NATALE 2022 - MATTEO ZUPPI
Ecco la bellezza di Natale:
l’amore di più di Dio che ci ama
e ci insegna a non avere paura di amare.
(Testo e video)
Card. Matteo Zuppi,
Bologna - 24 e 25 dicembre 2022
La fede descrive il Natale come una notte splendida di luce e di chiarore. Il Vangelo racconta la storia drammatica di due forestieri costretti da un editto che arriva da lontano a mettersi in cammino. E a diventare così forestieri. Essi trovano solo un rifugio di fortuna perché non c’era posto. Come pensare il Natale notte di amore, di sentimenti buoni quando c’è tanta sofferenza, quando si è perduti in un mondo ostile o indifferente? “Non c’è posto”.
Semplicemente: senza spiegazioni, come un cartello esposto a chi cerca casa, a volte disperatamente, in cui c’è scritto che “non si affitta a forestieri”. Non c’è posto in una fila senza fine e senza diritto davanti ad un Ufficio che decide il tuo futuro. Non c’è posto davanti un porto chiuso o in una pratica che resta inevasa troppo a lungo. “Non c’è posto” è l’affermazione minacciosa che ammonisce da lontano ma che non convince chi è disperato per la fame o per l’Erode della guerra. Cosa faccio anche se so che lì non c’è posto? Lo cerco lo stesso, a tutti i costi, ma con tanti rischi. E sono migliaia quelli che l’unico posto che trovano è in fondo al mare. Perché non c’è posto?
Spesso perché non si vuole avere problemi e il nostro io occupa sempre tutto lo spazio, ha paura delle difficoltà da affrontare, tanto che si inizia ad avere paura di tutti. E poi non c’è posto perché “abbiamo fatto il possibile”. Certo, se a cercare il posto fossimo noi, o dovessimo farlo per qualche nostro familiare, lo troveremmo e scopriremmo che ce n’è tanto e che poi, in realtà, staremmo meglio tutti. C’è posto nelle tante case mezze vuote, nei paesi disabitati, nei cuori sfaccendati che finiscono, quindi, per appassionarsi di quello che non crea problemi, che non vale, ma anche che non può dare amore. Diceva un saggio Vescovo siriano che anche Caino voleva bene ad Abele ma amava di più se stesso.
“Non è importante che tu ami molto”. Importa che tu “ami di più”. Di più delle paure, delle convenienze, delle misure. L’amore ama sempre di più. L’amore preferisce l’altro a se stesso perché lo ama e non può perderlo. “Il fatto di amare veramente qualcuno non significa che lo amiamo molto, ma che lo amiamo, anche poco, ma più di noi stessi”. Quando si ama, l’amore per sé trova senso nell’amore per l’amato e questo è sempre di più delle proprie paure, tanto che ci spinge a fare cose che non faremmo. Ecco la bellezza di Natale: l’amore di più di Dio che ci ama e ci insegna a non avere paura di amare. Dio non manda altre spiegazioni da applicare, delle istruzioni intelligenti come tanti maestri che porgono interpretazioni, ma senz’amore. Pieni di paure come siamo, cerchiamo una sicurezza che ci protegga, tanto che alla fine non siamo mai sicuri. L’unica sicurezza di Gesù è l’amore. Dio si affida totalmente perché ama.
Il Vangelo di Giovanni in maniera laconica afferma: “Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne tra la sua gente e i suoi non lo hanno accolto”. Come è possibile che l’atteso non sia riconosciuto? Perché la paura rende il prossimo un rischio, un peso e non si riconosce, quello che pure aspettiamo e di cui abbiamo bisogno. Quando non c’è posto si condanna l’altro ad andare in “non posti”, dove non sei nessuno. Oggi Dio ci porta tutti lì, a Betlemme, e lì non avremo più paura di accogliere chi è come Maria e Giuseppe. Sono dei forestieri che ci portano Gesù! I non posti li vediamo oggi in quelle prigioni dove si viene anche torturati e condannati a morte solo per le proprie idee o semplicemente perché forestieri, senza valore.
I non posti sono dove la persona non è riconosciuta, dove la fragilità la rende oggetto indifeso e a disposizione dell’arbitrio. Betlemme sono le città e i villaggi bombardati dalla follia della guerra ma anche i luoghi di sofferenza, di solitudine, di abbandono dei vecchi. Dio non trova posto e Lui si lascia deporre in questi non luoghi, privi di umanità, perché, d’ora in poi, sappiamo cercare e riconoscere in essi la sua presenza.
Dove c’è Gesù quel luogo diventa il nostro e il Natale, allora, nel dramma della vita minacciata e vulnerabile, un inno di pace, pieno di luce, popolato da angeli che cantano la riconciliazione tra la terra e il cielo: “Pace agli uomini che egli ama”. È la pace che vogliamo arrivi nelle trincee di una guerra folle e criminale, nelle case dell’Ucraina bombardate vigliaccamente, negli ospedali distrutti per far soffrire maggiormente il nemico (la pietà davvero è morta), nelle case senza luce e riscaldamento. Diamogli posto, accogliendoli nel nostro cuore e nelle nostre case!
Natale ci aiuta a comprendere che la via di Dio, e quindi verso Dio, non ci conduce verso l’alto bensì, in maniera molto reale, verso il basso, verso i piccoli. Partiamo proprio dalle fragilità per riconoscerci umili, vulnerabili come siamo, come in questo Natale di guerra. Pieghiamoci a gesti piccoli verso i fragili per disarmare tanta rabbia, per stemperare l’odio, per incoraggiare le cose belle, perché, come ha detto una persona cui la vita ha strappato le persone più care, “bisogna solo far venire fuori il bello e il buono che è in ognuno di noi”. Dipende da noi se facciamo tutti i giorni quello che ci viene fatto da Dio a Natale e ci vuole fare nell’ultimo avvento!
A Betlemme si forma un’altra famiglia: intorno alla debolezza, non alla forza, amica dei piccoli, generosa, attenta, non si risparmia, povera per rendere ricchi gli altri di cuore. Ecco la vera bellezza del Natale che illumina tutta la vita e che nessuno può spegnere. Nasciamo anche noi con Gesù. Abbiamo trovato Dio che ci viene a cercare.
Apriamo il cuore e sentiamo la grandezza del suo amore! Dio ha speranza nel mondo, in ognuno di noi, e noi siamo grandi perché amati e lo diventiamo quando amiamo. Andiamo a Betlemme! Andiamo con la preghiera e con la solidarietà in Ucraina o nei tanti luoghi di violenza e di morte, di solitudine e di paura. La preghiera nutre la solidarietà e viceversa. Forse non potremo fare molto, ma nei nostri semplici gesti di attenzione ai piccoli si vede la luce del Natale e inizia ad essere sconfitta la notte drammatica del mondo.
Vieni, Tu che ci prepari un posto nella tua casa del cielo. Vieni, Tu che hai fiducia anche se trovi le porte chiuse. Insegnaci a vincere le paure e a stringere relazioni di amore con tutti e di ogni età. Vieni a ricordarci la sofferenza di chi non trova posto come te. Vieni perché non ci abituiamo mai alla violenza e alla guerra, non ci rassegniamo al conflitto e con insistenza chiediamo il dono della pace. Vieni perché possiamo rinascere con Te.
E anche nella durezza della vita possiamo rinascere con Te come persone ricche di misericordia e di speranza. Vieni, semplicemente vieni, perché abbiamo bisogno di Te e sentiamo la forza del tuo amore. Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama.
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Ringrazio di cuore Dio per la bellezza così umana e divina del Natale. Contempliamo il senso della nostra piccola e sperduta storia, importante e preziosa perché amata dal Signore. Noi contiamo i nostri giorni a partire da Cristo. Ricordiamoci che anche l’ultimo dei nostri giorni sarà suo, vedremo il suo avvento.
Il Natale è sempre sorprendente e non smettiamo di contemplare questo mistero di amore. In questo senso siamo sempre dei bambini. E questo ci fa bene, perché ci libera dalla tentazione della sapienza dei grandi ai quali resta nascosto il segreto del Regno. Possiamo restare gli stessi dopo il Natale? Se lo usiamo come uno dei tanti prodotti per nutrire il nostro io non resta nulla, perché l’io senza l’amore è sterile, conserva la vita, non la cambia! Il suo amore chiede amore, lo comprendiamo per davvero solo aprendoci all’amore e mettendolo in pratica, facendolo diventare carne, come Lui si è fatto presenza in mezzo a noi.
Natale non è una dichiarazione ma corpo. Il segreto del Natale è il dono: anche lo stesso autore della vita non può fare a meno di donarla. Dio non vuole restare solo e ci cerca perché ci ama e impariamo ad amare Lui e il prossimo per davvero. La nostra generazione è indotta compulsivamente a pensare a sé, ad esaltare il proprio io mettendolo al centro, a possedere, ad avere e così poco ad essere (perché sono alternativi in realtà!), chiamando amore quello che non lo è, tanto che non diventa legame.
«L’uomo può accettare se stesso solo se è accettato da qualcun altro. Ha bisogno dell’esserci dell’altro che gli dice, non soltanto a parole: è bene che tu ci sia. Solo a partire da un “tu”, l’”io” può trovare se stesso. Solo se è accettato, l’“io” può accettare se stesso. Chi non è amato non può neppure amare se stesso», disse Papa Benedetto XVI.
Ecco il senso del Natale: Dio facendosi carne (che amore è quello che resta virtuale, da remoto, e non diventa concreto?) ci dice che siamo un bene, che ci ama, che la nostra vita è importante per Lui. Questo ci cambia! Come facciamo a restare uguali? Lui si apre a noi e noi apriamogli il cuore! Gli uomini che non sanno amare cercano quello che pensano sia il loro interesse o lasciano che sia solo un’esperienza. Dio cerca il nostro cuore per abitarci: non fa lezione di amore, ci ama! Ecco la bellezza del Natale. Ieri sera l’ho capito con tanta intensità celebrando due funzioni che sono molto collegate tra loro, potremmo dire come fossero i due lati dello stesso altare dell’Eucarestia.
Qui in Cattedrale abbiamo condiviso il pane del cielo con tanti fratelli e sorelle, in comunione con tutte le nostre comunità unite nel vincolo di amore. Il Signore che nasce senza un posto prepara proprio Lui un posto per noi in cielo, e la santa Liturgia ci aiuta a contemplarlo. L’altro lato dell’altare è stata la celebrazione alla stazione, insieme a tanti fratelli che come Gesù non trovano posto, restano all’aperto, per strada, deposti nelle tante mangiatoie della povertà, della fragilità umana, che Dio non solo non condanna, ma riveste del suo amore.
Eravamo con i fratelli più piccoli di Gesù, senza dimora, profughi che cercano casa, vecchi lasciati fuori dalla vita e sradicati dal loro contesto, i tanti feriti nelle pieghe del loro cuore, quelli che bussano alle nostre porte e ci ricordano che siamo tutti fratelli. Se non siamo “tutti” non siamo nemmeno “noi”. Ecco, è lo stesso Natale di Dio che contempliamo qui nella casa del cielo e negli incroci della città degli uomini. Chi si apre a Dio, lo ospita nel suo cuore e ospita i forestieri.
Allora in cosa ci cambia il Natale? Ci fa sentire amati, tornare bambini per davvero, non per un po’ di nostalgia o un buon sentimento che finisce presto, confrontati con la vita vera. È amore che cambia la vita perché è di Dio e perché è amore fortissimo. Non solo l’uomo non è un’isola ma il mondo intero non è un’isola, perché tutto pieno dell’amore di Dio! Per questo siamo Fratelli Tutti e possiamo noi aiutare Dio già con la nostra gentilezza verso tutti, con la solidarietà verso i poveri, donando luce con la nostra fede. Questo è un Natale che si confronta come non mai con le tenebre. Lo abbiamo capito con la pandemia quanto è forte il male! E forse capiamo anche quanto l’amore è vero e diventa carne in noi.
Il vangelo che è stato proclamato è l’inizio di una nuova creazione. Ci viene dato il potere di diventare anche noi figli di Dio non per il sangue né per volere di carne, ma solo per la grazia, cioè l’amore gratuito, da Dio generati. A noi viene data la stessa madre di Gesù. Dalla mangiatoia sulla quale viene deposto alla croce dalla quale verrà deposto nella tomba per farci nascere alla vita eterna. Dalla croce, la fine della sua vita, Gesù ci affida sua madre per essere anche noi suoi e perché lei diventi nostra madre. Attraverso di lei siamo come Gesù, apparteniamo al suo regno, alla nuova creazione.
Certo, viviamo ancora immersi nella vecchia creazione e ci dobbiamo confrontare drammaticamente con le tenebre che cercano di spegnere la luce della vita. La creazione soffre, geme, misurandosi continuamente con il suo limite che vuole superare, alla ricerca di futuro, di speranza. La vita di ogni persona è sempre e tutta un’attesa! Il presente non basta a nessuno ed è disumano pensarlo: cerchiamo tutti e sempre il futuro, anche se a volte in modo davvero complicato. La vita cerca quella che non finisce. Quando pensiamo di vivere solo nell’oggi, e quindi siamo preoccupati solo di noi, restiamo insoddisfatti, dobbiamo consumare molto ma alla fine non risolviamo affatto il problema della vita. “In un primo momento pare che ci manchi solo qualcosa: più tardi ci si accorge che ci manca Qualcuno”, commentava don Primo Mazzolari.
Cristo è questo Qualcuno. Ma noi che restiamo sempre nella vecchia creazione viviamo già la nuova. Ecco la grandezza del Natale. Oggi vediamo il Signore che consola il suo popolo. Oggi siamo suoi non per il sangue, né per volere di carne, ma solo per la sua grazia. E se siamo suoi amiamo Lui e come Lui. Chi fa le cose per amore suo le fa solo per amore, libero da convenienze, calcoli, furbizie. Facciamo le cose per amore di Gesù, nel suo nome, e le faremo per amore vero, santo, cioè non perfetto, ma di Dio. E questo non finisce.
In questo primo Natale di guerra in Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale, apriamogli il cuore liberandolo dalle abitudini, dalle presunzioni, dalle paure, dagli orgogli, per non essere tra i suoi che non lo hanno accolto. Perché a quanti lo hanno accolto, cioè gli hanno aperto il cuore, Dio continua a dare il potere di diventare figli di Dio e con il suo perdono ci restituisce il vestito più bello: essere figli, essere suoi. Siamo figli e quindi fratelli. Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi. Trova lui un posto per noi! La sua gloria diventa la nostra forza e adesso non abbiamo paura di amare per essere figli di un Dio che nasce per noi e ci dona la sua forza. La luce della nostra vita rifletterà quella del Natale, inizio del suo regno di amore senza fine.
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