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martedì 20 dicembre 2022

Antonio Mazzeo - PONTE SULLO STRETTO: IL MOSTRO È RIEMERSO

Antonio Mazzeo
 
PONTE SULLO STRETTO: IL MOSTRO È RIEMERSO


Dividendo la Sicilia dalla terraferma d’Italia, lo splendido Stretto di Messina è un luogo di leggenda – Omero vi ha ambientato una parte dell’Odissea. All’estremità nord-orientale della Sicilia, Capo Peloro sorge dove il mar Ionio e il Tirreno turbinano l’uno nell’altro. Estendendosi di fronte al villaggio, la spiaggia – una riserva naturale – è una larga, piatta distesa di sabbia, che si dispiega sotto un gigantesco traliccio elettrico che era un tempo il più alto del mondo (ce n’è un altro che si rispecchia nell’acqua in Calabria). I delfini scorazzano nelle acque cristalline e i pescispada attraversano lo Stretto in estate, mentre la costa calabrese si profila all’orizzonte. Con questa descrizione la prestigiosa rivista National Geographic ha motivato nell’agosto 2022 la scelta di assegnare a Capo Peloro, Messina, il primo posto tra le 12 spiagge più belle d’Italia. (1)

Un riconoscimento di portata internazionale che dovrebbe inorgoglire i politici, gli intellettuali, i professionisti e le classi dirigenti delle due regioni che si affacciano sullo Stretto, imponendo scelte socio-economiche e ambientali meramente finalizzate alla difesa di un bene comune patrimonio dell’umanità e alla messa in sicurezza di un territorio ad altissimo rischio sismico e idro-geologico. Nell’incantevole scenario di Scilla e Cariddi, i mitologici mostri decantati da Omero, riemerge invece il fascino per l’ottava meraviglia del mondo sospirata da oltre un secolo dalle sirene del Mito del Progresso e dello Sviluppo ad ogni costo. Il Ponte sullo Stretto di Messina, una campata di 3.300 metri, due torri di cemento e acciaio alte 382,60 metri - formata ognuna da due piloni del diametro di oltre 50 metri - rette da quattro tiranti di acciaio per un peso totale di 166.600 tonnellate. Una megainfrastruttura che fagociterà materie prime per volumi superiori ai 3.540.000 metri cubi, generando con gli scavi inerti e rifiuti da smaltire per 6.800.000 mc. Un terzo mostro che terrorizzerebbe Scilla e Cariddi anche per il volume delle sue fondazioni in Sicilia di 86.000 metri cubi e per quelle nel versante calabro di 72.000 mc. E come se non bastassero Ponte, piloni e maxi-tiranti, il territorio circostante verrebbe stuprato da oltre 40 chilometri di raccordi stradali e ferroviari (2 km su viadotto e 20,6 km in galleria), mega-discariche, cave e strutture di connessione. Un’opera che devasterebbe vastissime superfici territoriali nelle province di Messina e Reggio Calabria: la somma delle aree destinante ai cantieri ammonta a 514.000 metri quadri, a cui si aggiungono quelle sacrificate a discariche finali di inerti e scarti di produzione, distanti anche più di 50 km dall’infrastruttura, per oltre 764.500 mq. (2)

Le false narrazioni dei vecchi e nuovi Padrini del Ponte

Una premessa è d’obbligo. Per chi scrive, il Ponte sullo Stretto non c’è mai stato, non c’è, né ci sarà. Non abbiamo creduto cioè, mai, che il Ponte sia realizzabile (per ovvi motivi di ordine strutturale-ingegneristico, economico, ecc.), ma abbiamo temuto e temiamo la ferrea volontà dei Padrini e dei Signori del Ponte di perseguire nello spazio e nel tempo i loro disegni e progetti meramente speculativi e fortemente impattanti dal punto di vista sociale e ambientale. (3) Preoccupa in particolare la “narrazione” del Ponte, strumentalmente riesumata una volta dalle grandi imprese General Contractor (contraenti), un’altra da qualche soggetto politico interessato a capitalizzare voti e clientele in vista di un appuntamento elettorale.

Il fine comune della narrazione pro-Ponte è quello di imporre nella società il modello “culturale” dominante delle Grandi Opere: la depauperazione delle sempre più ridotte risorse pubbliche a favore degli interessi delle holding economiche e finanziarie private, l’esautoramento delle volontà popolari locali e dei soggetti amministrativi che dovrebbero governare i territori, il saccheggio urbanistico e la devastazione ambientale. Per rilanciare la narrazione del Ponte si sfrutta ovviamente la crisi socio-economica (quella generata dal modello neoliberista imperante), gli alti tassi di disoccupazione generale, la precarietà delle vite di milioni di persone. Si tace, invece, sul fatto che la politica delle Grandi Opere è stata ed è caratterizzata in larga misura da progetti senza opera, senza cantieri, senza lavoratori. Pur consapevoli loro stessi che il Ponte è e sarà un Mito per i secoli venturi, i Padrini e i Signori del Ponte promuovono e finanziano campagne per dare il via al Ponte senza Ponte, magari dirottando una parte delle risorse finanziarie per perpetuare la progettazione per la progettazione o verso la realizzazione della sterminata lista di opere pseudo-compensative che amministratori, studi di progettazione e potentati economici locali strappano in cambio del loro sì o dei loro “nì” alla costruzione del manufatto fantasma.

Dicevamo che la “narrazione” alterna periodi di frenetica attività generale a fasi di torpore e silenzi. Così il Terzo mostro dello Stretto va in letargo per periodi più o meno lunghi per riemergere aggressivo soprattutto alla vigilia di una campagna elettorale, sia essa di rilevanza nazionale, che regionale o locale. ...

Il Gioco dell’Oca del Ponte: mezzo miliardo per tonnellate di inutili carte

... Le conclusioni del Gruppo di lavoro hanno riportato tutti alla casella di partenza del Gioco dell’Oca del Ponte, facendo infuriare Padrini e Signori del Mostro sullo Stretto e le stesse associazioni ambientaliste che lamentano come sia rimasta fuori dalla valutazione quella che è considerata l’unica opzione credibile e sostenibile al collegamento stabile dello Stretto, cioè il miglioramento e potenziamento del traghettamento. “La relazione del Gruppo di lavoro è irricevibile perché viziata dalla esclusione pregiudiziale del traghettamento”, scrivono Kyoto club, Legambiente e Wwf. “Si tratta dell’alternativa migliore dal punto di vista economico-finanziario, sociale e ambientale che assicura già oggi, senza ulteriori impatti, tempi di attraversamento di 20-35 minuti con corse per le persone con le auto al seguito che avvengono con una frequenza di 40 minuti o 1 ora, a seconda delle compagnie di navigazione, e con tempi per il traghettamento dei treni che, con migliorie relative all’imbarco di convogli interi, possono essere portati da 1 ora e 10 a 40 minuti. Ma su cui occorre investire anche per la ricerca di soluzioni innovative, con nuove tecnologie che riducano ulteriormente i tempi di percorrenza e migliorino i servizi nell’area dello Stretto”. (13) ...

L’ultimo scontro tra le città non luogo e i bei territori di anime e corpi

Così come per gli studi di fattibilità e le spese di sopravvivenza, si moltiplicano intanto pure i convegni per narrare il Ponte che non c’è. L’ultimo di interesse nazionale si è tenuto a Roma lo scorso 13 settembre presso la sede dell’Università telematica eCampus, promotrice dell’evento. Sotto i riflettori, ovviamente il Ponte a campata unica di Eurolink-Webuild. ...
“Il Ponte sullo Stretto – aggiunge Sturniolo - è contenuto dentro il paradigma di un mondo che muore, incapace di smaltire i propri scarti e accettare i propri limiti. Non è il salto nel futuro, è il tuffo nel baratro. Non è la soluzione al mancato sviluppo dei nostri territori, è la causa del loro destino di distruzione. Lo scontro tra favorevoli e contrari alla costruzione del Ponte sullo Stretto, non ha a che fare, semplicemente, con la realizzazione o meno di un manufatto, con la sua costruibilità, con l’impatto ambientale che determinerebbe. In ballo ci sono due idee di città, di territorio: da una parte la città di passaggio, la città-svincolo, luogo divenuto anonimo e assorbito dalle necessità logistiche, non-luogo che recide definitivamente la relazione con la sua storia. Dall’altro una città che si fonda (si ri-fonda) sulla bellezza del proprio territorio, che fa della sostenibilità la propria occasione per il futuro, che si ri-conosce dal suo rapporto con il mare, che ne fa fonte del suo rilancio, una città che si ricorda della propria storia rinvenendo nel porto il suo punto di forza”.

Per Sturniolo siamo di fronte ad uno scontro epocale: “Tra il passato recente, la fotografia giornalistica di un mondo andato in frantumi a causa del sovraccarico che esso stesso ha creato, e il futuro possibile di una umanità che sceglie di convivere con il pianeta che gli è capitato di abitare, che sceglie di rispettarne la fragilità poiché quella fragilità contiene l’unica promessa di felicità che abbiamo a disposizione”.

Una ragione in più per tornare a riprendersi strade e piazze, per continuare a vivere e assicurare la vita di tutte e tutti, dallo Stretto al pianeta intero.