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venerdì 9 dicembre 2022

DOV’È L’UOMO, OGGI? L’odierno contesto culturale e biotecnologico di postumanesimo e transumanesimo ci interpella

DOV’È L’UOMO, OGGI?
L’odierno contesto culturale e biotecnologico
di postumanesimo e transumanesimo ci interpella
Maurilio Assenza 

(VIDEO INTEGRALE)



Settimo e ultimo dei Mercoledì della Spiritualità 2022
tenuto solo online il 30 novembre 2022
e promosso dalla
Fraternità Carmelitana
di Barcellona Pozzo di Gotto 
                                                                            Foto di repertorio

Dov’è l’uomo, oggi?
Nietzsche affida l’annuncio della “morte di Dio” (ovvero della fine di tutte le certezze) al profeta Zaratustra che sfida, con la sua lanterna accesa in pieno giorno, la folla che, sulla piazza del mercato è in attesa del funambolo, gridando “Cerco l’uomo!”. Mi sembra un’immagine efficace e ‘profetica’ per dire dov’è l’uomo oggi. Sono finite le certezze, e per questo l’uomo è al tempo stesso uno che deve oltrepassare l’esistente (ma solo il profeta se ne rende conto), oppure uno che facilmente cade in un vuoto e nello stordimento. Ed ecco come si diventa massa, come il centro di tutto diventa il mercato e, l’attesa, non è più di un Messia, ma di un funambolo.

La storia ci insegna che ogni svolta è complessa e lenta, e va letta cautamente. Per questo mi sembra anzitutto importante cogliere il contesto più ampio in cui si sviluppano post-umanesimo e trans-umanesimo e guardarlo in tutta la sua problematicità, ma anche in tutte le prospettive che si possono intravedere nella misura in cui – lasciandoci interpellare! – non ci lasciamo impaurire ma comprendiamo a quale bisogno di fondo rimandano e quali vie ‘altre’ sono possibili rispetto all’attesa di un funambolo.

Nietzsche stesso, dopo una fase destruens, affida la pars costruens a un uomo che deve superare se stesso (l’oltreuomo) e percorrere una corda tesa su un abisso tra due sponde.

Dov’è l’uomo? Ora sulla piazza del mercato, ora – in coloro che hanno consapevolezza dei tornanti della storia – a camminare su un filo di corda posto sull’abisso. O anche nel deserto a cercare una via, «un deserto che avanza, temo – dice Nietzsche – soprattutto dentro di noi». E sono belle le immagini che usa per andare oltre attraverso le tre “metamorfosi dello spirito”: il cammello che porta pesi, il leone che toglie squame al drago, il bambino che gioca a dadi attaccato alla ruota del carro.

E l’uomo credente? Per Nietzsche, è attorno al cadavere di Dio in chiesa … È colto il rischio di un cristianesimo inconsapevole e infecondo quando si allontana dalle fonti evangeliche, mentre nella sostanza si coglie come il tema della vita sia la rinascita, che ha bisogno in un cristianesimo maturo nell’apertura allo Spirito che si apprende dal rapporto tra Cristo e il Padre. Diventa un’esistenza che, nel dono di se stessi, trova la sua pienezza fino alla gioia.
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5. “Essere uomini diversi da come siamo stati”

Cerco allora di dare il giusto posto e anche il giusto tono a quanto trattiamo: un punto per il contesto, tre punti per descriverlo (e ritrovarci con interrogativi che ci interpellano in profondità) e altrettanti, altri tre punti, per cercare vie che permettano di “guardare oltre”. Senza lasciarsi catturare dal moralismo o da narcisistiche repulsioni-attrazioni, che fanno intravedere strade semplici di uscita ma sempre nel surreale, e cogliendo l’importanza di lavorare su due elementi che restano fondamentali per restare umani a contatto con la realtà: il discernimento, la sapienza; il corpo, la relazione. E del postumano riprendere l’interpellanza a una pienezza di umanità, però ritrovata su strade più sicure.

A cosa in fondo siamo interpellati? Quale punto – seppur in opposizione dialettica – possiamo trovare in comune? A me pare quello di cercare – lo dico con il poeta Mario Luzi – di «essere uomini altri da come siamo stati».
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6. La ‘necessità’ dei corpi e dell’empatia

Per portare a pienezza la nostra umanità abbiamo la necessità dei corpi, punto di partenza opposto al transumano, ma che i bambini ci donano con il loro esserci. Abbiamo bisogno di cogliere il debito reciproco che ci fa umani e attraversare le prove “temprandoci senza indurirci” e quindi di affrontare con pienezza e integrità l’impegno di ogni giorno, come afferma Etty Hillesum, che aggiunge: «Ho il dovere di vivere nel modo migliore e con la massima convinzione, sino all’ultimo respiro: allora il mio successore non dovrà più ricominciare tutto da capo, e con tanta fatica».

Anche per Edith Stein il corpo, la corporeità è la prima stratificazione dell’uomo, che apre al contatto con gli altri e con se stessi e quindi alla pienezza di vita, formando un “uomo plastico”, capace di energie per tessuti vivi di comunità. Possiamo così meglio comprendere la “struttura della persona umana” che dipende dal fluire degli atti intenzionali – tutto l’opposto di una vita meccanizzata, ma motivo di pienezza! – che accade nella misura in cui l’apertura all’altro interrompe la continuità dell’ordinario.

 

«Cosa vuol dire che l’essere umano è responsabile di se stesso? Vuole dire che da lui dipende ciò che egli è e che gli si chiede di dare di se stesso qualcosa di determinato: egli può e deve formare se stesso. Nessun animale può farlo. Guardo negli occhi un animale e vedo qualcosa che mi guarda, ma la sua anima è muta e prigioniera, incapace di uscire e giungere a me. Guardo un essere umano negli occhi e il suo sguardo mi risponde. Mi lascia penetrare nella sua interiorità o mi respinge. Egli è signore della sua anima e può chiudere e aprire le sue porte. Quando due essere umani si guardano, un io sta di fronte a un altro io. Può essere un incontro che viene sulla porta o nell’interiorità. Se è un incontro che avviene nell’interiorità, l’altro io è un tu. Lo sguardo dell’uomo parla. Un io padrone, vigile di sé, mi vede».

 

Non siamo solo all’opposto di una vita meccanica e tutta esteriore, come prevede il post/trans-umanesimo, con una chiara freddezza al di là della (meccanica) effervescenza, ma siamo in presenza di una vita in cui si intrecciano gli sguardi e si attivano incontri, fortemente legati alla capacità di scendere in profondità e così di raggiungere una pienezza ricca di calore e di relazionalità.

 

«La mia anima ha estensione e profondità, può essere riempita da qualcosa, qualcosa può penetrare in essa. In essa io sono a casa, in modo totalmente diverso da come lo sono nel mio corpo vivente. Nell’io io non sono a casa, solo un io che ha un’anima può sentirsi a casa. A seconda degli atti in cui, di volta in volta, l’io vive, esso occupa una posizione nell’anima. Vi è però un punto dell’anima in cui l’io trova il suo luogo proprio, il luogo della sua pace, che egli deve sempre cercare finché non l’abbia trovato e a cui sempre, se l’ha abbandonato, deve ritornare, questo è il punto più profondo dell’anima. Solo qui l’anima può ‘raccogliersi’ poiché da nessun altro punto può abbracciare se stessa totalmente. Solo da qui può prendere decisioni in piena coscienza, da qui può impegnarsi per qualcosa, può sacrificarsi e donare se stessa. Si unifica nella sua profondità, che è il luogo proprio dell’io personale».


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