Nella Giornata internazionale delle persone con disabilità
l’appello del Papa a eliminare distinzioni ed esclusioni
Un unico “noi”
Nel gesto di benedizione e nell’abbraccio di Papa Francesco a Piergiorgio (nella foto) c’è quel “noi” che è poi l’essenza della Giornata internazionale delle persone con disabilità. Sabato 3 dicembre il Pontefice l’ha celebrata incontrando alcuni rappresentanti di questo “popolo” che attende diritti e inclusione non a chiacchiere. E diffondendo un messaggio sul «magistero della fragilità» nel quale ha anche ricordato le persone con disabilità nei tanti teatri di guerra, come l’Ucraina.
Stamani Piergiorgio Zampino con la sua storia semplice — e sì, con la sua sindrome di Down — ha rappresentato davanti al Papa le attese ma anche le delusioni delle persone con disabilità intellettiva e relazionale, oltre che fisica, dei loro familiari, delle associazioni e delle comunità cristiane. È venuto da Patti con la sorella Anna in prima linea nelle iniziative inclusive, e a Francesco ha portato un presepe. C’ha lavorato notte e giorno per dire “noi” con il simbolo del Natale.
(fonte: L'Osservatore Romano 03 dicembre 2022)
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Il messaggio del Pontefice
Magistero della fragilità
Ricordando i disabili in situazioni di guerra
Pubblichiamo di seguito il testo del messaggio del Papa in occasione della Giornata internazionale delle persone con disabilità, celebrata oggi, 3 dicembre.
Cari fratelli e sorelle!
Tutti noi, come direbbe l’apostolo Paolo, portiamo il tesoro della vita in vasi di creta (cfr. 2 Cor 4, 7), e la Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità ci invita a comprendere che la nostra fragilità non offusca in alcun modo «lo splendore del glorioso vangelo di Cristo», ma rivela «che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi» (2 Cor 4, 4.7). Ad ognuno, infatti, senza meriti e senza distinzioni, è donato il vangelo tutto intero e, con esso, il gioioso compito di annunciarlo. «Tutti siamo chiamati ad offrire agli altri la testimonianza dell’amore salvifico del Signore, che al di là delle nostre imperfezioni ci offre la sua vicinanza, la sua Parola, la sua forza, e dà senso alla nostra vita» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 121). Comunicare il vangelo, infatti, non è un compito riservato solo ad alcuni, ma diventa una necessità imprescindibile di chiunque abbia sperimentato l’incontro e l’amicizia con Gesù. (1)
La fiducia nel Signore, l’esperienza della sua tenerezza, il conforto della sua compagnia non sono privilegi riservati a pochi, né prerogative di chi ha ricevuto un’accurata e prolungata formazione. La sua misericordia, al contrario, si lascia conoscere e incontrare in maniera tutta particolare da chi non confida in sé e sente la necessità di abbandonarsi al Signore e di condividere con i fratelli. Si tratta di una saggezza che cresce man mano che aumenta la coscienza del proprio limite, e che permette di apprezzare ancora di più la scelta d’amore dell’Onnipotente di chinarsi sulla nostra debolezza. È una consapevolezza che libera dalla tristezza del lamento — anche il più motivato — e permette al cuore di aprirsi alla lode. La gioia che riempie il volto di chi incontra Gesù e a Lui affida la propria esistenza non è un’illusione o frutto di ingenuità, è l’irrompere della forza della sua Risurrezione in una vita segnata dalla fragilità.
Si tratta di un vero e proprio magistero della fragilità che, se venisse ascoltato, renderebbe le nostre società più umane e fraterne, inducendo ognuno di noi a comprendere che la felicità è un pane che non si mangia da soli. Quanto la consapevolezza di aver bisogno l’uno dell’altro ci aiuterebbe ad avere relazioni meno ostili con chi ci sta accanto! E quanto la constatazione che neanche i popoli si salvano da soli spingerebbe a cercare soluzioni per i conflitti insensati che stiamo vivendo!
Oggi vogliamo ricordare la sofferenza di tutte le donne e di tutti gli uomini con disabilità che vivono in situazione di guerra, o di coloro che si trovano a portare una disabilità a causa dei combattimenti. Quante persone — in Ucraina e negli altri teatri di guerra — rimangono imprigionate nei luoghi dove si combatte e non hanno nemmeno la possibilità di fuggire? È necessario prestare loro speciale attenzione e facilitare in ogni modo il loro accesso agli aiuti umanitari.
Il magistero della fragilità è un carisma del quale voi — sorelle e fratelli con disabilità — potete arricchire la Chiesa: la vostra presenza «può contribuire a trasformare le realtà in cui viviamo, rendendole più umane e più accoglienti. Senza vulnerabilità, senza limiti, senza ostacoli da superare, non ci sarebbe vera umanità». (2) Ed è per questo che mi rallegro che il cammino sinodale si stia dimostrando un’occasione propizia per ascoltare finalmente anche la vostra voce, e che l’eco di tale partecipazione sia giunta nel documento preparatorio per la tappa continentale del Sinodo. In esso si afferma: «Numerose sintesi segnalano la mancanza di strutture e modalità di accompagnamento appropriate alle persone con disabilità, e invocano nuovi modi per accogliere il loro contributo e promuovere la loro partecipazione: a dispetto dei suoi stessi insegnamenti, la Chiesa rischia di imitare il modo in cui la società le mette da parte. Le forme di discriminazione elencate — la mancanza di ascolto, la violazione del diritto di scegliere dove e con chi vivere, il diniego dei Sacramenti, l’accusa di stregoneria, gli abusi — ed altre, descrivono la cultura dello scarto nei confronti delle persone con disabilità. Esse non nascono per caso, ma hanno in comune la stessa radice: l’idea che la vita delle persone con disabilità valga meno delle altre». (3)
Il Sinodo, soprattutto, con il suo invito a camminare insieme e ad ascoltarsi a vicenda, ci aiuta a comprendere come nella Chiesa — anche per quello che riguarda la disabilità — non esista un noi e un loro, ma un unico noi, con al centro Gesù Cristo, dove ognuno porta i propri doni e i propri limiti. Tale consapevolezza, fondata sul fatto che siamo tutti parte della stessa umanità vulnerabile assunta e santificata da Cristo, elimina qualsiasi arbitraria distinzione e apre le porte alla partecipazione di ciascun battezzato alla vita della Chiesa. Ma, ancor più, laddove il Sinodo è stato davvero inclusivo, esso ha permesso di sfatare pregiudizi radicati. Sono infatti l’incontro e la fraternità ad abbattere i muri di incomprensione e a vincere la discriminazione; per questo auspico che ogni comunità cristiana si apra alla presenza di sorelle e fratelli con disabilità assicurando sempre ad essi l’accoglienza e la piena inclusione.
Che si tratti di una condizione che riguarda noi, non loro, lo si scopre quando la disabilità, in maniera temporanea o per il naturale processo di invecchiamento, coinvolge noi stessi o qualcuno dei nostri cari. In questa situazione si inizia a guardare alla realtà con occhi nuovi, e ci si rende conto della necessità di abbattere anche quelle barriere che prima sembravano insignificanti. Tutto questo, tuttavia, non scalfisce la certezza che qualsiasi condizione di disabilità — temporanea, acquisita o permanente — non modifica in alcun modo la nostra natura di figli dell’unico Padre e non altera la nostra dignità. Il Signore ci ama tutti dello stesso amore tenero, paterno e incondizionato.
Cari fratelli e sorelle, vi ringrazio per le iniziative con cui animate questa Giornata Internazionale per le Persone con Disabilità. Le accompagno con la preghiera. Di cuore benedico tutti voi, e vi chiedo per favore di pregare per me.
Roma, San Giovanni in Laterano, 3 dicembre 2022
Francesco
1 Cfr. Messaggio in occasione della Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità, 20 novembre 2021.
2 La Chiesa è la nostra casa. Sintesi della consultazione sinodale speciale di persone con disabilità, a cura del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, n. 2: cfr. Sito web del Dicastero lfv.
3 Documento di lavoro per la tappa continentale del Sinodo sulla sinodalità, 36.
(fonte: L'Osservatore Romano 03 dicembre 2022)
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Questa mattina, nel Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza un gruppo di persone con disabilità in occasione della loro Giornata Internazionale e ha rivolto loro il discorso che pubblichiamo di seguito:
Discorso del Santo Padre
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Sono lieto di incontrarvi oggi, in occasione della Giornata mondiale delle persone con disabilità. Ringrazio Mons. Giuseppe Baturi per le sue parole e anche per l’impegno delle Chiese in Italia di mantenere viva l’attenzione verso le persone con disabilità, con un’azione pastorale attiva e inclusiva. Promuovere il riconoscimento della dignità di ogni persona è una responsabilità costante della Chiesa: è la missione di continuare nel tempo la vicinanza di Gesù Cristo ad ogni uomo e ogni donna, in particolare a quanti sono più fragili e vulnerabili. Il Signore è vicino.
Accogliere le persone con disabilità e rispondere ai loro bisogni è un dovere della comunità civile e di quella ecclesiale, perché la persona umana, «anche quando risulta ferita nella mente o nelle sue capacità sensoriali e intellettive, è un soggetto pienamente umano, con i diritti sacri e inalienabili propri di ogni creatura umana» (S. GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai partecipanti al Simposio “Dignità e diritti della persona con disabilità”, 8 gennaio 2004).
Questo era lo sguardo di Gesù sulle persone che incontrava: uno sguardo di tenerezza e di misericordia soprattutto per coloro che erano esclusi dall’attenzione dei potenti e persino delle autorità religiose del suo tempo. Per questo, ogni volta che la comunità cristiana trasforma l’indifferenza in prossimità - questa è una vera conversione: trasformare l’indifferenza in prossimità e in vicinanza - ogni volta che la Chiesa fa questo e trasforma l’esclusione in appartenenza, adempie la propria missione profetica. In effetti, non basta difendere i diritti delle persone; occorre adoperarsi per rispondere anche ai loro bisogni esistenziali, nelle diverse dimensioni, corporea, psichica, sociale e spirituale. Ogni uomo e ogni donna, infatti, in qualsiasi condizione si trovi, è portatore, oltre che di diritti che devono essere riconosciuti e garantiti, anche di istanze ancora più profonde, come il bisogno di appartenere, di relazionarsi e di coltivare la vita spirituale fino a sperimentarne la pienezza e benedire il Signore per questo dono irripetibile e meraviglioso.
Generare e sostenere comunità inclusive – questa parola è importante, inclusive, sempre - significa, allora, eliminare ogni discriminazione e soddisfare concretamente l’esigenza di ogni persona di sentirsi riconosciuta e di sentirsi parte. Non c’è inclusione, infatti, se manca l’esperienza della fraternità e della comunione reciproca. Non c’è inclusione se essa resta uno slogan, una formula da usare nei discorsi politicamente corretti, una bandiera di cui appropriarsi. Non c’è inclusione se manca una conversione nelle pratiche della convivenza e delle relazioni.
È doveroso garantire alle persone con disabilità l’accesso agli edifici e ai luoghi di incontro, rendere accessibili i linguaggi e superare barriere fisiche e pregiudizi. Questo però non basta. Occorre promuovere una spiritualità di comunione, così che ognuno si senta parte di un corpo, con la sua irripetibile personalità. Solo così ogni persona, con i suoi limiti e le sue doti, si sentirà incoraggiata a fare la propria parte per il bene dell’intero corpo ecclesiale e per il bene di tutta la società.
Auguro a tutte le comunità cristiane di essere luoghi in cui “appartenenza” e “inclusione” non rimangano parole da pronunciare in certe occasioni, ma diventino un obiettivo dell’azione pastorale ordinaria. In tal modo potremo essere credibili quando annunciamo che il Signore ama tutti, che è salvezza per tutti e invita tutti alla mensa della vita, nessuno escluso.
A me colpisce tanto quando il Signore narra la storia di quell’uomo che aveva fatto la festa per le nozze del figlio e non sono venuti gli invitati (cfr Mt 22,1-14). Chiama i servitori e dice: “Andate all’incrocio delle strade e portate tutti”. “Tutti” dice il Signore: giovani, vecchi, ammalati, non ammalati, piccoli, grandi, peccatori e non peccatori… Tutti, tutti, tutti! Questo è il Signore: tutti, senza esclusione. La Chiesa è la casa di tutti, il cuore del cristiano è la casa di tutti, senza esclusione. Dobbiamo imparare questo. Noi siamo, a volte, un po’ tentati di andare sulla strada dell’esclusione. No: inclusione. Il Signore ci ha insegnato: tutti. “Ma questo è brutto, questo è così…”. Tutti, tutti. L’inclusione.
Cari fratelli e sorelle, in questo tempo, nel quale sentiamo quotidianamente bollettini di guerra, la vostra testimonianza è un segno concreto di pace, un segno di speranza per un mondo più umano e fraterno, per tutti. Andate avanti in questo cammino! Vi benedico di cuore e prego per voi. Grazie di quello che fate, grazie! E vi chiedo di pregare per me. Grazie!
(fonte: Bollettino Sala Stampa 03 dicembre 2022)