DOVERE DELL’ACCOGLIENZA
E
TEOLOGIA ECUMENICA DELL’OSPITALITÀ
di Brunetto Salvarani
Il dovere di ospitare lo straniero e il pellegrino appartiene a tutte le morali religiose tradizionali.
A coglierne la valenza aiuta l’etimologia: accoglienza nasce dal latino ad-colere, cioè cogliere presso di noi, far posto a un altro che deve sostare.
Sono le necessità della vita a indicare gli imperativi categorici, ma all’interno di una pedagogia interreligiosa non serve solo un riferimento alla pratica. Occorre un pensiero ospitale, che ricordi come l’umano non si esaurisce nella logica dell’essere, ma nel suo superamento: essere-per-l’altro.
In questa chiave, torno sul discorso di papa Francesco a Napoli il 21 giugno, sulla teologia dopo Veritatis gaudium nel contesto del Mediterraneo. Dove non l’ha rivendicato come mare nostrum, ma lo ha celebrato piuttosto come spazio meticcio, multiculturale e plurireligioso, grande tenda di pace. Per questo il patrimonio della fede non dovrebbe giacere immobile nei manuali della scolastica decadente, quando si diceva che ogni tesi teologica si prova a partire da un sillogismo costante: il cattolicesimo ha sempre ragione. La fede, al contrario, cresce nel dialogo con le persone, la tradizione e i testi sacri, leggendo nella realtà i rimandi teologali al mistero del cammino di Gesù. Bisogna poi includere nel dialogo l’evangelizzazione, testimonianza e non solo parole, accoglienza e non proselitismo, che è la peste, come peste è la sindrome di Babele, il non ascoltarsi l’un l’altro.
Infine, l’autentica teologia è interdisciplinare e compassionevole, capace di discernere nel patrimonio ricevuto quanto è stato veicolo della misericordia di Dio e quanto invece è stato infedele. Tale teologia favorirà una nuova Pentecoste teologica, per sperimentare nuove vie verso quella che don Tonino Bello chiamava convivialità delle differenze. Nel Mediterraneo e oltre.
A coglierne la valenza aiuta l’etimologia: accoglienza nasce dal latino ad-colere, cioè cogliere presso di noi, far posto a un altro che deve sostare.
Sono le necessità della vita a indicare gli imperativi categorici, ma all’interno di una pedagogia interreligiosa non serve solo un riferimento alla pratica. Occorre un pensiero ospitale, che ricordi come l’umano non si esaurisce nella logica dell’essere, ma nel suo superamento: essere-per-l’altro.
In questa chiave, torno sul discorso di papa Francesco a Napoli il 21 giugno, sulla teologia dopo Veritatis gaudium nel contesto del Mediterraneo. Dove non l’ha rivendicato come mare nostrum, ma lo ha celebrato piuttosto come spazio meticcio, multiculturale e plurireligioso, grande tenda di pace. Per questo il patrimonio della fede non dovrebbe giacere immobile nei manuali della scolastica decadente, quando si diceva che ogni tesi teologica si prova a partire da un sillogismo costante: il cattolicesimo ha sempre ragione. La fede, al contrario, cresce nel dialogo con le persone, la tradizione e i testi sacri, leggendo nella realtà i rimandi teologali al mistero del cammino di Gesù. Bisogna poi includere nel dialogo l’evangelizzazione, testimonianza e non solo parole, accoglienza e non proselitismo, che è la peste, come peste è la sindrome di Babele, il non ascoltarsi l’un l’altro.
Infine, l’autentica teologia è interdisciplinare e compassionevole, capace di discernere nel patrimonio ricevuto quanto è stato veicolo della misericordia di Dio e quanto invece è stato infedele. Tale teologia favorirà una nuova Pentecoste teologica, per sperimentare nuove vie verso quella che don Tonino Bello chiamava convivialità delle differenze. Nel Mediterraneo e oltre.
(fonte: bacheca fb di Jesus)