FRANCESCO
E LA FRONTIERA DEL CELIBATO
di Alberto Melloni *
La Royal Commission australiana ha concluso la sua indagine sugli abusi sessuali ai danni di minori.
Fu istituita dal premier Julia Gillard nel 2012: sei membri, che sotto la presidenza del giudice Paul McClellan hanno condotto una enorme investigazione estesa a tutte le comunità religiose ed educative. 370 milioni di costi, 4.000 istituzioni indagate, 15mila superstiti ascoltati, 400 prescrizioni o raccomandazioni. Fra le quali spiccano quelle che riguardano i delitti commessi nelle istituzioni cattoliche, il 37% del totale. La commissione offre del cattolicesimo australiano un quadro impietoso: che fa chiedere ancora una volta come sia stato possibile che una "ragion di Stato" chiesastica abbia considerato i preti perpetratori una casta che meritava protezione braminica e quella dei bambini una casta reietta e muta. Fra le sue raccomandazioni la Royal Commission ne ha avanzate due che hanno colpito l'immaginario: perché non entrano nella punizione o nella prevenzione degli stupri, ma nell'ordinamento della chiesa cattolica.
La prima è stata quella di attenuare il segreto confessionale: cosa che non accadrà mai, e che onestamente non ha molto a che fare con delitti che sono stati denunciati alle autorità dalle vittime o che si potevano intuire. Altro infatti è dire che anche nella pratica del confessionale (per quel che ne resta) un clero impreparato e immaturo può rendere un pessimo servizio al vangelo e al suo annuncio, altro è pensare che uno si costituisca al prete.
La seconda raccomandazione che ha fatto discutere, riguarda anch'essa il tema su cui nessuno vuole avviare la discussione: il prete. I sette giudici australiani suggeriscono infatti l'abrogazione del celibato ecclesiastico come rimedio: un semplicismo paragonabile all'infortunio del cardinal Bertone che anni fa ipotizzò un nesso fra pedofilia ed omosessualità.
Lo stupro dei bambini e delle bambine è indipendente da ogni scelta personale o di orientamento. Quel che è interessante, però, è che davanti all'idea di toccare il celibato per ragioni di buon costume c'è stata una reazione molto cauta, se non possibilista. Voci cattoliche autorevoli hanno dato l'impressione che in una chiesa nella quale nessuno osa iniziare a dire che quello del clero è il problema dei problemi, l'irruzione della Royal Commission possa essere una felix culpa.
Nella chiesa cattolica di oggi, in realtà, ci sono preti sposati (molti), specie nelle chiese orientali. Perfino nella chiesa latina ci sono (pochi) preti sposati: quelli che hanno abbandonato la comunione anglicana accolti anche sposati da un motu proprio di Ratzinger. Ma la regola del diritto canonico rimane quella di cercare vocazioni solo fra i celibi: il che è un problema non rispetto alla riduzione dei crimini maschili, ma un problema di tenuta delle comunità.
Francesco aspetta che qualche conferenza episcopale gli ponga il problema del clero e del celibato. Ma tutti i vescovi stanno sotto il sasso. L'ultima speranza del papa è che il prossimo sinodo dell'Amazzonia dica che per celebrare l'eucarestia non serve un prete necessariamente celibe, ma un prete necessariamente santo; e che per pascere una comunità non serve un pastore necessariamente maschio, ma un pastore necessariamente cristiano. Ma è una speranza che urge: nella cristianissima fretta di papa Francesco, dunque, perfino una raccomandazione bislacca, nata da una tragedia e in sé irricevibile, potrebbe servire a porre una questione davanti alla quale tutti scappano.
*Alberto Melloni, ordinario di Storia del cristianesimo, è segretario della Fondazione per le scienze religiose. Ha diretto nel 2017 il Meridiano di don Milani e i tomi su Benedetto XV e Lutero del Mulino. (Articolo pubblicato su La Repubblica del 16.12.2017)
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