Matteo Zuppi:
" L’amore non possiede, dona ..
Quando si ha paura si alzano barriere,
mentre quando si guarda al futuro si abbattono."
Discorso alla cerimonia di conferimento
della cittadinanza onoraria di Bologna,
Palazzo d'Accursio - 15/12/2022
Gentili e cari Sindaco, Presidente del Consiglio Comunale, Consiglieri tutti,
all’unanimità avete voluto tutti concedermi questo che è un onore e un legame che ci unisce ancora di più, in quella comunità civica che è la nostra città di Bologna. Grazie è la parola che mi sorge dal cuore e che vi porgo con riconoscenza. Grazie per una decisione che sento destinata alla mia persona, e siccome sono convinto che tutto sia grazia, cioè dono senza calcoli e meriti, di solo amore, e consapevole dei miei limiti, penso sia un riconoscimento a quel “noi” che è la Chiesa, alla quale appartengo, cui ho legato la mia vita e che mi ha portato qui a Bologna. Penso a chi mi ha preceduto, ai tanti sacerdoti e santi della porta accanto che la vivono e la rappresentano. La grazia significa l’amore di Dio che si manifesta nella nostra vita concreta, umana, contraddittoria e misera com’é. E non faccio certo eccezione! Proprio nell’umiltà della nostra condizione si rivela l’amore spirituale di Dio che illumina e anima l’umano. L’umano, a sua volta, dona forma alla dimensione personale e invisibile che è essenziale, com’è noto, ed è l’unica capace di rendere tutte le cose preziose e belle perché amate.
Il “noi” della Chiesa è molto più articolato e largo di quello che noi stessi vogliamo definire e misurare. La Chiesa é una famiglia che cerca nell’umanità di mettere tutto in comune (quando la Chiesa ha pensato che per essere tale dovesse ammettere solo gli angeli è stata pericolosa per gli altri e per se stessa!). La Chiesa é sempre chiamata da quel padre misericordioso che accoglie il figlio che si era perduto, ridonandogli tutto quello che aveva dilapidato, e che insegna a quello che era rimasto pieno di rivendicazioni che tutto è in comune, perché nella sua casa la regola è che quel che è mio è tuo. La Chiesa di Bologna ha alla sua origine un padrone e uno schiavo che morirono assieme per amore di Colui che aveva insegnato loro a riconoscersi e amarsi come fratelli, Vitale e Agricola, annullando le classi e vincendo tutti i pregiudizi. Solo l’amore permette di trovare il proprio io, perché ci fa entrare in relazione con l’altro, senza renderci uguali ma complementari.
La nostra è una comunità che vive e soffre insieme alla città degli uomini perché “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore”. Bologna è il mio e nostro noi. San Petronio lo ricorda: stringe tutta la città tra le sue mani, ce la presenta perché nessuno si pensi come un’isola e ci ammonisce di servirla e non di usarla. Petronio la stringe a sé ma non la possiede, perché la ama. L’amore non possiede, dona. S. Petronio protegge tutti, senza distinzioni, e perché sia per tutti deve essere dei più poveri, di chi ha più difficoltà e sofferenza. La forza di Bologna è sempre stata l’umanità, la cultura che diventa lavoro e intelligenza, accoglienza, così come ha ricordato prima anche il Sindaco. La città non è una rotonda ma un luogo d’incontro, un vero crocevia, originale, creativo, e che proprio per questo si rigenera continuamente. Non è mai la stessa. Non possiamo essere sempre quelli di una volta, perché il mondo non resta quello di una volta. Ha cambiato nei secoli tante mura! Adesso le ha buttate giù perché voleva crescere. Quando si ha paura si alzano barriere, mentre quando si guarda al futuro si abbattono. Adesso non ci sono più, eppure il perimetro è rimasto proprio quello, come se ci fossero. Questa è la sfida: non avere barriere, pensarsi in maniera larga, essere accoglienti verso tutti, senza paura di confrontarsi con il grande orizzonte del mondo, tanto da liberarsi dalle mura, ma allo stesso tempo conservando l’identità, non smarrendosi nell’universale che diventerebbe spersonalizzante e omologante. Una città aperta, ma città. Bologna conserva la sua storia e tradizione, il suo umanesimo che include la difesa dei diritti individuali, ma li colloca con coraggio e responsabilità sempre nella costruzione del noi, nella solidarietà, nel pensarsi insieme. Senza il noi rischiamo di andare contro lo stesso individuo! I portici, poi, sono i corridoi di questa nostra casa comune, luogo d’incontro, spazio di protezione materna che favoriscono, appunto, l’incontro. Bologna che guarda al futuro si pensa con l’area metropolitana e tesse una rete di collegamento e prossimità. Pensarsi sempre più una cosa sola, insieme alla pianura e alla montagna, offre tante nuove prospettive e dà possibilità nuove a ciascuno. Questo chiede di pensarsi sempre più in relazione, con le virtù che ciò richiede.
La città non è mai un dato anagrafico o una menzione sul certificato di residenza. La città è la nostra casa comune, la prima, che ci aiuta a collocarci in quella più grande. La città ci costituisce come persone relazionali, come parte di una comunità. Eppure il cristiano vive questa dimensione identitaria da cittadino della terra ma anche del cielo. Guardare alla nuova Gerusalemme che ci aspetta, alla città del cielo che deve venire, ci aiuta a costruire e a rendere umana la Gerusalemme della terra perché vogliamo farla diventare come la città in cui vivremo per sempre, là dove i rapporti tra le persone saranno improntati alla verità, alla comunione e all’amore, al rispetto di tutti, specialmente dei più poveri. Le dodici porte ricordano proprio quest’unione tra la città del mondo e quella del cielo. Fare le cose per amore del Signore libera dal farle per noi stessi, per convenienza di singolo o di gruppo, per l’io senza il noi. Chi ama Dio ama il prossimo e deve farlo gratuitamente, come avviene tra fratelli e sorelle. La Chiesa é una madre che difende la vita e la ama, dall’inizio alla fine e per tutti. Per questo stasera ricordo volentieri il Cardinale Lercaro che nella stessa occasione, ricevendo la cittadinanza onoraria, disse che al di là della stessa Chiesa come compagine sociale voleva si vedesse soltanto l’Evangelo perché l’onore reso a lui lo intendeva solo come onore reso al Vangelo. E disse di sentirsi debitore vostro e, anche attraverso di noi, di tutta la città e, quindi, per mezzo vostro volle rendere alla città e al popolo di Bologna tutto quello che aveva e che era.
I capitoli del Liber Paradisus non sono finiti. Anzi! Quanto abbiamo da liberare, perché ci sono altre schiavitù e condizioni di fragilità da affrancare, anche con investimenti adeguati, che vanno dal lavoro nero all’abbandono scolastico, all’integrazione di chi altrimenti resta sempre straniero. Ma anche quelle di chi è prigioniero di catene invisibili, resistentissime come tutte le povertà, della solitudine che spoglia di valore la persona, del disagio psichiatrico, del dramma della casa, della mancanza di posti per gli studenti, delle dipendenze che sono vere e priorie schiavitù dalle quali non ci si libera se non aiutati. E poi la perdita dell’autosufficienza, o semplicemente la vecchiaia, non può significare perdita della casa e del contesto affettivo! Non basta la crescita individuale se non c’è quella nella relazione con gli altri. Chi cresce ha bisogno di basi sicure che oggi non possono essere solo la famiglia ma sempre di più la comunità. La tradizione di solidarietà della nostra città offre tante indicazioni per affrontare le nuove sfide e per aiutare a entrare nell’ascensore sociale. Sentiamo nostre tutte le vittime della mostruosità della guerra causata da aggressori che, contro gli interessi del loro stesso popolo, distruggono e si distruggono. Come non sentire nostra l’Ucraina e i suoi tanti figli e figlie che qui lavorano, vivono e sono stati accolti, tutto il popolo il cui dolore diventa il nostro dolore! Non dimentichiamo certo tutti i pezzi della guerra mondiale. Con loro sentiamo nostre le persone delle quali vengono calpestati i diritti, e con Papa Francesco chiediamo per il Natale clemenza verso tutti i prigionieri e la grazia per i condannati a morte.
A Bologna matura il diritto alla pace. Bologna, una delle prime città di cultura europea, deve continuare a costruire il sogno dell’Europa dopo due guerre mondiali e violenze atroci di popoli contro popoli. L’Unione è nata per tutelare il diritto alla pace. Cent’anni fa si levò il grido di Benedetto XV, che era stato Vescovo di Bologna, il quale definì la guerra «inutile strage». Dissociarsi in tutto dalle cosiddette “ragioni della guerra” parve a molti quasi un affronto. Ma la storia insegna che la guerra è sempre e solo un’inutile strage. Purtroppo lo capiamo solo dopo e troppo tardi e lo dimentichiamo presto! Aiutiamoci, come afferma la Costituzione italiana che ricordiamo nel 75° anniversario, a “ripudiare la guerra” (art. 11), a intraprendere vie di nonviolenza e percorsi di giustizia, che favoriscono la pace. Uno degli estensori di questo articolo visse a Bologna, don Giuseppe Dossetti, del quale proprio oggi ricorre l’anniversario della morte. Di fronte alla pace non possiamo essere indifferenti o neutrali. Non neutrali, ma schierati per la pace! È una sfida attuale: affermare i diritti delle persone e dei popoli, dei più deboli, di chi è scartato, e del creato, nostra casa comune. La città siamo tutti noi e ciascuno contribuisce alla sua vita e al suo clima morale, nel bene o nel male. Disse Papa Benedetto che “nel cuore di ognuno di noi passa il confine tra il bene e il male e nessuno di noi deve sentirsi in diritto di giudicare gli altri, ma piuttosto ciascuno deve sentire il dovere di migliorare se stesso!”. Ecco, è quello che sento ricevendo questo vostro riconoscimento. Non “spettatori”, come se il male riguardasse solamente gli altri, e certe cose a noi non potessero mai accadere. Invece siamo tutti “attori” e, nel male come nel bene, il nostro comportamento ha un influsso sugli altri. Ognuno ha la sua parte, decisiva perché sua, e unicamente sua. Scrisse Martin Buber che il Rabbi, Sussja in punto di morte, esclamò: “Nel mondo futuro non mi si chiederà: Perché non sei stato Mosè?; mi si chiederà invece: Perché non sei stato Sussja?”. Ecco perché sono orgoglioso di essere bolognese. Ricevere la cittadinanza onoraria non è un traguardo: è per me un compito, quello di continuare a impegnarmi con i miei fratelli per far somigliare sempre più Bologna alla città che Dio ha progettato per ciascuno di noi.
La Vergine di San Luca ci protegga e ci insegni a capire il legame tra la terra e il cielo.
Dio benedica Bologna.
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