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venerdì 1 dicembre 2017

VIAGGIO APOSTOLICO DI PAPA FRANCESCO IN MYANMAR E BANGLADESH (26 NOVEMBRE - 2 DICEMBRE 2017) 4 - S. Messa con i giovani a Yangon - Arrivo in Bangladesh - Incontro con le autorità a Dhaka (cronaca, foto, testi e video)

VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ FRANCESCO
IN MYANMAR E BANGLADESH
26 NOVEMBRE - 2 DICEMBRE 2017
VViaggio Apostolico del Santo Padre in Myanmar e Bangladesh (26 novembre - 2 dicembre 2017)Viaggio Apostolico del Santo Padre in Myanmar e Bangladesh (26 novembre - 2 dicembre 2017)

30 novembre 2017
Quarta giornata per il Papa in Myanmar e Bangladesh

SANTA MESSA CON I GIOVANI
Cattedrale di Saint Mary (Yangon)
Giovedì, 30 novembre 2017

L’ultimo appuntamento pubblico di Papa Francesco in Myanmar, e non è certo una scelta casuale, è un abbraccio corale con i giovani cattolici birmani, a loro indica la via del futuro e li incoraggia ad andare avanti. 
In tanti l’hanno atteso in un clima di grande silenzio e raccoglimento per almeno quattro ore fuori dalla cattedrale di Santa Maria, attorno alle mura e nel giardino circostante. In tantissimi hanno pregato con lui all’interno. Sono presenti gruppi provenienti anche dalla Cambogia, dall’Indonesia, dal Vietnam, da Taiwan. 
Fin dalle prime del mattino infatti i giovani si sono assiepati tra i banchi, sotto gli occhi di un attento servizio d'ordine e anche nei giardini tutto intorno al duomo. Diverse migliaia di giovani con le bandierine bianche e gialle, le magliette con scritto viva il Papa e i coloratissimi costumi tipici. Molti hanno trascorso la notte in viaggio, a bordo di vecchi pullman, pur di non mancare all'appuntamento. Ma negli occhi hanno solo gioia. Per la stanchezza c'è tempo.
Francesco arriva in golf car e compie un giro di saluto nei giardini suscitando ondate di entusiasmo. Poi entra in cattedrale in uno strano originale clima di silenzio che però è solo il preludio all'esplodere di un bellissimo canto di ingresso. Comincia la Messa concelebrata con i vescovi del Myanmar, il cardinale arcivescovo di Yangon, Charles Maung Bo, e anche alcuni porporati giunti dall'India.







L'omelia di Papa Francesco

Mentre la mia visita alla vostra bella terra si avvia alla conclusione, mi unisco a voi nel ringraziare Dio per le molte grazie che abbiamo ricevuto in questi giorni. Guardando a voi, giovani del Myanmar, e a tutti coloro che ci seguono al di fuori di questa cattedrale, desidero condividere un’espressione della prima Lettura di oggi, che risuona dentro di me. Tratta dal profeta Isaia, viene ripresa da San Paolo nella sua Lettera alla giovane comunità cristiana di Roma. Ascoltiamo una volta ancora queste parole: «Quanto sono belli i piedi di coloro che recano un lieto annuncio di bene!» (Rm 10,15; cfr Is 52,7).

Cari giovani del Myanmar, dopo aver sentito le vostre voci e avervi ascoltato oggi cantare, vorrei applicare queste parole a voi. Sì, sono belli i vostri passi, ed è bello e incoraggiante vedervi, perché ci recate «un lieto annuncio di bene», il lieto annuncio della vostra gioventù, della vostra fede e del vostro entusiasmo. Certo, voi siete un lieto annuncio, perché siete segni concreti della fede della Chiesa in Gesù Cristo, che reca a noi una gioia e una speranza che non avranno mai fine.

Alcuni si chiedono come sia possibile parlare di lieti annunci quando tanti attorno a noi soffrono. Dove sono i lieti annunci quando tanta ingiustizia, povertà e miseria gettano ombra su di noi e sul nostro mondo? Vorrei, però, che da questo luogo uscisse un messaggio molto chiaro. Vorrei che la gente sapesse che voi, giovani uomini e donne del Myanmar, non avete paura di credere nel buon annuncio della misericordia di Dio, perché esso ha un nome e un volto: Gesù Cristo. In quanto messaggeri di questo lieto annuncio, siete pronti a recare una parola di speranza alla Chiesa, al vostro Paese, al mondo. Siete pronti a recare il lieto annuncio ai fratelli e alle sorelle che soffrono e hanno bisogno delle vostre preghiere e della vostra solidarietà, ma anche della vostra passione per i diritti umani, per la giustizia e per la crescita di quello che Gesù dona: amore e pace.

Ma vorrei anche proporvi una sfida. Avete ascoltato attentamente la prima Lettura? Lì san Paolo ripete per tre volte la parola “senza”. E’ una piccola parola, che però ci provoca a pensare al nostro posto nel progetto di Dio. In effetti, Paolo pone tre domande, che io vorrei rivolgere a ciascuno di voi personalmente. La prima: “Come crederanno in lui senza averne sentito parlare?”. La seconda: “Come ne sentiranno parlare senza un messaggero che lo annunci?”. La terza: “Come può esserci un messaggero senza che sia stato mandato?” (cfr Rm 10,14-15).

Mi piacerebbe che tutti voi pensaste a fondo a queste tre domande. Ma non abbiate paura! Come padre (o meglio come nonno!) che vi vuole bene, non voglio lasciarvi soli di fronte a queste domande. Permettetemi di offrirvi alcuni pensieri che possano guidarvi nel vostro cammino di fede e aiutarvi a discernere che cosa il Signore vi sta domandando.

La prima domanda di San Paolo è: “Come crederanno in lui senza averne sentito parlare?”. Il nostro mondo è pieno di tanti rumori e distrazioni che possono soffocare la voce di Dio. Affinché altri siano chiamati a sentirne parlare e a credere in Lui, hanno bisogno di trovarlo in persone che siano autentiche, persone che sanno come ascoltare. È certamente quello che voi volete essere. Ma solo il Signore può aiutarvi a essere genuini; perciò parlategli nella preghiera. Imparate ad ascoltare la sua voce, parlandogli con calma nel profondo del vostro cuore.

Ma parlate anche ai santi, nostri amici in cielo che possono ispirarci. Come Sant’Andrea, che festeggiamo oggi. Era un semplice pescatore e divenne un grande martire, un testimone dell’amore di Gesù. Ma prima di diventare un martire, fece i suoi errori ed ebbe bisogno di essere paziente, di imparare gradualmente come essere un vero discepolo di Cristo. Anche voi, non abbiate paura di imparare dai vostri errori! Che i santi vi possano guidare a Gesù, insegnandovi a mettere la vostra vita nelle sue mani. Sapete che Gesù è pieno di misericordia. Dunque condividete con Lui tutto quello che avete nel cuore: le paure e le preoccupazioni, i sogni e le speranze. Coltivate la vita interiore, come fareste con un giardino o con un campo. Questo richiede tempo, richiede pazienza. Ma come un contadino sa attendere la crescita della messe, così, se saprete aver pazienza, il Signore vi concederà di portare molto frutto, un frutto che potrete poi condividere con gli altri.

La seconda domanda di Paolo è: “Come ne sentiranno parlare senza un messaggero che lo annunci?”. Ecco un grande compito affidato in modo speciale ai giovani: essere “discepoli missionari”, messaggeri del lieto annuncio di Gesù, soprattutto per i vostri coetanei e amici. Non abbiate paura di fare scompiglio, di porre domande che facciano pensare la gente. E non abbiate paura se a volte percepirete di essere pochi e sparpagliati. Il Vangelo cresce sempre da piccole radici. Per questo, fatevi sentire! Vorrei chiedervi di gridare, ma non con la voce, no, vorrei che gridaste con la vita, con il cuore, così da essere segni di speranza per chi è scoraggiato, una mano tesa per chi è malato, un sorriso accogliente per chi è straniero, un sostegno premuroso per chi è solo.

L’ultima domanda di Paolo è: “Come può esserci un messaggero senza che sia stato mandato?”. Al termine della Messa saremo tutti mandati a prendere i doni che abbiamo ricevuto e a condividerli con altri. Ciò potrebbe essere un po’ scoraggiante, dal momento che non sappiamo sempre dove Gesù ci può mandare. Ma Egli non ci invia mai senza camminare al tempo stesso al nostro fianco, e sempre un po’ davanti a noi, per introdurci in nuove e magnifiche parti del suo regno.

In che modo il Signore manda Sant’Andrea e suo fratello Simon Pietro nel Vangelo di oggi? «Seguitemi», dice loro (cfr Mt 4,19). Ecco cosa significa essere inviati: seguire Cristo, non precipitarsi in avanti con le proprie forze! Il Signore inviterà alcuni di voi a seguirlo come preti e a diventare in questo modo “pescatori di uomini”. Altri li chiamerà a diventare persone consacrate. E altri ancora li chiamerà alla vita matrimoniale, a essere padri e madri amorevoli. Qualunque sia la vostra vocazione, vi esorto: siate coraggiosi, siate generosi e, soprattutto, siate gioiosi!

Qui in questa bella Cattedrale dedicata all’Immacolata Concezione, vi incoraggio a guardare a Maria. Quando lei disse “sì” al messaggio dell’Angelo, era giovane come voi. Ma ebbe il coraggio di confidare nel lieto annuncio che aveva ascoltato e di tradurlo in una vita di fedele dedizione alla sua vocazione, di totale donazione di sé e di completo affidamento all’amorevole premura di Dio. Come Maria, possiate tutti voi essere miti ma coraggiosi nel portare Gesù e il suo amore agli altri.

Cari giovani, con grande affetto affido tutti voi e le vostre famiglie alla sua materna intercessione. E vi chiedo, per favore, di ricordarvi di pregare per me. 
Dio benedica il Myanmar! [Myanmar pyi ko Payarthakin Kaung gi pei pa sei]

Guarda il video


All'arcivescovado, che è stata la sua casa nei tre giorni della visita, lascia una scultura raffigurante san Francesco che parla agli uccelli (molte volte ha fatto riferimento alla salvaguardia del creato nei discorsi in terra birmana) e incassa il grazie del cardinale Bo. 

“Lei si sente in sintonia con i giovani del mondo. La compagnia dei giovani raddoppia la sua gioia. Lei ha fiducia nei giovani. Anche Don Bosco aveva fiducia dei giovani”. È il saluto a Papa Francesco del card. Charles Bo, arcivescovo di Yangon, al termine della Messa con i giovani alla St. Mary’s Cathedral. “Oggi le sfide che si presentano al Paese e alla Chiesa possono essere affrontate con fiducia dai giovani”, ha assicurato il cardinale: “Oggi la variopinta comunità di giovani è una grande speranza non solo per la Chiesa ma anche per questo Paese. Fate in modo di diventare una brigata di pace, un esercito di pace!”, l’invito ai giovani presenti da ogni parte del Paese. “Lei, Santo Padre, è l’apostolo della speranza”, ha proseguito Bo: “Negli ultimi tre giorni il Myanmar ha avuto la grazia di essere immerso nella speranza cristiana. La sua presenza è stata come un tocco di guarigione per questa nazione”. Definendo “un miracolo” la presenza di Francesco in Myanmar, l’arcivescovo di Yangon nel ringraziarlo ha ricordato che “quando è stato eletto disse che i cardinali erano andati a cercare il nuovo Papa ‘quasi alla fine del mondo’. Diventato Papa, lei ha scelto di benedire le più remote comunità cattoliche. Siamo profondamente toccati dal vostro paterno amore per questa Chiesa”.
“La sua presenza è stata come un tocco di guarigione per questa Nazione. Possa la nostra storia essere benedetta da oggi in poi perché lei ha benedetto questa terra”. 
Il portavoce dei vescovi: «La visita del Papa ci unisce tutti»

In questa video intervista il portavoce della Conferenza episcopale del Myanmar, padre Mariano Soe Naing traccia un bilancio della visita del Papa nel Paese asiatico.



Dopo il congedo ufficiale nell’Aeroporto Internazionale di Yangon alle 13.05 Papa Francesco in aereo parte per Dhaka. L’aereo con a bordo il Papa è atterrato alle ore 15 locali (le 10 ora di Roma) all’aeroporto internazionale di Dacca. 
Dopo il Myanmar, è cominciata così la seconda parte del 21° viaggio apostolico di Francesco. 
Al suo arrivo il Papa è stato accolto dal presidente della Repubblica del Bangladesh, Abdul Hamid. Quindi due bambini in abito tradizionale hanno offerto dei fiori e un vaso di terra a Francesco che lo ha benedetto. Erano presenti alcune autorità politiche e civili, 10 vescovi del Bangladesh, un gruppo di fedeli e 40 bambini che hanno eseguito danze tradizionali.
Dopo gli onori militari e l’esecuzione degli inni, la presentazione delle rispettive delegazioni, al termine della quale il Papa si è congedato mentre venivano eseguite danze tradizionali, per poi trasferirsi al National Martyr’s Memorial di Savar, a 35 chilometri da Dacca, luogo che ricorda il sacrificio dei martiri che hanno donato la loro vita per il Paese nella guerra di liberazione del 1971.
 Al suo arrivo, alle 16 (11), Francesco è stato accolto da alcune autorità civili che lo hanno scortato fino al Monumento dove è presente la Guardia d’Onore. Qui il Papa ha deposto una corona di fiori. Quindi, lungo il percorso di ritorno, ha firmato il Libro d’Onore e piantato un albero nel “Giardino della Pace”. Infine si è trasferito in auto al Bangabandhu Memorial Museum per rendere omaggio al “Padre della Nazione” Sheikh Mujibur Rahman.
Lungo il tragitto ha potuto vedere anche le fabbriche di mattoni dove lavora la manodopera locale per pochi soldi.
Segue una visita di cortesia al Presidente nel Palazzo Presidenziale e alle 18 l'incontro con le Autorità, con la Società civile e con il Corpo Diplomatico.






INCONTRO CON LE AUTORITÀ, CON LA SOCIETÀ CIVILE E CON IL CORPO DIPLOMATICO
Palazzo Presidenziale (Dhaka)
Giovedì, 30 novembre 2017



Signor Presidente,
Onorevoli Autorità,
Eminenza, Cari Fratelli nell’Episcopato
Distinti Membri del Corpo Diplomatico,
Signore e Signori!

All’inizio della mia permanenza in Bangladesh vorrei ringraziarLa, Signor Presidente, per il gentile invito a visitare questo Paese e per le Sue cortesi parole di benvenuto. Mi trovo qui sulle orme di due miei Predecessori, Papa Paolo VI e Papa Giovanni Paolo II, a pregare con i miei fratelli e sorelle cattolici e ad offrire loro un messaggio di affetto e di incoraggiamento. Il Bangladesh è uno Stato giovane, eppure ha sempre avuto un posto speciale nel cuore dei Papi, che fin dal principio hanno espresso solidarietà con il suo popolo, intesa ad accompagnarlo nel superare le difficoltà iniziali, e lo hanno sostenuto nell’esigente compito di costruire la nazione e il suo sviluppo. Sono grato dell’opportunità di rivolgermi a questa assemblea, che raduna uomini e donne con particolari responsabilità nel delineare il futuro della società del Bangladesh.

Durante il mio volo per giungere qui, mi è stato ricordato che il Bangladesh – “Golden Bengal” – è un Paese tutto avvolto da una vasta rete fluviale e di vie d’acqua, grandi e piccole. Questa bellezza naturale è, credo, emblematica della vostra particolare identità come popolo. Il Bangladesh è una nazione che si sforza di raggiungere un’unità di linguaggio e di cultura nel rispetto per le diverse tradizioni e comunità, che fluiscono come tanti rivoli e ritornano ad arricchire il grande corso della vita politica e sociale del Paese.

Nel mondo di oggi, nessuna singola comunità, nazione o Stato, può sopravvivere e progredire nell’isolamento. In quanto membri dell’unica famiglia umana, abbiamo bisogno l’uno dell’altro e siamo dipendenti l’uno dall’altro. Il Presidente Sheikh Mujibur Rahman ha compreso e cercato di incorporare questo principio nella Costituzione nazionale. Egli ha immaginato una società moderna, pluralistica e inclusiva, in cui ogni persona e ogni comunità potesse vivere in libertà, pace e sicurezza, nel rispetto dell’innata dignità e uguaglianza di diritti di tutti. Il futuro di questa giovane democrazia e la salute della sua vita politica sono essenzialmente connessi alla fedeltà a questa visione fondativa. Infatti, solo attraverso un dialogo sincero e il rispetto della legittima diversità un popolo può riconciliare le divisioni, superare prospettive unilaterali e riconoscere la validità di punti di vista differenti. Perché il vero dialogo guarda al futuro, costruisce unità nel servizio del bene comune ed è attento ai bisogni di tutti i cittadini, specialmente dei poveri, degli svantaggiati e di coloro che non hanno voce.

Nei mesi scorsi, lo spirito di generosità e di solidarietà che caratterizza la società del Bangladesh si è manifestato molto chiaramente nel suo slancio umanitario a favore dei rifugiati affluiti in massa dallo Stato di Rakhine, provvedendoli di un riparo temporaneo e delle necessità primarie per la vita. Questo è stato fatto con non poco sacrificio. Ed è stato fatto sotto gli occhi del mondo intero. Nessuno di noi può mancare di essere consapevole della gravità della situazione, dell’immenso costo richiesto di umane sofferenze e delle precarie condizioni di vita di così tanti nostri fratelli e sorelle, la maggioranza dei quali sono donne e bambini, ammassati nei campi-profughi. È necessario che la comunità internazionale attui misure efficaci nei confronti di questa grave crisi, non solo lavorando per risolvere le questioni politiche che hanno condotto allo spostamento massivo di persone, ma anche offrendo immediata assistenza materiale al Bangladesh nel suo sforzo di rispondere fattivamente agli urgenti bisogni umani.

Nonostante la mia visita sia primariamente diretta alla Comunità cattolica del Bangladesh, un momento privilegiato sarà il mio incontro domani a Ramna con i Responsabili ecumenici e interreligiosi. Insieme pregheremo per la pace e riaffermeremo il nostro impegno a lavorare per la pace. Il Bangladesh è noto per l’armonia che tradizionalmente è esistita tra i seguaci di varie religioni. Questa atmosfera di mutuo rispetto e un crescente clima di dialogo interreligioso consentono ai credenti di esprimere liberamente le loro più profonde convinzioni sul significato e sullo scopo della vita. Così essi possono contribuire a promuovere i valori spirituali che sono la base sicura per una società giusta e pacifica. In un mondo dove la religione è spesso – scandalosamente – mal utilizzata al fine di fomentare divisione, questa testimonianza della sua forza di riconciliazione e di unione è quanto mai necessaria. Ciò si è manifestato in modo particolarmente eloquente nella comune reazione di indignazione che ha seguito il brutale attacco terroristico dell’anno scorso qui a Dhaka, e nel chiaro messaggio inviato dalle autorità religiose della nazione per cui il santissimo nome di Dio non può mai essere invocato per giustificare l’odio e la violenza contro altri esseri umani nostri simili.

I cattolici del Bangladesh, anche se relativamente pochi di numero, tuttavia cercano di svolgere un ruolo costruttivo nello sviluppo del Paese, specialmente attraverso le loro scuole, le cliniche e i dispensari. La Chiesa apprezza la libertà, di cui beneficia l’intera nazione, di praticare la propria fede e di realizzare le proprie opere caritative, tra cui quella di offrire ai giovani, che rappresentano il futuro della società, un’educazione di qualità e un esercizio di sani valori etici e umani. Nelle sue scuole la Chiesa cerca di promuovere una cultura dell’incontro che renda gli studenti capaci di assumersi le proprie responsabilità nella vita della società. In effetti, la grande maggioranza degli studenti e molti degli insegnanti in queste scuole non sono cristiani, ma provengono da altre tradizioni religiose. Sono certo che, in accordo con la lettera e lo spirito della Costituzione nazionale, la Comunità cattolica continuerà a godere la libertà di portare avanti queste buone opere come espressione del suo impegno per il bene comune.

Signor Presidente e cari amici,

vi ringrazio per la vostra attenzione e vi assicuro le mie preghiere, affinché nelle vostre nobili responsabilità siate sempre ispirati dagli alti ideali di giustizia e di servizio verso i vostri concittadini. Invoco volentieri su di voi e su tutto il popolo del Bangladesh le divine benedizioni di armonia e di pace. Grazie.

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