5. “Essere uomini diversi da come siamo stati”
6. La
‘necessità’ dei corpi e dell’empatia
Per portare a pienezza la nostra
umanità abbiamo la necessità dei corpi, punto di partenza opposto al transumano,
ma che i bambini ci donano con il loro esserci. Abbiamo bisogno di cogliere il
debito reciproco che ci fa umani e attraversare le prove “temprandoci senza
indurirci” e quindi di affrontare con pienezza e integrità l’impegno di ogni
giorno, come afferma Etty Hillesum, che aggiunge: «Ho il dovere di vivere nel
modo migliore e con la massima convinzione, sino all’ultimo respiro: allora il
mio successore non dovrà più ricominciare tutto da capo, e con tanta fatica».
Anche per Edith Stein il corpo, la
corporeità è la prima stratificazione dell’uomo, che apre al contatto con gli
altri e con se stessi e quindi alla pienezza di vita, formando un “uomo
plastico”, capace di energie per tessuti vivi di comunità. Possiamo così meglio comprendere la “struttura della persona
umana” che dipende dal fluire degli atti intenzionali – tutto l’opposto di una
vita meccanizzata, ma motivo di pienezza! – che accade nella misura in cui
l’apertura all’altro interrompe la continuità dell’ordinario.
«Cosa
vuol dire che l’essere umano è responsabile di se stesso? Vuole dire che da lui dipende ciò che egli è e che gli
si chiede di dare di se stesso qualcosa di determinato: egli
può e deve formare se stesso. Nessun
animale può farlo. Guardo negli occhi un animale e vedo qualcosa che mi guarda,
ma la sua anima è muta e prigioniera, incapace di uscire e giungere a me.
Guardo un essere umano negli occhi e il suo sguardo mi risponde. Mi lascia
penetrare nella sua interiorità o mi respinge. Egli è signore della sua anima e
può chiudere e aprire le sue porte. Quando due essere umani si guardano, un io
sta di fronte a un altro io. Può essere un incontro che viene sulla porta o
nell’interiorità. Se è un incontro che avviene nell’interiorità, l’altro io è
un tu. Lo sguardo dell’uomo parla. Un io padrone, vigile di sé, mi vede».
Non siamo solo all’opposto di una vita
meccanica e tutta esteriore, come prevede il post/trans-umanesimo, con una
chiara freddezza al di là della (meccanica) effervescenza, ma siamo in presenza
di una vita in cui si intrecciano gli sguardi e si attivano incontri,
fortemente legati alla capacità di scendere in profondità e così di raggiungere
una pienezza ricca di calore e di relazionalità.
«La mia anima ha estensione e profondità, può essere riempita da qualcosa, qualcosa può penetrare in essa. In essa io sono a casa, in modo totalmente diverso da come lo sono nel mio corpo vivente. Nell’io io non sono a casa, solo un io che ha un’anima può sentirsi a casa. A seconda degli atti in cui, di volta in volta, l’io vive, esso occupa una posizione nell’anima. Vi è però un punto dell’anima in cui l’io trova il suo luogo proprio, il luogo della sua pace, che egli deve sempre cercare finché non l’abbia trovato e a cui sempre, se l’ha abbandonato, deve ritornare, questo è il punto più profondo dell’anima. Solo qui l’anima può ‘raccogliersi’ poiché da nessun altro punto può abbracciare se stessa totalmente. Solo da qui può prendere decisioni in piena coscienza, da qui può impegnarsi per qualcosa, può sacrificarsi e donare se stessa. Si unifica nella sua profondità, che è il luogo proprio dell’io personale».
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