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lunedì 16 settembre 2019

Papa Francesco in Mozambico: Incontro con le Scholas Occurrentes - Incontro con le autorità: "Il coraggio della pace si attua nella ricerca instancabile del bene comune!" - Incontro interreligioso con i Giovani: "Voi siete importanti! siete la gioia di oggi. La speranza del domani." (foto, testi e video)


VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ FRANCESCO
IN MOZAMBICO, MADAGASCAR E MAURIZIO
(4 - 10 SETTEMBRE 2019)


Giovedì, 5 settembre 2019

MAPUTO
Incontro con le Scholas Occurrentes
9:45 Visita di cortesia al Presidente nel Palazzo Ponta Vermelha
10:15 Incontro con le Autorità, la Società civile e il Corpo Diplomatico nel Palazzo Ponta Vermelha
11:00 Incontro interreligioso con i Giovani nel Pavillon Maxaquene
Pranzo in Nunziatura

Prima di recarsi al palazzo presidenziale Papa Francesco ha celebrato la messa in nunziatura, anche per i cardinali Roger Etchegaray e José de Jesus Pimiento, deceduti nei giorni scorsi e poi ha incontrato una delegazione mozambicana delle Scholas Occurrentes, con il direttore Enrique Adolfo Palmeyro.

INCONTRO CON LE SCHOLAS OCCURRENTES
Nunziatura Apostolica (Maputo)
Giovedì, 5 settembre 2019


Ricordi d’infanzia: quelli di una Buenos Aires in cui i bambini giocavano a calcio con palloni fatti di stracci in un cortile vicino casa. Il Papa li ha confidati ad alcuni giovani mozambicani per sottolineare come gioco e lavoro debbano sempre essere congiunti. È accaduto giovedì mattina, 5 settembre, nella nunziatura apostolica di Maputo, con un gruppo di partecipanti a un’esperienza promossa da Scholas occurentes in Mozambico.

Durante l’incontro, durato circa 15 minuti, sono state illustrate al Pontefice le attività svolte dalla Fondazione nel Paese africano, particolarmente nel campo dello sport e della formazione umana. E gli è stata consegnata una piccola palla, che ha risvegliato in Francesco la memoria di giorni passati. 


PAROLE DEL SANTO PADRE

Vi ringrazio per questa visita che mi tocca il cuore. Vi ringrazio per tutto quello che fate e per come vi siete presentati. 

Quelli di Xai-Xai hanno spiagge famose… il turismo dall'Africa, dall'Europa… E mi sembra molto positivo che giochino a calcio sulla spiaggia. E mi sembra anche che vada molto bene che le ragazze giochino a calcio sulla spiaggia.

Ma c'è una cosa che mi ha toccato molto il cuore ed è il pallone di stracci. Quando ero bambino io giocavo con un pallone di stracci. Perché a quel tempo i palloni erano di cuoio, cuciti con il cuoio ed erano molto costosi. E noi, che andavamo a scuola tutti insieme, non avevamo i soldi per comprare quei palloni “numero 5” che erano così grossi. Non c'era ancora né la plastica né il pallone di gomma. C'era il pallone di cuoio o questo di stracci.

Così, nel cortile di casa mia dove giocavamo, dove c’è ancora una piazzetta, giocavamo con un pallone di stracci. In Argentina, il pallone di stracci è diventato un simbolo culturale di quell’epoca, a tal punto che un poeta popolare argentino ha scritto una poesia chiamata "pallone di stracci", e c'è anche un film che hanno girato chiamato "pallone di stracci".

Voi in questo modo raccogliete tutta una storia di artigianato sportivo: lavoro per fare questo, e gioia per il gioco. Lavoro e gioco. Nella vita se non c'è lavoro, la vita non va bene, e se non sai giocare, la vita non va bene. Lavoro e gioco, insieme.

Pallone di stracci. Sarebbe bello che facessero un concorso artistico - canzone, disegno, poesia, prosa… - sul tema del pallone di stracci. E al vincitore io darò un premio.


Visita di cortesia al Presidente nel Palazzo Ponta Vermelha

Francesco è giunto in orario al palazzo presidenziale, intorno alle 9.45. 
Prima del discorso alle autorità, il Papa si è intrattenuto con il presidente Nyusi e con la sua famiglia, firmando il libro d'onore e auspicando anche nella breve frase vergata all'impronta pace e riconciliazione per il Mozambico.





INCONTRO CON LE AUTORITÀ, LA SOCIETÀ CIVILE E IL CORPO DIPLOMATICO
Palazzo Presidenziale (Maputo)

Primo discorso del Pontefice a Maputo, incontrando le Autorità, il Corpo Diplomatico e i rappresentanti della società civile presso il Palacio da Ponta Vermelha, residenza ufficiale del Presidente della Repubblica. Al centro dei pensieri di Papa Francesco, il cammino di pace e riconciliazione del Mozambico, prima tappa del suo viaggio apostolico in Africa


DISCORSO DEL SANTO PADRE

Signor Presidente,
Membri del Governo e del Corpo Diplomatico,
Distinte Autorità,
Rappresentanti della società civile,
Signore e Signori!

Grazie, Signor Presidente, per le Sue parole di benvenuto nonché per il gentile invito a visitare la nazione. Sono contento di trovarmi di nuovo in Africa e iniziare questo viaggio apostolico da questo Paese, tanto benedetto per la sua bellezza naturale, come pure per la sua grande ricchezza culturale che aggiunge, alla ben nota gioia di vivere del vostro popolo, la speranza in un futuro migliore.

Saluto cordialmente i membri del Governo, del Corpo Diplomatico e i rappresentanti della società civile qui presenti. Nelle vostre persone desidero incontrare e salutare con affetto l’intero popolo mozambicano che, dal fiume Rovuma fino a Maputo, ci apre le porte per favorire un rinnovato futuro di pace e riconciliazione.

Voglio che le mie prime parole di vicinanza e di solidarietà siano rivolte a tutti coloro sui quali si sono abbattuti recentemente i cicloni Idai e Kenneth, le cui devastanti conseguenze continuano a pesare su tante famiglie, specialmente nei luoghi in cui la ricostruzione non è stata ancora possibile e richiede una speciale attenzione. Purtroppo non potrò recarmi personalmente da voi, ma voglio che sappiate che condivido la vostra angoscia, il vostro dolore e anche l’impegno della comunità cattolica nell’affrontare una così dura situazione. In mezzo alla catastrofe e alla desolazione, chiedo alla Provvidenza che non manchi la sollecitudine di tutti gli attori civili e sociali che, ponendo la persona al centro, siano in grado di promuovere la necessaria ricostruzione.

Desidero anche esprimere l’apprezzamento, mio e di gran parte della comunità internazionale, per gli sforzi che, da decenni, si vanno compiendo affinché la pace torni ad essere la norma, e la riconciliazione la via migliore per affrontare le difficoltà e le sfide che incontrate come nazione. In questo spirito e con questo proposito, circa un mese fa avete firmato nella Serra della Gorongosa l’accordo di cessazione definitiva delle ostilità militari tra fratelli mozambicani. Una pietra miliare, che salutiamo e speriamo come decisiva, fissata da persone coraggiose sulla via della pace, che parte da quell’Accordo Generale del 1992 a Roma.

Quante cose sono passate dalla firma dello storico trattato che ha sigillato la pace e ha dato i suoi primi germogli! Sono questi germogli che sostengono la speranza e danno fiducia per non lasciare che il modo di scrivere la storia sia la lotta fratricida, bensì la capacità di riconoscersi come fratelli, figli di una stessa terra, amministratori di un destino comune. Il coraggio della pace! Un coraggio di alta qualità: non quello della forza bruta e della violenza, ma quello che si attua nella ricerca instancabile del bene comune (cfr Paolo VI, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, 1973).

Voi conoscete la sofferenza, il lutto e l’afflizione, ma non avete voluto che il criterio regolatore delle relazioni umane fosse la vendetta o la repressione, né che l’odio e la violenza avessero l’ultima parola. Come ricordava il mio predecessore San Giovanni Paolo II durante la sua visita nel vostro Paese nel 1988, con la guerra «molti uomini, donne e bambini soffrono perché non hanno una casa dove abitare, un’alimentazione sufficiente, delle scuole dove istruirsi, degli ospedali dove curarsi, delle chiese dove riunirsi a pregare e dei campi dove impiegare la manodopera. Molte migliaia di persone sono costrette a spostarsi alla ricerca di sicurezza e di mezzi di sopravvivenza; altre si rifugiano nei Paesi vicini. [...] “No alla violenza e sì alla pace!”» (Discorso nella visita al Presidente della Repubblica, 16 settembre 1988, n. 3).

Durante tutti questi anni, avete sperimentato che la ricerca della pace duratura – una missione che coinvolge tutti – richiede un lavoro duro, costante e senza sosta, poiché la pace è «come un fiore fragile, che cerca di sbocciare tra le pietre della violenza» (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, 2019), e quindi richiede che si continui ad affermare con determinazione ma senza fanatismo, con coraggio ma senza esaltazione, con tenacia ma in maniera intelligente: no alla violenza che distrugge, sì alla pace e alla riconciliazione.

Come sappiamo, la pace non è solo assenza di guerra, ma l’impegno instancabile – soprattutto di quanti occupiamo un ufficio di maggiore responsabilità – di riconoscere, garantire e ricostruire concretamente la dignità, spesso dimenticata o ignorata, dei nostri fratelli, perché possano sentirsi protagonisti del destino della propria nazione. Non possiamo perdere di vista che, «senza uguaglianza di opportunità, le diverse forme di aggressione e di guerra troveranno un terreno fertile che prima o poi provocherà l’esplosione. Quando la società – locale, nazionale o mondiale – abbandona nella periferia una parte di sé, non vi saranno programmi politici, né forze dell’ordine o di intelligence che possano assicurare illimitatamente la tranquillità» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 59).

La pace ha reso possibile lo sviluppo del Mozambico in diversi settori. Promettenti sono i progressi compiuti nell’istruzione e nella salute. Vi incoraggio a portare avanti il lavoro di consolidamento delle strutture e delle istituzioni necessarie per far sì che nessuno si senta abbandonato, in particolare i vostri giovani, che costituiscono gran parte della popolazione. Essi sono non solo la speranza di questa terra, sono il presente che interpella, ricerca e ha bisogno di trovare strade dignitose che consentano loro di sviluppare tutti i loro talenti; sono un potenziale per seminare e far crescere la tanto desiderata amicizia sociale.

Una cultura di pace richiede «un costante processo nel quale ogni nuova generazione si vede coinvolta» (ibid., 220). Perciò il percorso dev’essere tale da favorire la cultura dell’incontro e da esserne totalmente impregnato: riconoscere l’altro, stringere legami, gettare ponti. In questo senso, è essenziale mantenere viva la memoria, quale via che apre al futuro, quale sentiero che conduce a cercare obiettivi comuni, valori condivisi, idee che favoriscano il superamento di interessi settoriali, corporativi o di parte, affinché le ricchezze della vostra Nazione siano messe al servizio di tutti, specialmente dei più poveri. Voi avete una coraggiosa e storica missione da compiere: non smettete di impegnarvi finché ci saranno bambini e adolescenti senza istruzione, famiglie senza casa, lavoratori senza occupazione, contadini senza terra... Queste sono le basi di un futuro di speranza, perché futuro di dignità! Queste sono le armi della pace.

La pace ci invita anche a curare la nostra casa comune. Da questo punto di vista, il Mozambico è una nazione benedetta, e voi in modo speciale siete invitati a prendervi cura di questa benedizione. La difesa della terra è anche la difesa della vita, che richiede speciale attenzione quando si constata una tendenza a saccheggiare e depredare, spinta da una bramosia di accumulare che, in genere, non è neppure coltivata da persone che abitano queste terre, né viene motivata dal bene comune del vostro popolo. Una cultura di pace implica uno sviluppo produttivo, sostenibile e inclusivo, in cui ogni mozambicano possa sentire che questo Paese è suo, e in cui possa stabilire rapporti di fraternità ed equità con il proprio vicino e con tutto ciò che lo circonda.

Signor Presidente, distinte Autorità! Voi tutti siete i costruttori dell’opera più bella che si possa compiere: un futuro di pace e riconciliazione quali garanzie del diritto dei vostri figli al futuro. Chiedo a Dio che, nel periodo che trascorrerò in mezzo a voi, possa anch’io – in comunione con i miei fratelli vescovi e la Chiesa cattolica che pellegrina su questa terra – contribuire affinché la pace, la riconciliazione e la speranza regnino definitivamente tra di voi. Grazie.

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INCONTRO INTERRELIGIOSO CON I GIOVANI
Stadio Maxaquene (Maputo)


La grande protagonista dell’Incontro interreligioso con i giovani del Mozambico è la gioia che dalle danze e dai canti dei ragazzi si rispecchia anche nelle parole del Papa: “vedervi cantare, sorridere, ballare, in mezzo a tutte le difficoltà che attraversate”, dice, “è il miglior segno che siete la gioia di questa terra”. “Voi siete importanti”, "siete il presente", esclama in un intervento interrotto più volte dagli applausi dei circa 6mila giovani che gli offrono in dono un Mbira, strumento musicale tipico dell’Africa sub sahariana. Lo stadio polifunzionale di Maputo si è difatti trasformato in un mosaico di colori, musiche e danze, coreografie realizzate, prima del discorso del Papa, da giovani del consiglio cristiano, musulmani, indù, cattolici, del Corem, il Consiglio delle Religioni del Mozambico.

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DISCORSO DEL SANTO PADRE

Tante grazie per le vostre parole di benvenuto! E grazie anche per tutte ed ognuna delle rappresentazioni artistiche che avete realizzato. Molte grazie, grazie! Sedetevi, mettetevi comodi.

Mi avete ringraziato perché ho riservato del tempo per stare con voi. Cosa può esserci di più importante per un pastore che stare con la sua gente? Cosa c’è di più importante per un pastore che incontrarsi con i suoi giovani? Voi siete importanti! Avete bisogno di saperlo, avete bisogno di crederci: voi siete importanti! Però con umiltà. Perché non siete solo il futuro del Mozambico, o della Chiesa e dell’umanità; voi siete il presente, siete il presente del Mozambico, con tutto ciò che siete e fate, state già contribuendo al presente con il meglio che oggi potete dare. Senza il vostro entusiasmo, le vostre canzoni, la vostra gioia di vivere, che sarebbe di questa terra? Senza i giovani, cosa sarebbe di questa terra? Vedervi cantare, sorridere, ballare, in mezzo a tutte le difficoltà che attraversate – come giustamente ci raccontavi tu – è il miglior segno del fatto che voi giovani siete la gioia di questa terra, la gioia di oggi, di oggi. La speranza del domani.

La gioia di vivere è una delle vostre principali caratteristiche, la caratteristica dei giovani, la gioia di vivere, come si può sentire qui! Gioia condivisa e celebrata, che riconcilia, e diventa il miglior antidoto per smentire tutti quelli che vi vogliono dividere – attenzione: che vi vogliono dividere! –, che vi vogliono frammentare, che vi vogliono contrapporre. Come si sente, in alcune regioni del mondo, la mancanza della vostra gioia di vivere! Come si sente, in alcune regioni del mondo, la gioia di essere uniti, di vivere insieme, diverse confessioni religiose, ma figli della stessa terra, uniti.

Grazie di essere qui alle diverse confessioni religiose. Grazie perché vi incoraggiate a vivere la sfida della pace e a celebrarla oggi insieme come famiglia, compresi coloro che, pur non appartenendo ad alcuna tradizione religiosa, sono venuti per partecipare... Così sperimentate che tutti siamo necessari: con le nostre differenze, ma necessari. Le nostre differenze sono necessarie. Insieme, come vi trovate adesso, voi siete il palpito di questo popolo, dove ognuno svolge un ruolo fondamentale, in un unico progetto creativo, per scrivere una nuova pagina di storia, una pagina piena di speranza, piena di pace, piena di riconciliazione. Vi chiedo: volete scrivere questa pagina? [rispondono: sì!] Quando sono entrato, avete cantato “riconciliazione”. Volete ripeterlo? [tutti: Riconciliazione! Riconciliazione! Riconciliazione!] Grazie!

Mi avete fatto due domande, ma penso che siano collegate. Una era: come fare perché i sogni dei giovani diventino realtà? E l’altra: come fare perché i giovani si coinvolgano nei problemi che affliggono il Paese? Voi, oggi, ci avete indicato la strada e ci avete insegnato come rispondere a queste domande.

L’avete detto con l’arte, con la musica, con la ricchezza culturale di cui hai parlato con tanto orgoglio…, avete espresso una parte dei vostri sogni e delle vostre realtà; in ognuna di quelle espressioni, si presentano modi diversi di affacciarvi sul mondo e guardare l’orizzonte: sempre con occhi colmi di speranza, pieni di futuro e pieno di desideri. Voi, giovani, camminate con due piedi come gli adulti, nello stesso modo; ma, a differenza degli adulti che li tengono paralleli, ne avete sempre uno davanti all’altro, pronti a partire, a scattare. Avete tanta forza, siete capaci di guardare con tanta speranza! Siete una promessa di vita, che porta in sé una tenacia (cfr Esort. ap. postsin.Christus vivit, 139), che non dovete perdere né lasciarvi rubare.

Come realizzare i sogni, come contribuire a risolvere i problemi del Paese? Mi piacerebbe dirvi: non lasciate che vi rubino la gioia! Non smettete di cantare e di esprimervi secondo tutto il bene che avete imparato dalle vostre tradizioni. Che non vi rubino la gioia! Come vi ho detto, ci sono molti modi di guardare l'orizzonte, il mondo, di guardare il presente e il futuro, ci sono molti modi. Ma bisogna stare attenti a due atteggiamenti che uccidono i sogni e la speranza. Quali sono? La rassegnazione e l’ansia. Due atteggiamenti che uccidono i sogni e la speranza. Sono grandi nemiche della vita, perché di solito ci spingono su un percorso facile ma di sconfitta; e il pedaggio che chiedono per passare è molto caro! E’ molto caro. Si paga con la propria felicità e persino con la propria vita. Rassegnazione e ansia: due atteggiamenti che rubano la speranza. Quante promesse vuote di felicità, che finiscono per mutilare delle vite! Sicuramente sapete di amici, conoscenti – o potrebbe essere capitato a voi – che, in momenti difficili, dolorosi, quando tutto sembra caderti addosso, restano schiacciati dalla rassegnazione. Bisogna stare molto attenti, perché questo atteggiamento «fa prendere la strada sbagliata. Quando tutto sembra fermo e stagnante, quando i problemi personali ci inquietano, i disagi sociali non trovano le dovute risposte, non è buono darsi per vinti” (ibid., 141). Non è buono darsi per vinti! Ripetete: non è bene darsi per vinti. [tutti: non è bene darsi per vinti!]

So che alla maggior parte di voi piace molto il calcio. È vero? Ricordo un grande giocatore di queste terre che ha imparato a non rassegnarsi: Eusebio da Silva, la “pantera nera”. Iniziò la sua vita sportiva nella squadra di questa città. Le gravi difficoltà economiche della sua famiglia e la morte prematura di suo padre non impedirono i suoi sogni; la sua passione per il calcio lo ha fatto perseverare, sognare e andare avanti... arrivando a segnare 77 reti per questo club di Maxaquene! Non mancavano i motivi per rassegnarsi... e lui non si è rassegnato.

Il suo sogno e la sua voglia di giocare lo hanno spinto avanti, ma è stato altrettanto importante trovare con chi giocare. Sapete bene che, in una squadra, non sono tutti uguali, non fanno tutti le stesse cose né pensano tutti allo stesso modo. No. Ogni giocatore ha le sue caratteristiche, come possiamo scoprire e godere in questo incontro: veniamo da tradizioni diverse e possiamo persino parlare lingue diverse, ma questo non ci ha impedito di incontrarci. Già molto si è sofferto e si continua a soffrire, perché alcuni si credono in diritto di decidere chi può “giocare” – no! – e chi invece deve restare “fuori dal campo” - è un diritto ingiusto! -, alcuni che passano la vita a creare divisione e contrapposizione, e a fare la guerra. Oggi voi, cari amici, siete un esempio, siete una testimonianza di come dobbiamo agire. Testimoni di unità, di riconciliazione, di speranza. Come una squadra di calcio. Come impegnarsi per il Paese? Proprio come state facendo ora, restando uniti, aldilà di qualsiasi cosa vi possa differenziare, cercando sempre l’opportunità per realizzare i sogni di un Paese migliore, ma... insieme. Insieme. Com’è importante non dimenticare che l’inimicizia sociale distrugge. Insieme! [tutti: l’inimicizia sociale distrugge!] E una famiglia si distrugge per l’inimicizia. Un Paese si distrugge per l’inimicizia. Insieme! [tutti: l’inimicizia sociale distrugge!] Il mondo si distrugge per l’inimicizia. E l’inimicizia più grande è la guerra. Perché sono incapaci di sedersi e parlare. Siate capaci di creare l’amicizia sociale (cfr. ibid. 169).

Ricordo il proverbio che dice: “Se vuoi arrivare alla svelta, cammina da solo; se vuoi arrivare lontano, vai in compagnia”. Lo ripetiamo. [tutti: se vuoi arrivare alla svelta, cammina da solo; se vuoi arrivare lontano, vai in compagnia. Si tratta sempre di sognare insieme, come state facendo oggi. Sognate con gli altri, mai contro gli altri; sognate come avete sognato e preparato questo incontro: tutti uniti e senza barriere. Questo fa parte della “nuova pagina della storia” del Mozambico.

Calcio, squadre, giocare insieme. Giocare insieme ci insegna che non solo la rassegnazione è nemica dei sogni, ma anche l’ansia. Rassegnazione e ansia. L’ansia: questa «può diventare una grande nemica quando ci porta ad arrenderci perché scopriamo che i risultati non sono immediati. I sogni più belli si conquistano con speranza, pazienza e impegno rinunciando alla fretta. Nello stesso tempo, non bisogna bloccarsi per insicurezza, non bisogna avere paura di rischiare e di commettere errori» (ibid., 142), è normale. Le cose più belle maturano col tempo e, se qualcosa non ti è andato bene la prima volta, non aver paura di riprovare ancora e ancora e ancora. Non aver paura di sbagliare! Possiamo sbagliare mille volte, ma non cadiamo nell’errore di fermarci perché qualcosa non è andato bene la prima volta. L’errore peggiore sarebbe quello di abbandonare, a causa dell’ansia, abbandonare i sogni e la voglia di un Paese migliore.

Ad esempio, avete davanti agli occhi la bella testimonianza offerta da Maria Mutola, che ha imparato a perseverare, a continuare a provare, nonostante restasse incompiuto il suo desiderio di ottenere la medaglia d’oro nei primi tre Giochi Olimpici a cui ha partecipato; successivamente, al quarto tentativo, questa atleta degli 800 metri ha ottenuto la sua medaglia d’oro alle Olimpiadi di Sydney. Tentare, tentare. L’ansia non l’ha portata a chiudersi in se stessa; i suoi nove titoli mondiali non le hanno fatto dimenticare il suo popolo, le sue radici, ma ha continuato a prendersi cura dei bambini bisognosi del Mozambico. Come lo sport ci insegna a perseverare nei nostri sogni!

Vorrei aggiungere un altro elemento importante. No all’ansia, no alla rassegnazione, e ora un altro elemento importante: non escludete i vostri anziani.

Anche i vostri anziani possono aiutare affinché i vostri sogni e le vostre aspirazioni non inaridiscano, non siano spazzati via dal primo vento di difficoltà o di impotenza. Gli anziani sono le nostre radici. Lo diciamo? [tutti: Gli anziani sono le nostre radici. Gli anziani sono le nostre radici] Le generazioni precedenti hanno molto da dirvi, da proporvi. È vero che a volte noi, gli anziani, lo facciamo in modo autoritario, come ammonimento, incutendo paura. È vero, a volte mettiamo paura oppure abbiamo la pretesa che voi facciate, parliate e viviate proprio come noi. È sbagliato. Voi invece dovrete fare la vostra sintesi, ma ascoltando, valorizzando quelli che vi hanno preceduto. Non avete fatto così con la vostra musica? Al ritmo tradizionale del Mozambico, la “marrabenta”, ne avete mescolati altri moderni e così è nato il “pandza”. Quello che avete ascoltato, che avete visto cantare e ballare dai vostri genitori e dai vostri nonni, lo avete assunto come proprio. Questa è la strada che vi propongo: una «strada, fatta di libertà, di entusiasmo, di creatività, di orizzonti nuovi, ma coltivando nello stesso tempo le radici che alimentano e sostengono» (ibid., 184). Gli anziani sono le nostre radici. [tutti: gli anziani sono le nostre radici]

Tutti questi sono piccoli elementi che vi possono dare il supporto di cui avete bisogno per non chiudervi nei momenti di difficoltà, ma aprirvi una breccia di speranza; una breccia che vi aiuterà a mettere in campo la vostra creatività e a trovare nuove strade e nuovi spazi per rispondere ai problemi con il gusto della solidarietà.

Molti di voi sono nati sotto il segno della pace, una pace travagliata che ha attraversato momenti diversi: alcuni più sereni e altri di prova. La pace è un processo che anche voi siete chiamati a portare avanti, stendendo sempre le vostre mani soprattutto a coloro che passano momenti difficili. Grande è il potere della mano tesa e dell’amicizia tradotta in gesti concreti! Penso alla sofferenza di quei giovani carichi di sogni che sono venuti a cercare lavoro in città, e oggi si trovano senza casa, senza famiglia e senza una mano amica. Com’è importante imparare ad essere una mano amica e tesa! Questo gesto, il gesto della mano tesa. Tutti insieme! Il gesto della mano tesa. [Tutti: il gesto della mano tesa]. Grazie. Cercate di crescere nell’amicizia anche con coloro che la pensano diversamente, in modo che la solidarietà cresca tra di voi e diventi l’arma migliore per trasformare la storia. La solidarietà è la migliore arma per trasformare la storia.

Una mano tesa, che ci ricorda anche la necessità di impegnarci nella cura della nostra Casa Comune. Indubbiamente siete stati benedetti con stupende bellezze naturali: foreste e fiumi, vallate e montagne e tante belle spiagge.

Purtroppo, qualche mese fa avete subito la furia di due cicloni, avete visto le conseguenze dello sfacelo ecologico in cui viviamo. In molti, compresi tanti giovani, hanno già abbracciato la sfida improrogabile di proteggere la nostra casa. Abbiamo una sfida: proteggere la nostra casa comune.

Consentitemi di lasciarvi un ultimo pensiero: Dio vi ama; e su questa affermazione siamo d’accordo tutte le tradizioni religiose. «Per Lui tu sei realmente prezioso, non sei insignificante, sei importante per Lui, perché sei opera delle sue mani. Perché ti ama. Cerca di rimanere un momento in silenzio lasciandoti amare da Lui. Cerca di mettere a tacere tutte le voci e le grida interiori e rimani un momento nel suo abbraccio d’amore» (Christus vivit, 115). Facciamolo insieme ora [rimangono un momento in silenzio].

È l’amore del Signore, che sa più di risalite che di cadute, di riconciliazione che di proibizione, di dare nuova opportunità che di condannare, di futuro che di passato» (ibid., 116).

So che voi credete in questo amore che rende possibile la riconciliazione.

Grazie! E, per favore, non vi dimenticatevi di pregare per me.

Dio vi benedica.

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