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mercoledì 26 giugno 2019

Papa Francesco: "Benedire non è dire belle parole, non è usare parole di circostanza: no; è dire bene, dire con amore." Omelia Corpus Domini (Foto, testo e video)


SANTA MESSA E PROCESSIONE EUCARISTICA
NELLA SOLENNITÀ DEL SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO
Parrocchia di S. Maria Consolatrice a Casalbertone (Roma)
Domenica, 23 giugno 2019


Nel tardo pomeriggio di domenica 23 giugno Papa Francesco si è recato nel quartiere romano di Casal Bertone, dove ha presieduto i riti per la solennità del Corpus Domini. Nella comunità di Santa Maria Consolatrice ha celebrato la messa sul sagrato della chiesa parrocchiale, al termine della quale si è svolta la processione con il Santissimo Sacramento, che è stata guidata dal cardinale vicario, attraverso le strade del quartiere, fino al campo sportivo “Roma sei”, dove il Santo Padre ha impartito la benedizione eucaristica.








OMELIA

La Parola di Dio ci aiuta oggi a riscoprire due verbi semplici, due verbi essenziali per la vita di ogni giorno: dire e dare.

Dire. Melchisedek, nella prima Lettura, dice: «Sia benedetto Abram dal Dio altissimo, e benedetto sia il Dio altissimo» (Gen 14,19-20). Il dire di Melchisedek è benedire. Benedice Abramo, nel quale saranno benedette tutte le famiglie della terra (cfr Gen 12,3; Gal3,8). Tutto parte dalla benedizione: le parole di bene generano una storia di bene. Lo stesso accade nel Vangelo: prima di moltiplicare i pani, Gesù li benedice: «prese i cinque pani, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli» (Lc 9,16). La benedizione fa di cinque pani il cibo per una moltitudine: fa sgorgare una cascata di bene.

Perché benedire fa bene? Perché è trasformare la parola in dono. Quando si benedice, non si fa qualcosa per sé, ma per gli altri. Benedire non è dire belle parole, non è usare parole di circostanza: no; è dire bene, dire con amore. Così ha fatto Melchisedek, dicendo spontaneamente bene di Abramo, senza che questi avesse detto o fatto qualcosa per lui. Così ha fatto Gesù, mostrando il significato della benedizione con la distribuzione gratuita dei pani. Quante volte anche noi siamo stati benedetti, in chiesa o nelle nostre case, quante volte abbiamo ricevuto parole che ci hanno fatto bene, o un segno di croce sulla fronte… Siamo diventati benedetti il giorno del Battesimo, e alla fine di ogni Messa veniamo benedetti. L’Eucaristia è una scuola di benedizione. Dio dice bene di noi, suoi figli amati, e così ci incoraggia ad andare avanti. E noi benediciamo Dio nelle nostre assemblee (cfr Sal 68,27), ritrovando il gusto della lode, che libera e guarisce il cuore. Veniamo a Messa con la certezza di essere benedetti dal Signore, e usciamo per benedire a nostra volta, per essere canali di bene nel mondo.

Anche per noi: è importante che noi Pastori ci ricordiamo di benedire il popolo di Dio. Cari sacerdoti, non abbiate paura di benedire, benedire il popolo di Dio; cari sacerdoti, andate avanti con la benedizione: il Signore desidera dire bene del suo popolo, è contento di far sentire il suo affetto per noi. E solo da benedetti possiamo benedire gli altri con la stessa unzione d’amore. È triste invece vedere con quanta facilità oggi si fa il contrario: si maledice, si disprezza, si insulta. Presi da troppa frenesia, non ci si contiene e si sfoga rabbia su tutto e tutti. Spesso purtroppo chi grida di più e più forte, chi è più arrabbiato sembra avere ragione e raccogliere consenso. Non lasciamoci contagiare dall’arroganza, non lasciamoci invadere dall’amarezza, noi che mangiamo il Pane che porta in sé ogni dolcezza. Il popolo di Dio ama la lode, non vive di lamentele; è fatto per le benedizioni, non per le lamentazioni. Davanti all’Eucaristia, a Gesù fattosi Pane, a questo Pane umile che racchiude il tutto della Chiesa, impariamo a benedire ciò che abbiamo, a lodare Dio, a benedire e a non maledire il nostro passato, a donare parole buone agli altri.

Il secondo verbo è dare. Al “dire” segue il “dare”, come per Abramo che, benedetto da Melchisedek, «diede a lui la decima di tutto» (Gen 14,20). Come per Gesù che, dopo aver recitato la benedizione, dava il pane perché fosse distribuito, svelandone così il significato più bello: il pane non è solo prodotto di consumo, è mezzo di condivisione. Infatti, sorprendentemente, nel racconto della moltiplicazione dei pani non si parla mai di moltiplicare. Al contrario, i verbi utilizzati sono “spezzare, dare, distribuire” (cfr Lc 9,16). Insomma, non si sottolinea la moltiplicazione, ma la con-divisione. È importante: Gesù non fa una magia, non trasforma i cinque pani in cinquemila per poi dire: “Adesso distribuiteli”. No. Gesù prega, benedice quei cinque pani e comincia a spezzarli, fidandosi del Padre. E quei cinque pani non finiscono più. Questa non è magia, è fiducia in Dio e nella sua provvidenza.

Nel mondo sempre si cerca di aumentare i guadagni, di far lievitare i fatturati… Sì, ma qual è il fine? È il dare o l’avere? Il condividere o l’accumulare? L’“economia” del Vangelo moltiplica condividendo, nutre distribuendo, non soddisfa la voracità di pochi, ma dà vita al mondo (cfr Gv 6,33). Non avere, ma dare è il verbo di Gesù.

È perentoria la richiesta che Lui fa ai discepoli: «Voi stessi date loro da mangiare» (Lc 9,13). Proviamo a immaginare i ragionamenti che avranno fatto i discepoli: “Non abbiamo pane per noi e dobbiamo pensare agli altri. Perché dobbiamo dare loro da mangiare, se loro sono venuti ad ascoltare il nostro Maestro? Se non hanno portato da mangiare, tornino a casa, è un problema loro, oppure ci diano dei soldi e compreremo”. Non sono ragionamenti sbagliati, ma non sono quelli di Gesù, che non sente ragioni: voi stessi date loro da mangiare. Ciò che abbiamo porta frutto se lo diamo – ecco cosa vuole dire Gesù –; e non importa che sia poco o tanto. Il Signore fa grandi cose con la nostra pochezza, come con i cinque pani. Egli non compie prodigi con azioni spettacolari, non ha la bacchetta magica, ma agisce con cose umili. Quella di Dio è un’onnipotenza umile, fatta solo di amore. E l’amore fa grandi cose con le piccole cose. L’Eucaristia ce lo insegna: lì c’è Dio racchiuso in un pezzetto di pane. Semplice, essenziale, Pane spezzato e condiviso, l’Eucaristia che riceviamo ci trasmette la mentalità di Dio. E ci porta a dare noi stessi agli altri l’antidoto contro il “mi spiace, ma non mi riguarda”, contro il “non ho tempo, non posso, non è affare mio”. Contro il guardare dall’altra parte.

Nella nostra città affamata di amore e di cura, che soffre di degrado e abbandono, davanti a tanti anziani soli, a famiglie in difficoltà, a giovani che stentano a guadagnarsi il pane e ad alimentare i sogni, il Signore ti dice: “Tu stesso da’ loro da mangiare”. E tu puoi rispondere: “Ho poco, non sono capace per queste cose”. Non è vero, il tuo poco è tanto agli occhi di Gesù se non lo tieni per te, se lo metti in gioco. Anche tu, mettiti in gioco. E non sei solo: hai l’Eucaristia, il Pane del cammino, il Pane di Gesù. Anche stasera saremo nutriti dal suo Corpo donato. Se lo accogliamo col cuore, questo Pane sprigionerà in noi la forza dell’amore: ci sentiremo benedetti e amati, e vorremo benedire e amare, a cominciare da qui, dalla nostra città, dalle strade che stasera percorreremo. Il Signore viene sulle nostre strade per dire-bene, dire bene di noi e per darci coraggio, dare coraggio a noi. Chiede anche a noi di essere benedizione e dono.

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