammentato”

Questo l’auspicio di Leone XIV nel video per le intenzioni di preghiera di ottobre, dedicata questo mese alla “collaborazione tra le diverse tradizioni religiose”. Il filmato è stato diffuso il 30 settembre, dalla Rete Mondiale di Preghiera del Papa e realizzato in collaborazione con l’agenzia La Machi. Nel mese di ottobre, in cui ricorre il 60.mo anniversario del documento conciliare, Nostra Aetate, sui rapporti tra la Chiesa e le religioni non cristiane, il Pontefice esorta a pregare affinché “noi credenti di diverse tradizioni religiose lavoriamo insieme per difendere e promuovere la pace, la giustizia e la fratellanza umana”.

I momenti storici del dialogo interreligioso

Il video è scandito da immagini che ricordano momenti storici importanti per la vita della Chiesa, incentrati sul dialogo interreligioso: l’incontro promosso da Giovanni Paolo II ad Assisi nel 1986; la visita di Benedetto XVI alla Sinagoga di Roma nel 2010; la firma del Documento sulla Fratellanza Umana ad Abu Dhabi nel 2019, sotto il pontificato di Francesco; fino ai più recenti incontri ecumenici di Leone XIV in Vaticano. “Viviamo in un mondo pieno di bellezza” ma anche colpito da molte polarizzazioni e tensioni e “a volte le religioni, invece di unirci, diventano un motivo di conflitto”, afferma il Pontefice in inglese. Cristo, aggiunge, dona il suo Spirito per “purificare i nostri cuori, affinché possiamo riconoscere ciò che ci unisce e, da lì, imparare di nuovo ad ascoltare e a collaborare senza distruggere”.

La costruzione della fraternità inizia dal basso

La preghiera del Successore di Pietro è che Gesù possa aiutare i fedeli di diverse religioni a riconoscersi “come fratelli e sorelle, chiamati a vivere, a pregare, a lavorare e a sognare insieme”. Le sue parole sono accompagnate da riprese di vari incontri interreligiosi promossi a livello locale, a ricordare come la costruzione del dialogo e della fraternità inizi 'dal basso' e non solo nei grandi eventi. Quindi si vedono le immagini dell’incontro interreligioso organizzato a Singapore ad aprile 2025 dalla Caritas e dalla locale Arcidiocesi, in occasione della Giornata della Terra, oppure l’evento “One Human Family” promosso dal Movimento dei Focolari tra maggio e giugno 2024.

“Che gli esempi concreti di pace, giustizia e fraternità nelle religioni ci ispirino a credere che è possibile vivere e lavorare insieme, al di là delle nostre differenze”, è l'invito conclusivo di Papa Leone XIV.

Il dialogo, un tema a cuore dei Pontefici

“Il tema del dialogo interreligioso è una presenza significativa e ricorrente nelle intenzioni di preghiera papali”, sottolinea padre Cristóbal Fones, direttore internazionale della Rete Mondiale di Preghiera del Papa, evidenziando come quella di questo mese “si inserisce” in un “percorso, a testimonianza di un cammino – quello del dialogo – che ai Pontefici sta molto a cuore”. Padre Fones sottolinea inoltre che gli incontri tra i leader religiosi “danno speranza”, ma la preghiera “letta questo mese da Leone XIV ci dice che la collaborazione si costruisce anche quando non fa notizia, ossia nella vita di tutti i giorni”. “Conoscerci e rispettarci, imparare gli uni dagli altri, pregare insieme per l’umanità, difendere e promuovere la pace nei luoghi in cui viviamo” sono “stili di vita quotidiani che tutti possiamo scegliere” per diventare “artigiani di pace e fraternità”, spiega il gesuita. “Il Video del Papa di ottobre ci indica una via”, conclude padre Fones, “riconoscere la dignità di ogni persona, difendere la giustizia, seminare pace”.

La preghiera del video

La Rete Mondiale di Preghiera del Papa ricorda che, nel contesto dell’Anno Santo, il Video del Papa fa conoscere le intenzioni di preghiera che Leone XIV porta nel suo cuore. Il fedele che voglia ottenere la grazia dell’indulgenza giubilare deve pregare per queste intenzioni, ricorda. E pubblica il testo integrale della preghiera inedita contenuta nel filmato diffuso oggi:

Signore Gesù,
tu, che nella diversità sei uno solo
e guardi con amore ogni persona,
aiutaci a riconoscerci come fratelli e sorelle,
chiamati a vivere, a pregare, a lavorare e a sognare insieme.

Viviamo in un mondo pieno di bellezza,
ma anche ferito da divisioni profonde.
A volte le religioni, invece di unirci,
diventano un motivo di conflitto.

Donaci il tuo Spirito per purificare i nostri cuori,
affinché possiamo riconoscere ciò che ci unisce
e, da lì, imparare di nuovo ad ascoltare
e a collaborare senza distruggere.

Che gli esempi concreti di pace,
giustizia e fraternità nelle religioni
ci ispirino a credere che è possibile vivere
e lavorare insieme, al di là delle nostre differenze.

Che le religioni non vengano usate come armi o muri,
ma piuttosto vissute come ponti e profezia:
rendendo realizzabile il sogno del bene comune,
accompagnando la vita, sostenendo la speranza
e diventando lievito di unità in un mondo frammentato.

Amen.
(fonte: Vatican News, articolo di Isabella H. de Carvalho 30/09/2025)

#CHIAREZZA - Breviario di Gianfranco Ravasi

 #CHIAREZZA 
Breviario 
di Gianfranco Ravasi


 
Quando un lettore (o ancor più telespettatore) non capisce, la colpa non è sua ma di chi non ha saputo comunicare. Cioè dell'autore. È stato lui a cacciarlo via

       È stato un maestro della divulgazione scientifica, a tutti noto proprio per la sua chiarezza che però non concedeva spazio alla superficialità e alla semplificazione banale. Stiamo parlando di Piero Angela (1928- 2022): dal suo volume Viaggi nella scienza abbiamo attinto questa sua confessione che meriterebbe di essere assunta a programma dai comunicatori, dagli insegnanti, dagli oratori, dai giornalisti e dagli stessi studiosi. Continuava cosi: "Quando sono in moviola, se ho dubbi sulla chiarezza di un passaggio di una sequenza, chiamo il primo che passa nel corridoio (un montatore, una segretaria, un passafilm), mostro la sequenza e chiedo il loro parere. Se vedo un'ombra di dubbio nei loro occhi, rismonto e ricomincio da capo perché vuol dire che avevo sbagliato io"
       Certo, esiste un linguaggio tecnico specifico nelle varie discipline, ma è importante anche la divulgazione la cui pratica talora è più impegnativa nella sua corretta elaborazione. Essa indubbiamente suppone una semplificazione o un'approssimazione, ma esige la capacità di conoscere, cogliere ed esprimere la sostanza autentica della realtà. Un altro noto giornalista, esemplare per chiarezza, Beppe Severgnini, definiva la sintesi vera come "una spremuta del pensiero che fa bene alla salute mentale".
       E comparava questo lavoro a quello del decespugliatore che taglia ciò che è secondario nell'albero per farlo crescere. Ritorniamo, così, alla necessità della comunicazione chiara per l'insegnante, il giornalista, il predicatore, l'educatore perché- come diceva uno del miei maggiori maestri di esegesi biblica, lo spagnolo Luts Alonso Schökel- chiarità è carità.