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sabato 31 dicembre 2022

Vito Mancuso ed Enzo Bianchi commentano l'articolo di Michela Murgia sul Natale

Vito Mancuso ed Enzo Bianchi commentano
l'articolo di Michela Murgia sul Natale



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Vito Mancuso
Cara Murgia, tra umano e divino ecco chi è il Dio bambino

L’idealizzazione nasce soprattutto grazie all’invenzione del presepe da parte di San Francesco: così intendeva onorare il Maestro, secondo il quale solo chi si fa piccolo entrerà nel regno dei cieli


Nell'articolo apparso su questo giornale il giorno di Natale Michela Murgia ha accusato in modo piuttosto aspro il cattolicesimo di essere «l’unica tra le confessioni cristiane a infantilizzare il suo Dio». Io penso di capire qual è il suo obiettivo: sono quei cattolici che si commuovono davanti al presepe cantando «Tu scendi dalle stelle» e subito dopo chiudono il cuore davanti a quelle persone che cercano accoglienza perché arrivano dal mare. Quei cattolici che proclamano fervorosamente «Dio Patria Famiglia», ma solo a condizione che si tratti del «loro» Dio, della «loro» Patria, della «loro» Famiglia, svelando così che in realtà il vero interesse è solo ciò che è loro, quindi loro stessi, facendo in questo modo dell’egoismo il valore assoluto. Io penso sia questo l’obiettivo di Murgia e lo condivido, perché anch’io ritengo da sempre che fare del cattolicesimo il guardiano della coscienza egoista dell’Occidente opulento sia un tradimento del messaggio evangelico.
Detto questo, però, il modo con cui Murgia procede per sostenere la sua tesi è tale, a mio avviso, da presentare non pochi problemi sotto il profilo contenutistico sia biblico sia teologico. Argomento la mia affermazione partendo dai problemi più leggeri lasciando alla fine ciò che ritengo veramente grave.

Per quanto concerne l’esegesi biblica Murgia scrive che «nelle Scritture il racconto biblico della nascita di Gesù somiglia più alla trama di un film drammatico». Si tratta di un’affermazione solo parzialmente vera, che vale per il racconto della nascita di Gesù presentato da Matteo ma non per quello di Luca. I due resoconti sono così diversi tra loro da renderne impossibile l’armonizzazione e da dover concludere che le cose in quei giorni andarono o come le racconta Matteo o come le racconta in Luca ...
Nella mente di molti, compresa quella di Murgia, i due racconti si fondono e si confondono, con la poca chiarezza che ne consegue.

Un secondo problema di ordine teologico ed esegetico è dato da questa affermazione di Murgia: «Solo i cattolici hanno compiuto nella persona del Cristo incarnato l’idealizzazione dell’infanzia, costruendo intorno alla sua nascita una retorica di tenerezza zuccherosa priva di riscontro biblico». Qui gli errori sono due: che solo i cattolici avrebbero idealizzato l’infanzia di Cristo e che tale operazione sarebbe priva di supporto biblico. Inizio da quest’ultimo aspetto, affermando che in realtà la tenerezza verso l’infanzia ha diversi riscontri biblici ...
E che non siano stati solo i cattolici a idealizzare l’infanzia di Cristo lo prova per esempio ...
Neppure corrispondono al vero queste altre parole dell’autrice, cioè che «nelle altre chiese di derivazione evangelica la devozione per Gesù neonato – per Maria bambina, di sponda – è praticamente inesistente». In realtà la devozione verso il Bambino e la Madre oltre che nel cattolicesimo è molto presente nell’ortodossia, lo testimoniano sia le icone sia le feste ...

Ma è soprattutto il profilo teologico-sistematico dell’articolo di Murgia a destare come minimo perplessità, laddove si legge: «Dio si è fatto come noi per farci come lui...». La frase descritta in quel modo da Murgia, e che in effetti si trova in un noto canto liturgico, è in realtà uno dei più importanti assiomi teologici di tutti i tempi, coniato da Ireneo di Lione ... Affermare che la frase «Dio si è fatto come noi per farci per farci come lui» sia semplice musica liturgica postconciliare mistificatrice del vero cristianesimo (cercando persino sponda in Benedetto XVI) è davvero qualcosa di molto imbarazzante. Si può credere o non credere nella dottrina cristiana, ma se vi si crede non si può scrivere che il centro dogmatico e spirituale del cristianesimo sia «mistificatorio». ...
Il farsi come noi da parte di Dio (l’umanizzazione) per farci come lui (la divinizzazione) è il cuore concettuale del cristianesimo e costituisce la sua differenza specifica rispetto all'ebraismo, per il quale non è possibile né una umanizzazione di Dio né una divinizzazione dell’uomo, perché Dio è e rimarrà sempre «totalmente altro». Per il cristianesimo, al contrario, tutto si gioca qui: che Dio si è fatto come noi per farci come lui. ...
L’umano è il valore assoluto? Sì, ma solo a patto di essere consapevoli che tale affermazione contiene anche un grande rischio: quello che Friedrich Nietzsche denunciava dicendo «umano, troppo umano». Un cristianesimo che si riduce a essere solo umanità, cioè solo caritas, accoglienza, impegno per il prossimo e i migranti e i diversi, un cristianesimo solo orizzontale, è destinato a diventare come quel sale di cui parlava Gesù dicendo che «perde il sapore e a null’altro serve che a essere gettato via e calpestato dalla gente». È chiaro che il cristianesimo non potrà mai fare a meno di accogliere e di essere dalla parte degli ultimi, tra cui i più indifesi quali i bambini e soprattutto i vecchi. Ma la fonte da cui scaturisce la sua energia non potrà essere unicamente l'umano, ma l’umano unito al divino e il divino unito all’umano.
Un’ultima cosa. Non è vero che è solo il cattolicesimo tra le confessioni cristiane ad aver idealizzato il bambino facendone una tra le più preziose manifestazioni del divino, è vero però che il cattolicesimo ha compiuto tale operazione in modo mirabile, soprattutto a seguito di Francesco d’Assisi che nel 1223 a Greccio a tal fine inventò il presepe. Egli intendeva in questo modo onorare il suo maestro ...

Lo specifico del pensiero di Gesù è l’armonia tra l’umano e il divino, tra il grande e il piccolo, tra l’adulto e il bambino. In questa armonia consiste il cristianesimo e, a mio avviso, anche l’anima della nostra civiltà detta Occidente. Decadente e detestabile per molti aspetti, essa rimane pur sempre il luogo più attento della Terra ai diritti umani, un’attenzione che gli proviene dall’aver creduto per secoli che Dio si è fatto come noi per farci come lui.



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Enzo Bianchi
Il Dio Bambino la nostra memoria

La fede cristiana ci vuole adulti maturi, ma abbiamo paura di stare davanti al Signore nella nostra umanità.  Gesù è nato meglio di come è morto: alla nascita è avvolto in fasce, sulla croce è inchiodato.


“È più facile rendere la divinità bambina che l’umanità adulta…”. Così si concludeva l’articolo di Michela Murgia pubblicato su questo giornale alla vigilia di Natale inducendo il lettore a ripensare la celebrazione della nascita di Gesù e a interrogarsi sulle immagini di Dio che ogni cristiano custodisce nel suo cuore. Certamente Murgia intende contestare una certa idealizzazione dell’infanzia che ha ricevuto molto spazio nella tradizione cattolica, e quindi ridare al Natale tutta la forza che l’evento ricordato contiene, senza per questo sopravvalutarlo.

Ad alcune affermazioni certamente un po’ troppo sbrigative ha reagito Vito Mancuso facendo una rilettura dei testi natalizi e della tradizione cristiana che vive ancora oggi il Natale come una grande festa, molto sentita popolarmente e appartenente alla tradizione dell’occidente. Non voglio assolutamente far polemica, ma, da cattolico assiduo frequentatore delle Scritture, intendo semplicemente partecipare a questo confronto cercando di capire.

Innanzitutto è bene ricordare che gli eventi riguardanti la nascita di Gesù non sono presenti in tutti i vangeli, ma solo in quelli di Matteo e Luca e che sono racconti editi più tardi, e perciò non essenziali alla pienezza della fede cristiana in Gesù Cristo crocifisso e risorto! Anche Paolo l’Apostolo ignora totalmente questi racconti mai presenti nella sua predicazione. È la comunità cristiana che solo successivamente ha sentito il bisogno di riandare anche alla nascita e all’infanzia di Gesù accogliendo tradizioni raccolte nei vangeli dell’infanzia che precedono il tempo degli anni oscuri di Gesù, da dodici a circa trent’anni, quando inizierà la sua missione pubblica come discepolo di Giovanni il Battezzatore avendo raccolto attorno a sé un gruppo di alcuni uomini e alcune donne di Galilea.

Il racconto lucano incentra la preistoria del Messia sulla madre di Gesù, Maria, di cui mette in rilievo la sua verginità, un linguaggio apocalittico per dirci che un uomo come Gesù solo Dio ce lo poteva dare attraverso la potenza del suo Spirito santo. Mentre Matteo vuole soprattutto testificare l’appartenenza di Gesù alla discendenza messianica di Davide, quale re dei giudei che, appena nato, desta l’ostilità dei poteri di questo mondo che lo perseguitano e lo vogliono eliminare. Per Matteo, Gesù riassume in sé la storia del popolo d’Israele entrato e uscito dall’Egitto, salvato prima di essere salvatore. I racconti dell’infanzia di Gesù sono dunque un midrasch, dei racconti teologici che profetizzano la vita e il destino del Messia scritti alla luce della fede Pasquale. Come scrive l’esegeta Raymond Brown: “Il Cristo adulto è retroproiettato a Natale”.

E se la chiesa ha vissuto celebrando la Pasqua e la domenica come giorno del Signore per tre secoli, più tardi, solo nel IV secolo, ha iniziato a fare memoria della nascita di Gesù a Betlemme com’è testimoniata dai vangeli dell’infanzia.

Perciò un cristiano maturo e nutrito dal Vangelo celebra certamente il Natale, ma come memoria di un evento già avvenuto storicamente, avvenuto al tempo di Erode, re della Giudea, e di Augusto imperatore di Roma. Gesù non nasce ora, ma è nato, non si aspetta e non si invoca la nascita di Gesù – sarebbe una regressione psichica e spirituale, anche se purtroppo la si esprime così –, ma si aspetta e si invoca la venuta di Gesù Signore nella sua gloria.

È veramente triste quando si sente dire che a Natale Gesù sta per nascere, impedendo e negando ogni orizzonte escatologico: il cristiano, come sempre hanno affermato i padri, è “colui che aspetta la venuta del Signore nella gloria”. Questo evento ci sta davanti, mentre la nascita a Betlemme è indietro, nel nostro passato.

Dunque a Natale, nella memoria di Gesù che nasce da una donna, Maria, che è adagiato in una mangiatoia, contempliamo l’umiltà, la fragilità, la piccolezza di un Dio che si è fatto umanità, corpo mortale e debole come ciascuno di noi. Già a Betlemme si delinea lo scandalo della croce, dell’abbassamento, dello svuotamento, della kénosis di Dio: ormai non si può più pensare a Dio senza pensare all’uomo, e non si può pensare l’umanità senza pensare Dio. Questo svuotamento, questa povertà, questa debolezza sarà epifania radicale sulla croce: Gesù nudo, maledetto da Dio e dagli uomini, rigettato e condannato è l’autentico e definitivo racconto (exeghésato, cf. Gv 1,18) di Dio, che nessuno ha mai visto e nessuno può vedere se non al di là della morte.

Michela Murgia ha comunque ragione quando denuncia come solo cattolico un culto dell’infanzia di chi poi è cresciuto ed è diventato una persona: né gli ortodossi né i riformati sarebbero capaci di una venerazione di “Maria bambina” o di “Gesù bambino”; altro è fare memoria, altro è venerare! E il presepio è una memoria, bellissima memoria della venuta nel mondo del nostro Dio in un neonato da donna, uno in tutto uguale a noi umani.

Certamente i padri della chiesa ci direbbero oggi: “Non mettete nel presepio in casa vostra le statuine di coloro che sono poveri e che voi lasciate fuori al freddo e senza casa; non allineate davanti alla culla le statuine di quelli venuti da altre terre e da altre culture che voi non accogliete perché stranieri; non ascoltate musiche angeliche per non ascoltare il grido di chi soffre”… Rincresce forse a molti, ma il Vangelo va preso sul serio e non permette ipocrisie perché ama Dio chi ama l’altro, adora Dio chi ha cura dell’altro, loda Dio chi benedice l’altro.

L’umanizzazione di Dio che festeggiamo a Natale la vediamo veramente portata a compimento sul Golgota, sulla croce. Significa anche che diventeremo per grazia, non oggi ma nel Regno, il Figlio di Dio, come scrive Ireneo da Lione: “Diventeremo Dio perché Dio sarà tutto in tutti”. Ma questo osiamo solo sperarlo, e noi cristiani dell’occidente facciamo addirittura fatica a dirlo, pur conoscendo questa affermazione luminosa dei padri orientali.

La fede cristiana ci vuole adulti, cristiani maturi, secondo la Lettera agli Ebrei, ma è vero che è più facile restare immaturi, perché abbiamo paura di stare davanti a Dio nella nostra umanità, come figli e figlie liberi e non come schiavi schiacciati dalle nostre paure.

Gesù è nato come ha vissuto, è venuto al mondo come è stato al mondo. Ma, a ben guardare, Gesù è nato meglio di come è morto: alla nascita è avvolto in fasce, nella passione è spogliato delle sue vesti; nella mangiatoia è adagiato, sulla croce è inchiodato; nasce in una greppia, muore su un patibolo. Alla sua nascita ha accanto madre e padre, sulla croce è abbandonato addirittura da Dio. Don Primo Mazzolari ha colto bene questo contrasto: “Un bambino è un mistero sopportabile, il crocifisso no. Una culla, anche in una greppia è poesia, una croce piantata su un monte è un patibolo”, e denunciava la tentazione dei credenti di sempre, quella di contemplare il Signore dove si sta bene: a Betlemme, a Nazareth, sul monte della Trasfigurazione non sul Golgota.

Pubblicato su La Stampa - 29 Dicembre 2022
(fonte: blog dell'autore)