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mercoledì 25 settembre 2019

Papa Francesco in Madagascar: "Il pastore dev’essere vicino a Dio, ai suoi sacerdoti, vicino al popolo. " Incontro con i vescovi - " È il Signore che vi invita a essere i costruttori del futuro" Veglia con i giovani (foto, testi e video)


VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ FRANCESCO
IN MOZAMBICO, MADAGASCAR E MAURIZIO
(4 - 10 SETTEMBRE 2019)


Sabato, 7 settembre 2019

ANTANANARIVO

16:00 Incontro con i Vescovi del Madagascar nella Cattedrale di Andohalo
17:10 Visita alla tomba della Beata Victoire Rasoamanarivo
18:00 Veglia con i Giovani nel Campo Diocesano di Soamandrakizay

INCONTRO CON I VESCOVI DEL MADAGASCAR
Cattedrale di Andohalo (Antananarivo)

Nella Cattedrale di Andohalo, dedicata all’Immacolata Concezione e situata nel quartiere di Antananarivo Renivohitra, il Pontefice incontra i vescovi del Madagascar. All’ingresso è accolto dal presidente della Conferenza episcopale, cardinale Désiré Tsarahazana, arcivescovo metropolita di Toamasina, e dal parroco.












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DISCORSO DEL SANTO PADRE

Grazie, Signor Cardinale, per le Sue parole di benvenuto a nome di tutti i fratelli. Sono anche grato perché con le stesse parole Lei ha voluto mostrare come la missione che ci proponiamo di vivere si svolga in mezzo a contraddizioni: una terra ricca con molta povertà; una cultura e una saggezza ereditate dagli antenati che ci fanno apprezzare la vita e la dignità della persona umana, ma anche la constatazione della disuguaglianza e della corruzione. Il compito del pastore è difficile in queste circostanze. Anche con le disuguaglianze: il pastore rischia di andare da una parte e lasciare gli altri. E anche con la corruzione: non dico che il pastore diventi un corrotto, ma c’è il pericolo…: “Farò quest’opera, e quell’altra…”, e diventare affarista; o fare quello scambio, quell’altro, quell’altro… e alla fine, quel buon pastore è finito sporco di corruzione. Succede, succede. Nel mondo, succede. Tenete gli occhi aperti!

“Seminatore di pace e di speranza” è il tema che è stato scelto per questa visita e che può ben essere un’eco della missione che ci è stata affidata. Infatti, noi siamo dei seminatori, e chi semina lo fa nella speranza; lo fa contando sui propri sforzi e sul proprio impegno personale, ma sapendo che ci sono molti fattori che devono concorrere perché il seme germogli, cresca, diventi spiga e infine grano abbondante. Il seminatore stanco e preoccupato non si scoraggia. Questa parola ci deve accompagnare sempre, sia nella vita attiva sia in quella contemplativa, come abbiamo visto oggi [nell’incontro con le suore di clausura]: siate coraggiosi, sii un uomo coraggioso. Il coraggio. Il seminatore stanco e preoccupato non si scoraggia, non si arrende, e tanto meno brucia il suo campo quando qualcosa va storto... Sa aspettare, è fiducioso; si fa carico delle delusioni del suo seme, ma non smette mai di amare il campo affidato alle sue cure. Anche se ne ha la , non fugge via per affidarlo a un altro.

Il seminatore conosce la sua terra, la “tocca”, la “sente” e la prepara perché possa dare il meglio di sé. Noi vescovi, ad immagine del Seminatore, siamo chiamati a spargere i semi della fede e della speranza su questa terra. A tale scopo, dobbiamo sviluppare quel “fiuto” che ci consente di conoscerla meglio e anche di scoprire ciò che compromette, ostacola o danneggia la semente. Il fiuto del pastore. Il pastore può essere molto intelligente, può avere titoli accademici, può avere partecipato a tanti congressi internazionali, sapere tutto, studiare tutto, anche essere uno buono, una persona buona, ma se gli manca il fiuto, mai potrà essere un buon pastore. Il fiuto. Pertanto, «i Pastori, accogliendo gli apporti delle diverse scienze, hanno il diritto di emettere opinioni su tutto ciò che riguarda la vita delle persone, dal momento che il compito dell’evangelizzazione implica ed esige una promozione integrale di ogni essere umano. Non si può affermare che la religione deve limitarsi all’ambito privato e che esiste solo per preparare le anime per il cielo. Questa è la verità che ci ha lasciato l’illuminismo neo-liberale: lavoravano anche per il popolo, sì, tutto per il popolo, ma niente con il popolo! Senza il rapporto con il popolo, senza il fiuto… Il vero pastore invece è in mezzo al popolo, immerso tra la gente, nell’amore della sua gente, perché la capisce. Sappiamo che Dio desidera la felicità dei suoi figli anche su questa terra, benché siano chiamati alla pienezza eterna, perché Egli ha creato tutte le cose “perché possiamo goderne” (1 Tm 6,17), perché tutti possano goderne. Ne deriva che la conversione cristiana esige di riconsiderare “specialmente tutto ciò che concerne l’ordine sociale ed il conseguimento del bene comune”. Di conseguenza, nessuno può esigere da noi che releghiamo la religione alla segreta intimità delle persone, senza alcuna influenza sulla vita sociale e nazionale, senza preoccuparci per la salute delle istituzioni della società civile, senza esprimerci sugli avvenimenti che interessano i cittadini» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 182-183). Il pastore in mezzo al popolo. Il pastore che sa ascoltare il linguaggio del popolo. Il pastore unto dal popolo, a cui serve, di cui è servitore.

So che ci sono molte ragioni per preoccuparsi e che, tra le altre cose, voi portate nel cuore la responsabilità di vigilare sulla dignità dei vostri fratelli che chiedono di costruire una nazione sempre più solidale e prospera, dotata di istituzioni solide e stabili. Può un pastore degno di questo nome restare indifferente alle sfide che affrontano i suoi connazionali di tutte le categorie sociali, indipendentemente dalla loro appartenenza religiosa? Un pastore alla maniera di Gesù, può essere indifferente alla vita di quanti gli sono stati affidati?

La dimensione profetica legata alla missione della Chiesa richiede, dovunque e sempre, un discernimento che in genere non è facile. In questo senso, la collaborazione matura e indipendente tra la Chiesa e lo Stato è una sfida continua, perché il pericolo di collusione non è mai remoto, specialmente se noi arriviamo a perdere il “mordente evangelico”. Ascoltando sempre quello che lo Spirito dice senza sosta alle Chiese (cfr Ap 2,7), saremo in grado di sfuggire alle insidie e liberare il fermento del Vangelo in vista di una proficua collaborazione con la società civile nella ricerca del bene comune. Il segno distintivo di questo discernimento sarà che l’annuncio del Vangelo include la vostra preoccupazione per tutte le forme di povertà: non solo «assicurare a tutti il cibo, o un decoroso sostentamento, ma che possano avere prosperità nei suoi molteplici aspetti. Questo implica educazione, accesso all’assistenza sanitaria, e specialmente lavoro, perché nel lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale, l’essere umano esprime e accresce la dignità della propria vita. Il giusto salario permette l’accesso adeguato agli altri beni che sono destinati all’uso comune» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 192).

La difesa della persona umana costituisce un’altra dimensione del nostro impegno pastorale. Per essere pastori secondo il cuore di Dio, dobbiamo essere i primi nella scelta di proclamare il Vangelo ai poveri. «Non devono restare dubbi né sussistono spiegazioni che indeboliscano questo messaggio tanto chiaro. Oggi e sempre, i poveri sono i destinatari privilegiati del Vangelo, e l’evangelizzazione rivolta gratuitamente ad essi è segno del Regno che Gesù è venuto a portare. Occorre affermare senza giri di parole che esiste un vincolo inseparabile tra la nostra fede e i poveri. Non lasciamoli mai soli» (ibid., 48). In altre parole, abbiamo un dovere particolare di vicinanza e di protezione verso i poveri, gli emarginati e i piccoli, verso i bambini e le persone più vulnerabili, vittime di sfruttamento e di abusi, vittime, oggi, di questa cultura dello scarto. Oggi la mondanità ci ha portato a inserire nei programmi sociali, nei programmi di sviluppo, lo scarto come possibilità: lo scarto di chi sta per nascere e lo scarto di chi sta per morire, per affrettare la partenza.

Questo immenso campo non è solo sgomberato e dissodato dallo spirito profetico, ma attende anche la semente gettata nel terreno con pazienza cristiana, consapevole inoltre che non abbiamo né il controllo né la responsabilità dell’intero processo. Un pastore che semina evita di controllare tutto. Non si può. Il seminatore non va ogni giorno a scavare la terra per vedere come cresce il seme. Un pastore evita di controllare tutto – i pastori controllori non lasciano crescere! –, dà spazio alle iniziative, lascia crescere in tempi diversi – non tutti hanno lo stesso tempo di crescita – e non cerca l’uniformità: l’uniformità non è vita; la vita è variegata, ognuno ha il proprio modo di essere, il proprio modo di crescere, il proprio modo di essere persona. L’uniformità non è una strada cristiana. Il vero pastore non ha pretese che non siano ragionevoli, non disprezza i risultati apparentemente più magri: “Questa volta è andata così… avanti, tranquillo! Un’altra volta sarà meglio”. Sa sempre prendere i risultati come vengono. Permettetemi che vi dica qual è l’immagine che a volte mi viene in mente quando penso alla vita del pastore. Il pastore deve prendere la vita da dove viene, con i risultati che vengono. Il pastore è come il portiere della squadra di calcio: prende il pallone da dove lo tirano. Sa muoversi, sa prendere la realtà come viene. E correggere le cose, dopo, ma sul momento prende la vita come viene. Questo è amore di pastore. Questo dice di una fedeltà al Vangelo che ci rende anche pastori vicini al popolo di Dio, a cominciare dai nostri fratelli sacerdoti, che sono i nostri fratelli più vicini e che devono ricevere da noi una cura speciale.

Il pastore dev’essere vicino a Dio, ai suoi sacerdoti, vicino al popolo. Le tre vicinanze del pastore. Vicino a Dio nella preghiera. Non dimentichiamo che quando gli Apostoli “inventano” i diaconi – questo l’ho detto tante volte –, Pietro, per spiegare questa nuova invenzione dei diaconi, dice: “E a noi [Apostoli], la preghiera e l’annuncio della Parola”. Il primo compito del pastore è pregare. Ognuno di voi si chieda: prego? quanto? come? Vicinanza a Dio. Vicinanza ai sacerdoti: i sacerdoti sono i prossimi più prossimi del vescovo. “Ho chiamato il vescovo, ha preso la chiamata la segretaria e mi dice che per tre mesi non c’è posto per darmi un appuntamento”. Un consiglio da fratello: se tu trovi che la tua segretaria ti lascia nella lista la chiamata di un prete, quello stesso giorno, o al massimo il giorno dopo, richiamalo. Forse non avrai tempo per riceverlo, ma richiamalo. Quel prete saprà che ha un padre! E la terza vicinanza: vicinanza al popolo. Il pastore che si allontana dal popolo, che perde il fiuto del popolo, finisce come un “Monsieur l’Abbé”, un funzionario di corte... corte pontificia, importante, ma sempre di corte alla fine, e questo non serve.

Qualche tempo fa esponevo ai vescovi italiani la premura che i nostri sacerdoti possano trovare nel loro vescovo la figura del fratello maggiore e del padre che li incoraggia e li sostiene lungo il cammino (cfr Discorso alla Conferenza Episcopale Italiana, 20 maggio 2019). È questa la paternità spirituale, che spinge il vescovo a non lasciare orfani i suoi sacerdoti e che si può “toccare con mano” non solo nella capacità di aprire le porte a tutti i sacerdoti, ma anche in quella di andare a cercarli per accompagnarli quando attraversano un momento di difficoltà.

Nelle gioie e nelle difficoltà inerenti al ministero, i sacerdoti devono trovare in voi, cari vescovi, dei padri sempre disponibili che sappiano come incoraggiare e sostenere, capaci di apprezzare gli sforzi e di accompagnare i progressi possibili. Il Concilio Vaticano II ha formulato un’osservazione speciale su questo punto: «[I vescovi] Trattino sempre con particolare carità i sacerdoti, perché essi si assumono una parte dei loro ministeri e delle loro preoccupazioni, e vi si consacrano nella vita quotidiana con tanto zelo. Li considerino come figli ed amici e perciò siano disposti ad ascoltarli e a trattarli con fiducia e benevolenza, allo scopo di incrementare l’attività pastorale in tutta la diocesi» (Decr. Christus Dominus, 16).

Prendersi cura della terra implica anche l’attesa paziente dei processi. Il pastore sa attendere i processi. E, al momento del raccolto, l’agricoltore valuta anche la qualità dei lavoratori. Questo vi impone, in quanto pastori, un dovere urgente – sto parlando della qualità dei lavoratori – un dovere urgente di accompagnamento e discernimento, soprattutto per quanto riguarda le vocazioni alla vita consacrata e al sacerdozio, ciò che è fondamentale per garantire l’autenticità di tali vocazioni. E in questo, mi raccomando, state attenti. Non lasciatevi ingannare dalla necessità e dal numero: “Abbiamo bisogno di sacerdoti e perché ho bisogno prendo senza discernimento le vocazioni”. Non so, credo che da voi non sia tanto comune perché avete vocazioni e dunque avete una certa libertà di andare adagio con discernimento. Ma in alcuni Paesi d’Europa è lamentevole: la mancanza di vocazioni spinge il vescovo a prendere di qua, di là, di là senza vedere la vita com’era prendono persone “cacciate” da altri seminari, “cacciate” dalla vita religiosa, che sono state cacciate perché immorali o per altre deficienze. Per favore, state attenti. Non fate entrare il lupo nel gregge. La messe è molta e il Signore – non potendo desiderare che autentici operai – non si lascia limitare nei modi di chiamare e di incitare al dono generoso della propria vita. Dopo la scelta, la formazione dei candidati al sacerdozio e alla vita consacrata è proprio destinata ad assicurare una maturazione e una purificazione delle intenzioni. A questo proposito, nello spirito dell’Esortazione apostolica Gaudete et exsultate, vorrei sottolineare che la chiamata fondamentale, senza la quale le altre non hanno ragion d’essere, è la chiamata alla santità, e che questa «santità è il volto più bello della Chiesa» (n. 9). Apprezzo i vostri sforzi per assicurare la formazione di autentici e santi operai per l’abbondante messe nel campo del Signore.

Inoltre, vorrei sottolineare un atteggiamento che a me non piace, perché non viene da Dio: la rigidità. Oggi è alla moda, non so qui, ma in altre parti è alla moda, trovare persone rigide. Sacerdoti giovani, rigidi, che vogliono salvare con la rigidità, forse, non so, ma prendono un atteggiamento di rigidità e alle volte – scusatemi – da museo. Hanno paura di tutto, sono rigidi. State attenti, e sappiate che sotto ogni rigidità ci sono dei gravi problemi.

Tale sforzo deve estendersi anche al vasto mondo del laicato; anche i laici sono inviati per il raccolto, sono chiamati a prendere parte alla pesca, a rischiare le loro reti e il loro tempo con «il loro multiforme apostolato tanto nella Chiesa che nel mondo» (Conc. Ecum. Vat. II, Decr. Apostolicam actuositatem, 9). Con tutta la sua estensione, le sue problematiche e i suoi cambiamenti, il mondo costituisce il campo specifico di apostolato dove essi sono chiamati a lavorare con generosità e responsabilità, portandovi il fermento del Vangelo. Ecco perché vorrei congratularmi per tutte le iniziative che prendete come pastori per la formazione dei laici – grazie di questo! – e per non lasciarli soli nella missione di essere sale della terra e luce del mondo, al fine di contribuire alla trasformazione della società e della Chiesa in Madagascar. E mi raccomando, per favore: non clericalizzate i laici. I laici sono laici. Io ho sentito, nella mia precedente diocesi, proposte come questa: “Signor vescovo, io nella parrocchia ho un laico meraviglioso: lavora, organizza tutto… lo facciamo diacono?”. Lascialo lì, non rovinargli la vita, lascialo laico. E, a proposito dei diaconi: i diaconi tante volte soffrono la di clericalismo, si sentono presbiteri o vescovi mancati… No! Il diacono è il custode del servizio nella Chiesa. Per favore, non tenete i diaconi sull’altare: che facciano i lavori fuori, nel servizio. Se devono andare in missione a battezzare, che battezzino: va bene. Ma nel servizio, non fare i sacerdoti mancati.

Cari fratelli, tutta questa responsabilità nel campo di Dio deve provocarci ad avere il cuore e la mente aperti, a scacciare la paura che rinchiude e a vincere la di isolarci: il dialogo fraterno tra di voi – è importante! – come pure la condivisione dei doni e la collaborazione tra le Chiese particolari dell’Oceano Indiano, siano una via di speranza. Dialogo e collaborazione. La somiglianza tra le sfide pastorali quali la protezione dell’ambiente in uno spirito cristiano o il problema dell’immigrazione richiede riflessioni comuni e una sinergia di azioni su larga scala per un approccio efficace.

Infine, attraverso di voi, vorrei salutare in modo speciale i sacerdoti, i religiosi e le religiose che sono malati o sofferenti per l’anzianità. Lascio una domanda a ognuno di voi: vado a visitarli? Vi chiedo di esprimere loro il mio affetto e la mia vicinanza nella preghiera, e di prendervene cura con tenerezza sostenendoli nella bella missione di intercessione.

Due donne proteggono questa Cattedrale: nella cappella qui accanto riposano i resti della Beata Victoire Rasoamanarivo, che ha saputo fare del bene, difendere e diffondere la fede in tempi difficili; e soprattutto vi è l’immagine della Vergine Maria che, con le sue braccia aperte verso la valle e le colline, sembra abbracciare ogni cosa. Chiediamo a loro di allargare sempre il nostro cuore, di insegnarci la compassione proveniente dal grembo materno che la donna e Dio sentono di fronte ai dimenticati della terra, e di aiutarci a seminare la pace e la speranza.

E a voi, come segno del mio cordiale e fedele sostegno, do la mia benedizione, come fratello vi benedico e questa benedizione estendo alle vostre diocesi.

Per favore, non dimenticatevi di pregare per me e far pregare per me!

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VEGLIA CON I GIOVANI
Campo Diocesano di Soamandrakizay (Antananarivo)



Attraverso di voi il futuro entra nel Madagascar e nella Chiesa. Così il Papa agli oltre 100mila giovani malgasci durante la veglia al campo Soamandrakizay. Poi il monito: mai isolarsi, mai cedere alle voci che cercano di addormentarvi e farvi tacere, con Gesù ci sono sempre nuovi orizzonti possibili.

E’ il Campo diocesano di Soamandrakizay, nella periferia di Antananarivo ad ospitare il caloroso e atteso incontro di Francesco con la gioventù del Madagascar che brilla di una fede viva. Le danze tradizionali, i cori, le musiche sature di percussioni, i colori di questa isola meravigliosa muovono di felicità gli occhi del Papa. “Non si sbagliavano quelli che mi hanno detto che avete una gioia e un entusiasmo straordinari”, esordisce il Vescovo di Roma, che poi ascolta coinvolto le testimonianze di due giovani.

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DISCORSO DEL SANTO PADRE

La ringrazio, Monsignore, per le Sue parole di benvenuto. Grazie a voi, cari giovani che siete venuti da ogni parte di questa bellissima isola, nonostante gli sforzi e le difficoltà che ciò comporta per molti di voi. Tuttavia, siete qui! Mi dà tanta gioia poter vivere con voi questa veglia alla quale il Signore Gesù ci invita. Grazie per i canti e per le danze tradizionali che avete eseguito con grande entusiasmo – non si sbagliavano quelli che mi hanno detto che avete una gioia e un entusiasmo straordinari!

Grazie, Rova Sitraka e Vavy Elyssa, per aver condiviso con tutti noi il vostro cammino di ricerca tra aspirazioni e sfide. Com’è bello incontrare due giovani con una fede viva, in movimento! Gesù ci lascia il cuore sempre in ricerca, ci mette in cammino e in movimento. Il discepolo di Gesù, se vuole crescere nella sua amicizia, non deve rimanere immobile, a lamentarsi e guardare a sé stesso. Deve muoversi, agire, impegnarsi, sicuro che il Signore lo sostiene e lo accompagna.

Per questo mi piace vedere ogni giovane come uno che cerca. Vi ricordate la prima domanda che Gesù rivolge ai discepoli sulla riva del Giordano? La prima domanda era: «Che cosa cercate?» (Gv 1,38). Il Signore sa che stiamo cercando quella «felicità per la quale siamo stati creati» e «che il mondo non ci potrà togliere» (Esort. ap. Gaudete et exsultate, 1; 177). Ognuno lo esprime in modi diversi, ma in fondo siete sempre alla ricerca di quella felicità che nessuno potrà toglierci.

Come ci hai detto tu, Rova. Nel tuo cuore, avevi da tanto tempo il desiderio di visitare i carcerati. Hai iniziato ad aiutare un sacerdote nella sua missione e, a poco a poco, ti sei impegnato sempre di più finché questa è diventata la tua missione personale. Hai scoperto che la tua vita era missionaria. Questa ricerca di fede aiuta a rendere migliore, più evangelico il mondo in cui viviamo. E quello che hai fatto per gli altri ti ha trasformato, ha cambiato il tuo modo di vedere e giudicare le persone. Ti ha resa più giusto e più umano. Hai compreso e hai scoperto come il Signore si è impegnato con te, donandoti una felicità che il mondo non ti potrà togliere (cfr ibid., 177).

Rova, nella tua missione, hai imparato a rinunciare agli aggettivi e a chiamare le persone col loro nome, come fa il Signore con noi. Lui non ci chiama col nostro peccato, con i nostri errori, i nostri sbagli, i nostri limiti, ma lo fa con il nostro nome; ognuno di noi è prezioso ai suoi occhi. Il diavolo, invece, pur conoscendo i nostri nomi, preferisce chiamarci e richiamarci continuamente coi nostri peccati e i nostri errori; e in questo modo ci fa sentire che, qualunque cosa facciamo, nulla può cambiare, tutto rimarrà uguale. Il Signore non agisce così. Il Signore ci ricorda sempre quanto siamo preziosi ai suoi occhi, e ci affida una missione.

Rova, tu hai imparato a conoscere non solo le qualità, ma anche le storie che si nascondono dietro ogni volto. Hai messo da parte la critica veloce e facile, che sempre paralizza, per imparare una cosa che tante persone possono impiegare anni a scoprire. Ti sei reso conto che, in molte persone che sono in prigione, non c’era il male, ma delle cattive scelte. Hanno sbagliato strada, e lo sanno, ma adesso vogliono ricominciare.

Questo ci ricorda uno dei doni più belli che l’amicizia con Gesù può offrirci. «Lui è in te, Lui è con te e non se ne va mai. Per quanto tu ti possa allontanare, accanto a te c’è il Risorto, che ti chiama e ti aspetta per ricominciare» (Esort. ap. postsin. Christus vivit, 2) e per affidarti una missione. È il regalo che Egli invita tutti noi a scoprire e a celebrare quest’oggi.

Sappiamo tutti, anche per esperienza personale, che ci si può smarrire e correre dietro a illusioni che ci fanno promesse e ci incantano con una gioia appariscente, una gioia rapida, facile e immediata, ma che alla fine lasciano il cuore, lo sguardo e l’anima a metà strada. State attenti a coloro che vi promettono strade facili e poi vi lasceranno a metà strada! Quelle illusioni che, quando siamo giovani, ci seducono con promesse che ci anestetizzano, ci tolgono la vitalità, la gioia, ci rendono dipendenti e ci chiudono in un circolo apparentemente senza uscita e pieno di amarezza.

Un’amarezza, non so se sia vero... ma c’è il rischio per voi di pensare: “È così... niente può cambiare e nessuno ci può far nulla”. Soprattutto quando non si dispone del minimo necessario per combattere giorno per giorno; quando le effettive opportunità di studiare non sono sufficienti; o per coloro che si rendono conto che il loro futuro è bloccato a causa della mancanza di lavoro, della precarietà, delle ingiustizie sociali..., e che quindi sono tentati di arrendersi. State attenti davanti a quest’amarezza! State attenti!

Il Signore è il primo a dire: no, non è questa la via. Egli è vivo e vuole che anche tu sia vivo, condividendo tutti i tuoi doni e carismi, le tue ricerche e le tue competenze (cfr ibid., 1). Il Signore ci chiama per nome e ci dice: “Seguimi!”. Non per farci correre dietro a delle illusioni, ma per trasformare ognuno di noi in discepoli-missionari qui e ora. È il primo a confutare tutte le voci che cercano di addormentarvi, di addomesticarvi, di anestetizzarvi o farvi tacere perché non cerchiate nuovi orizzonti. Con Gesù, ci sono sempre nuovi orizzonti. Vuole trasformarci tutti e fare della nostra vita una missione. Ma ci chiede una cosa: ci chiede di non aver paura di sporcarci le mani, di non avere paura di sporcarci le mani.

Attraverso di voi, il futuro entra nel Madagascar e nella Chiesa. Il Signore è il primo ad avere fiducia in voi e invita anche voi ad avere fiducia in voi stessi, ad avere fiducia nelle vostre competenze e capacità, che sono tante. Vi invita a farvi coraggio, uniti a Lui per scrivere la pagina più bella della vostra vita, per superare l’apatia e offrire, come Rova, una risposta cristiana ai molti problemi che dovete affrontare. È il Signore che vi invita a essere i costruttori del futuro (cfr ibid., 174). Voi sarete i costruttori del futuro! Vi invita a portare il contributo che solo voi potete dare, con la gioia e la freschezza della vostra fede. A ognuno di voi – a te, a te, a te, a te,… - chiedo, e ti invito a chiederti: il Signore, può contare su di te? Il tuo popolo malgascio può contare su di te? La tua patria, il Madagascar, può contare su di te?

Ma il Signore non vuole avventurieri solitari. Ci affida una missione, sì, ma non ci manda da soli in prima linea.

Come ha detto bene Vavy Elyssa, è impossibile essere un discepolo missionario da solo: abbiamo bisogno degli altri per vivere e condividere l’amore e la fiducia che il Signore ci dà. L’incontro personale con Gesù è insostituibile, non in maniera solitaria ma in comunità. Sicuramente, ognuno di noi può fare grandi cose, sì; ma insieme possiamo sognare e impegnarci per cose inimmaginabili! Vavy l’ha detto chiaramente. Siamo invitati a scoprire il volto di Gesù nei volti degli altri: celebrando la fede in modo familiare, creando legami di fraternità, partecipando alla vita di un gruppo o di un movimento e incoraggiandoci a tracciare un percorso comune vissuto in solidarietà. Così possiamo imparare a scoprire e discernere le strade che il Signore vi invita a percorrere, gli orizzonti che Lui prepara per voi. Mai isolarsi o voler fare da soli! È una delle peggiori tentazioni che possiamo avere.

In comunità, cioè insieme, possiamo imparare a riconoscere i piccoli miracoli quotidiani, come pure le testimonianze di com’è bello seguire e amare Gesù. E questo spesso in maniera indiretta, come nel caso dei tuoi genitori, Vavy, che, pur appartenendo a due tribù diverse, ognuna con le sue usanze e i suoi costumi, grazie al loro reciproco amore hanno potuto superare tutte le prove e le differenze, e indicarvi una bella via su cui camminare. Una via che viene confermata ogni volta che vi donano i frutti della terra perché siano offerti all’altare. Quanto c’è bisogno di queste testimonianze! O come tua zia e le catechiste e i sacerdoti che le hanno accompagnate e sostenute nel processo della fede. Tutto ha contribuito a generare e incoraggiare il vostro “sì”. Tutti siamo importanti, tutti, tutti siamo necessari e nessuno può dire: “non ho bisogno di te”. Nessuno può dire: “Io non ho bisogno di te”, oppure “non fai parte di questo progetto d’amore che il Padre ha sognato creandoci”.

Adesso vi lancio una sfida: vorrei che tutti insieme dicessimo: nessuno può dire: “non ho bisogno di te”. Tre volte … [lo ripetono tre volte] Siete stati bravi!

Siamo una grande famiglia – sto per finire, tranquilli, perché fa freddo… [ridono] – e possiamo scoprire, cari giovani, che abbiamo una Madre: la protettrice del Madagascar, la Vergine Maria. Sono sempre stato colpito dalla forza del “sì” di Maria da giovane – era giovane come voi. La forza di quell’ “avvenga per me secondo la tua parola” che lei dice all’angelo. Non era un “sì” tanto per dire: “beh, vediamo un po’ che cosa succede”. No. Maria non conosceva l’espressione: “Vediamo che cosa succede”. Lei ha detto “sì”, senza giri di parole. È il “sì” di coloro che vogliono impegnarsi e che sono disposti a rischiare, che vogliono scommettere tutto, senza altra sicurezza che la certezza di sapere che sono portatori di una promessa. Quella ragazza di Nazareth oggi è la Madre che veglia sui suoi figli che camminano nella vita spesso stanchi, bisognosi, ma che desiderano che la luce della speranza non si spenga. Questo è ciò che vogliamo per il Madagascar, per ciascuno di voi e per i vostri amici: che la luce della speranza non si spenga. Nostra Madre guarda questo popolo di giovani che lei ama, che la cercano anche facendo silenzio nel cuore benché ci sia molto rumore, conversazioni e distrazioni lungo la strada; e la supplicano affinché la speranza non si spenga (cfr Christus vivit, 44-48).

A lei voglio affidare la vita di tutti e ciascuno di voi, delle vostre famiglie e dei vostri amici, perché non vi manchi mai la luce della speranza e il Madagascar possa essere sempre più la terra che il Signore ha sognato. Che lei vi accompagni e vi protegga sempre.

E per favore non dimenticatevi di pregare per me.

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