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lunedì 10 giugno 2019

“Una tragedia figlia di questi tempi Tutti antepongono se stessi agli altri” intervista a mons. Luigi Bettazzi

“Una tragedia figlia di questi tempi 
Tutti antepongono se stessi agli altri” 
intervista a mons. Luigi Bettazzi
a cura di Lodovico Poletto 


«Mi dicono che adesso il commerciante è pentito di aver sparato. Lo capisco, è morta una persona e sente gravare su di sé il peso di ciò che ha fatto, di quanto è accaduto l’altra notte. Lo comprendo pienamente. Ma questa storia ci porta a fare alcune considerazioni di carattere generale su questi tempi»». 
Parla Monsignor Luigi Bettazzi, ex presidente di Pax Christi, vescovo emerito di Ivrea. 
Uomo del dialogo e, sempre, delle prese di posizione forti. Come quando sfilò in testa al corteo degli operai che rischiavano di perdere il lavoro in una delle più grandi manifatture del Torinese. Storie di tanto tempo fa. Oggi monsignor Bettazzi ha superato la soglia dei novant’anni, ma è ancora una delle menti più lucide e illuminate sui temi del sociale. E non ha dubbi nel condannare sempre l’uso delle armi. 

Come giudica ciò che è accaduto? 
«È il frutto di questa nuova ondata di pensiero che si è diffusa. E che la nuova legge in tema di legittima difesa ha ulteriormente incoraggiato e promosso». 

Ma a cosa è dovuto tutto questo? 
«È dovuto al fatto che si sta diffondendo un pensiero anti umanitario. Che è il contrario della parola umanitario. Un pensiero che ti fa dire “prima di tutto ci sono io e gli altri sono niente”. Ecco tutto questo porta a conseguenze che talvolta possono essere anche estreme». 

Vuol dire come sparare e anche uccidere? 
«Esattamente: il pensiero anti umanitario ti fa dire: “Se qualcuno viene contro di me ho il diritto di fare tutto”. Giustifica tutto». 

E la radice di tutto questo dove si trova? 
«Nell’ondata di tempi nuovi che stiamo vivendo. Nel fatto che il buon ministro Salvini conferma con croci e rosari la sua posizione. Siamo autorizzati. C’è la legge che ce lo consente. Siamo nell’anti umanitarismo pieno. E dico di più: non c’è nulla di più anti umanitario di fare qualcosa di questo tipo contro chi ci offende». 

E tutto questo accade anche nella città che fu per tanto tempo la sua diocesi. Che cosa ne pensa? «Penso che Ivrea è stata la casa e la culla del pensiero di Adriano Olivetti. E che l’educazione di Olivetti era un’educazione umanitaria, per davvero». 

Che cosa intende dire? 
«Intendo dire che allora il dipendente era prima di tutto un essere umano. Solo in seconda battuta era un lavoratore. L’anti umanizzazione di cui parlavo prima ci porta a perdere di vista i valori. Siamo diventati persone che pensano “prima di ogni altra persona o cosa ci sono io”. E se devo dire, mi spiace che questa ondata anti umanitaria sia arrivata anche in questa terra». 

Monsignor Bettazzi, questo tema si adatta anche alla questione dei migranti? 
«Sì, perché gli immigrati sono considerati meno esseri umani. E di conseguenza possiamo lasciarli morire nei campi di concentramento libici, senza troppi rimorsi e senza troppe domande». 

Secondo lei come si può uscirne? 
«Se ne viene fuori recuperando quel senso di umanità che ci apparteneva. Dobbiamo fare un lavoro vero per capire come si può e si deve fare». 

Tonando alla vicenda del tabaccaio di Pavone e del fatto che oggi è pentito, che cosa è accaduto? 
«È accaduto che quell’uomo ha compreso la gravità delle conseguenze del suo gesto. Ha capito di aver commesso un gesto contro l’umanità». 

E perché lo ha fatto? 
«È il frutto di questa nuova ondata che si è diffusa nel nostro Paese».
(articolo pubblicato in “La Stampa” del 9 giugno 2019)