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giovedì 6 giugno 2019

Insulti in Rete. Cyberbullismo, ecco perché la legge non salva i ragazzi

Insulti in Rete. 
Cyberbullismo, ecco perché la legge non salva i ragazzi

A due anni dall'entrata in vigore della normativa nata sulla scia del caso di Carolina Picchio, i minori conoscono ancora poco i propri diritti. Scuola e istituzioni? Sono in ritardo


Doveva essere una svolta, lo strumento concreto da mettere in mano ai ragazzi per difendersi dalla violenza e la diffamazione perpetrate online e sui social network. Quelle che nello spazio di poche ore possono arrivare anche a uccidere un adolescente, come è avvenuto nel 2015 a Carolina Picchio. E invece, a due anni dall’entrata in vigore della legge contro il cyberbullismo (che proprio alla memoria di Carolina è stata dedicata dal Parlamento), poco è cambiato sul fronte dell’emergenza. Che continua a mietere vittime al ritmo di decine di casi al giorno, tanto da coinvolgere un ragazzo tra i 9 e i 17 anni su quattro.

Il bilancio comincia dal sostanziale fallimento degli strumenti giuridici previsti dalla normativa e messi a disposizione dei ragazzi per difendersi dai cyberbulli: da una parte, il reclamo al Garante per la privacy (che la legge stabilisce possa essere inoltrato via mail, con un apposito modulo, direttamente dai minori) e che in 48 ore garantisce il ricevimento della richiesta e la rimozione del contenuto lesivo; dall’altra l’ammonimento, ovvero la convocazione da parte della Questura dei soggetti responsabili di atti di cyberbullismo insieme ai genitori. Ebbene, in 24 mesi (la legge è entrata ufficialmente in vigore il 18 giugno del 2017) i reclami presentati al Garante sono stati appena un centinaio, mentre gli ammonimenti si contano sulle dita di una mano: uno a Milano, uno a Torino, uno a Venezia (nel resto d’Italia, da Napoli a Palermo, è risultato persino impossibile risalire al dato). Mentre sul fronte della cronaca, i casi anche clamorosi di cyberbullismo si sono moltiplicati senza sosta. «Da un lato manca ancora la conoscenza di questi strumenti da parte dei ragazzi – spiega Marisa Marraffino, avvocato specializzato in reati informatici –: scuole e famiglie sono ancora impreparate e troppo spesso, questo è drammatico, osserviamo ancora come si tenda a colpevolizzare la vittima, o comunque a silenziare gli atti perquisitori piuttosto che denunciarli». Dall’altro lato, ci si deve scontrare con la burocrazia e con tempistiche istituzionali che cozzano in maniera stridente coi tempi della Rete. «Nel caso di denunce e ammonimenti per esempio – continua Marraffino – possono passare anche settimane prima che ci si faccia carico della denuncia di un minore. Quando un insulto postato in una chat o su Facebook, e peggio ancora un video, possono stravolgere la vita di un ragazzo già dopo pochi minuti». Il tutto mentre sempre più ragazzi (ma nel 70% sono ragazze) cadono nella trappola del sexting, cioè di condividere e postare immagini del proprio corpo che vengono poi utilizzate contro i protagonisti: «Questa sì una piaga enorme – continua Marraffino –, che alimenta un numero infinito di cause e che ci dice quanto i nostri ragazzi debbano soprattutto essere messi al centro di un percorso educativo di prevenzione».