Ti ho chiamato per nome (Is 43,1)
Riflessione di Sr M. Eleonora dell’Amore Infinito o.carm.
La siciliana di Barcellona Pozzo di Gotto in provincia di Messina,
sabato 31 agosto 2019 ha pronunciato la Professione Solenne
nella chiesa parrocchiale di San Lorenzo in Sogliano al Rubicone
della Diocesi di Rimini
Esiste un legame del tutto speciale tra l’essere chiamati per nome e la propria vocazione.
Dire “essere chiamati per nome” significa essere chiamati alla vita, essere stati desiderati, pensati, voluti da Qualcuno che ci ha tessuto fin dal seno materno. C’è una volontà previa rispetto a quella genitoriale ed è quella che colloca la nostra vita come Dono di Dio per noi, Dono di Dio per gli altri, Dono di Dio per se stesso … Sì, perché, nella nostra libertà, siamo Dono anche per Dio stesso!
Ognuno di noi è una pagina bianca in cui il Signore della Vita può scrivere la sua lettera d’Amore per ogni uomo e, allo stesso tempo, ognuno di noi è quella pagina bianca in cui poter scrivere la propria personalissima lettera d’Amore a Dio.
A me è stata donata la grazia di poter scrivere questa lettera d’Amore a Dio e agli uomini dall’interno del monastero carmelitano di Sogliano al Rubicone. In realtà sono consapevole di poter solo balbettare qualcosa della straordinaria avventura che il mio “Sì” al Signore mi fa vivere ogni giorno, posso solo condividere la mia testimonianza di vita che parte da molto lontano…
Sono stata educata alla fede cattolica da una famiglia credente ma avvertivo la messa domenicale come un dovere noioso da assolvere. Dopo la Prima Comunione decisi di non frequentare più la parrocchia e Dio divenne sempre più un illustre sconosciuto nella mia vita. All’età di 15 anni mi trovai davanti alla dura prova della malattia di mio padre. Mi ricordai in quell’occasione di Dio e cominciai a rivolgergli le mie preghiere, così come sapevo, come mi ricordavo, come potevo … ma nel giro di pochi mesi mio padre morì. Decisi in quel momento che Dio era una favola per persone ingenue e che in realtà non esisteva. Ero arrabbiata con Lui e aggredivo verbalmente chiunque me ne parlasse.
Iniziò un lungo periodo durante il quale cercai di dare risposta a quell’interrogativo graffiante che mi portavo dentro: “che senso ha la vita?”. Lessi molti autori, divorai molti libri ma, alla fine dell’ultima pagina, rimanevo ancora più vuota di quando avevo iniziato. Di tanto in tanto sentivo Qualcuno che bussava alla porta del mio cuore ma mi ostinavo a non dargli risposta.
Dopo 10 anni di affannosa ricerca e di lontananza da Dio, sentii ancora più forte la presenza di Qualcuno che dal profondo di me stessa mi chiedeva di aprirgli. Cercai, come le altre volte, di ignorarla ma il mio cuore ardeva dentro e il bisogno di comprendere cosa fosse era irresistibile.
Mi rivolsi ad un padre carmelitano della mia città e così ebbe inizio il mio cammino di Risurrezione: quella domanda di senso trovava una risposta profondamente Autentica.
La realtà pesante e banale di poco prima si tingeva di una Verità diversa e assaporavo il gusto di una Gioia Nuova e più Reale. Il lutto si era cambiato in gioia e l’angoscia in canto.
Compresi solo allora che nel mio Calvario Cristo mi era sempre rimasto accanto e che in tutto quel tempo voleva guidarmi alla Luce della Pasqua.
Anch’io, come Lui potevo mostrare ora le mie cicatrici da risorta: esse non erano più eco di una sofferenza abissale ma testimonianza di un Incontro che sana le proprie ferite trasformandole in luogo di accoglienza con il dolore di chi soffre, in luce di Risurrezione per chi vaga nella valle oscura.
La testimonianza del Beato Tito Brandsma, un carmelitano olandese ucciso nel campo di concentramento di Dachau, trasformò in domanda radicale quel desiderio informe che sentivo dentro: cosa vuoi fare della tua vita?
Compresi la risposta a questa domanda quando, nel novembre del 2010, giunsi “per caso” al Carmelo di Sogliano al Rubicone. Entrata nella piccola chiesetta di Santa Maria della Vita, davanti al Crocifisso sentii chiaramente una voce che dentro mi diceva “questo è il posto: fermati”.
Ammetto che il mio assenso non fu immediato ma, più cercavo di ignorare quello che provavo, più quella voce cresceva. Alla fine, la notte di Natale di quello stesso anno, mentre il piccolo Gesù veniva mostrato ai fedeli, sentii una pace profonda discendere in me e trovai la libertà piena di rispondere “Eccomi Signore!”.
È stato un “Eccomi” che mi ha cambiato la vita rendendola più feconda e più vera. La mia consacrazione nel Carmelo mi ha permesso di consapevolizzare ancora più a fondo che questa vocazione risponde alla pienezza della mia persona perché qualunque chiamata deve portare a quella compiutezza che permette di realizzare il desiderio di felicità che l’Onnipotente ti mette dentro.
Credo sia questa l’essenza della chiamata che il Signore rivolge da sempre ad ogni uomo e ad ogni donna: la piena realizzazione della propria umanità ed è questa la risposta più profonda che un giovane e una giovane deve realizzare anche oggi senza temere di mettere la propria vita nelle mani di Dio. E’ in questo coraggio, apparentemente folle, che si passa da una vita sensatamente ordinaria ad una vita straordinariamente Umana.
Certo, fare della propria esistenza una lettera d’amore a Dio e agli uomini non sempre è facile ma le fatiche rendono più concreto il dono di sé e, alla fine di ogni giornata mi accorgo con stupore immenso che quella lettera è sempre scritta a tre mani: la mia, quella di chi incontro e quella di Dio che non tralascia mai di scrivere il suo personalissimo messaggio d’Amore per me.
Dire “essere chiamati per nome” significa essere chiamati alla vita, essere stati desiderati, pensati, voluti da Qualcuno che ci ha tessuto fin dal seno materno. C’è una volontà previa rispetto a quella genitoriale ed è quella che colloca la nostra vita come Dono di Dio per noi, Dono di Dio per gli altri, Dono di Dio per se stesso … Sì, perché, nella nostra libertà, siamo Dono anche per Dio stesso!
Ognuno di noi è una pagina bianca in cui il Signore della Vita può scrivere la sua lettera d’Amore per ogni uomo e, allo stesso tempo, ognuno di noi è quella pagina bianca in cui poter scrivere la propria personalissima lettera d’Amore a Dio.
A me è stata donata la grazia di poter scrivere questa lettera d’Amore a Dio e agli uomini dall’interno del monastero carmelitano di Sogliano al Rubicone. In realtà sono consapevole di poter solo balbettare qualcosa della straordinaria avventura che il mio “Sì” al Signore mi fa vivere ogni giorno, posso solo condividere la mia testimonianza di vita che parte da molto lontano…
Sono stata educata alla fede cattolica da una famiglia credente ma avvertivo la messa domenicale come un dovere noioso da assolvere. Dopo la Prima Comunione decisi di non frequentare più la parrocchia e Dio divenne sempre più un illustre sconosciuto nella mia vita. All’età di 15 anni mi trovai davanti alla dura prova della malattia di mio padre. Mi ricordai in quell’occasione di Dio e cominciai a rivolgergli le mie preghiere, così come sapevo, come mi ricordavo, come potevo … ma nel giro di pochi mesi mio padre morì. Decisi in quel momento che Dio era una favola per persone ingenue e che in realtà non esisteva. Ero arrabbiata con Lui e aggredivo verbalmente chiunque me ne parlasse.
Iniziò un lungo periodo durante il quale cercai di dare risposta a quell’interrogativo graffiante che mi portavo dentro: “che senso ha la vita?”. Lessi molti autori, divorai molti libri ma, alla fine dell’ultima pagina, rimanevo ancora più vuota di quando avevo iniziato. Di tanto in tanto sentivo Qualcuno che bussava alla porta del mio cuore ma mi ostinavo a non dargli risposta.
Dopo 10 anni di affannosa ricerca e di lontananza da Dio, sentii ancora più forte la presenza di Qualcuno che dal profondo di me stessa mi chiedeva di aprirgli. Cercai, come le altre volte, di ignorarla ma il mio cuore ardeva dentro e il bisogno di comprendere cosa fosse era irresistibile.
Mi rivolsi ad un padre carmelitano della mia città e così ebbe inizio il mio cammino di Risurrezione: quella domanda di senso trovava una risposta profondamente Autentica.
La realtà pesante e banale di poco prima si tingeva di una Verità diversa e assaporavo il gusto di una Gioia Nuova e più Reale. Il lutto si era cambiato in gioia e l’angoscia in canto.
Compresi solo allora che nel mio Calvario Cristo mi era sempre rimasto accanto e che in tutto quel tempo voleva guidarmi alla Luce della Pasqua.
Anch’io, come Lui potevo mostrare ora le mie cicatrici da risorta: esse non erano più eco di una sofferenza abissale ma testimonianza di un Incontro che sana le proprie ferite trasformandole in luogo di accoglienza con il dolore di chi soffre, in luce di Risurrezione per chi vaga nella valle oscura.
La testimonianza del Beato Tito Brandsma, un carmelitano olandese ucciso nel campo di concentramento di Dachau, trasformò in domanda radicale quel desiderio informe che sentivo dentro: cosa vuoi fare della tua vita?
Compresi la risposta a questa domanda quando, nel novembre del 2010, giunsi “per caso” al Carmelo di Sogliano al Rubicone. Entrata nella piccola chiesetta di Santa Maria della Vita, davanti al Crocifisso sentii chiaramente una voce che dentro mi diceva “questo è il posto: fermati”.
Ammetto che il mio assenso non fu immediato ma, più cercavo di ignorare quello che provavo, più quella voce cresceva. Alla fine, la notte di Natale di quello stesso anno, mentre il piccolo Gesù veniva mostrato ai fedeli, sentii una pace profonda discendere in me e trovai la libertà piena di rispondere “Eccomi Signore!”.
È stato un “Eccomi” che mi ha cambiato la vita rendendola più feconda e più vera. La mia consacrazione nel Carmelo mi ha permesso di consapevolizzare ancora più a fondo che questa vocazione risponde alla pienezza della mia persona perché qualunque chiamata deve portare a quella compiutezza che permette di realizzare il desiderio di felicità che l’Onnipotente ti mette dentro.
Credo sia questa l’essenza della chiamata che il Signore rivolge da sempre ad ogni uomo e ad ogni donna: la piena realizzazione della propria umanità ed è questa la risposta più profonda che un giovane e una giovane deve realizzare anche oggi senza temere di mettere la propria vita nelle mani di Dio. E’ in questo coraggio, apparentemente folle, che si passa da una vita sensatamente ordinaria ad una vita straordinariamente Umana.
Certo, fare della propria esistenza una lettera d’amore a Dio e agli uomini non sempre è facile ma le fatiche rendono più concreto il dono di sé e, alla fine di ogni giornata mi accorgo con stupore immenso che quella lettera è sempre scritta a tre mani: la mia, quella di chi incontro e quella di Dio che non tralascia mai di scrivere il suo personalissimo messaggio d’Amore per me.
Sr M. Eleonora dell’Amore Infinito o.carm.