Che Natale ci attende?
Dipende da chi abbiamo atteso per lunghe settimane
di Enzo Bianchi
Se avremo saputo nutrire di Cristo la nostra attesa, riceveremo in dono la comprensione del Natale come affermazione umile e risoluta del Dio che si è fatto uomo perché ha tanto amato il mondo. Questo renderà i cristiani capaci di narrare con il linguaggio della nostra cultura in continuo mutamento la perenne “buona notizia” che riguarda tutta l’umanità
Cosa ci attendiamo dal Natale e cosa festeggiamo in quel giorno? La frenesia con cui viviamo le settimane che precedono la festa più popolare nel nostro Paese, per credenti e non credenti, ci parla di regali e di sprazzi di bontà in una vita minacciata dalla rivalità quotidiana; evoca intimità familiari in una società che sembra averne smarrito la centralità; promette riposo e svago ma li orienta verso una successiva miglior efficienza lavorativa
Eppure, proprio le mutate abitudini sociali dovrebbero ricondurre i cristiani all’essenziale della loro fede e a rendersi conto che la qualità del loro Natale dipende da come avranno alimentato la loro attesa del Signore che viene.
Avremo un Natale cristiano se saremo stati capaci di vivere un Avvento cristiano, perché la dimensione di fede della celebrazione della nascita di Gesù Cristo a Betlemme dipende da chi abbiamo atteso per lunghe settimane, da quale desiderio abitava le nostre preghiere e le nostre azioni, da quale venuta ci siamo preparati ad accogliere.
Guardiamo quali attese ci narrano i Vangeli che raccontano la nascita di un bambino della casa di David. Maria e Giuseppe vivono un’attesa umilmente e tenacemente legata a una promessa lontana e vicina, che si estende dalla radice di Iesse alla vergine di Nazareth, attesa di un popolo intero che si fa obbedienza dei poveri alle parole dei messaggeri di Dio, sollecitudine nel custodire in cuore l’inaudito che ha fatto irruzione nelle loro vite. Pellegrini della speranza, salgono a Betlemme in risposta docile a un comando dell’imperatore e lì, in una mangiatoia, la presenza di Dio pone la propria tenda in una carne umana.
I pastori nella notte attendono trepidi l’alba di un nuovo giorno perché la notte porta solo freddo e pericoli per le loro greggi e toglie loro il sonno. E, in quel buio che li emargina, odono l’invito degli angeli ad andare a vedere una luce preparata per loro, ascoltano parole che rendono gloria a Dio e annunciano pace e salvezza a tutti, cominciando dagli ultimi, primi destinatari della buona notizia.
A Gerusalemme intanto il re Erode non attende nulla, pretende: per avere quello che vuole, infatti, gli basta comandare. Eppure
lì, al cuore della città “visione di pace”, al sicuro tra le mura del suo palazzo, teme un neonato capace di spodestarlo, un principe della pace di cui ignora l’esistenza ma intuisce la potenza dirompente.
A lui si rivolgono i magi, dopo aver percorso le strade che uniscono oriente e occidente, chiedendo una conferma alla loro ricerca: scrutare il cielo non è fatica fine a se stessa, ma vigilanza che disperde i potenti nei pensieri del loro cuore, intuisce l’invisibile, riorienta il cammino e consente di riconoscere in un bambino accanto a sua madre l’atteso delle genti.
Al tempio Anna e Simeone attendono solo di abbandonarsi tra le braccia di quel Signore che hanno servito per tutta la vita e scoprono che prima di quel “lasciarsi andare” fiducioso ricevono ancora il dono di essere loro a prendere tra le braccia la luce per la rivelazione alle genti e la gloria di Israele. Prima di loro, in quello stesso tempio, Zaccaria aveva atteso muto e frastornato che una voce prendesse corpo nel grembo sterile di Elisabetta sua moglie e divenisse profeta dell’Altissimo, precursore della bontà misericordiosa di Dio.
Sì, tante e diverse possono essere le attese, e la loro natura e qualità determina l’accoglienza che riserviamo al Messia veniente e la benedizione che ne riceviamo. Ogni anno allora il tempo dell’Avvento ci interpella sulla nostra vigilante attesa e ogni anno il Natale ci sorprende con l’ineffabile misericordia del Signore.
Così, se avremo saputo nutrire di Cristo la nostra attesa, riceveremo in dono la comprensione del Natale come affermazione umile e risoluta del Dio che si è fatto uomo perché ha tanto amato il mondo. Questo renderà i cristiani capaci di narrare con il linguaggio della nostra cultura in continuo mutamento la perenne “buona notizia” che riguarda tutta l’umanità: la nascita di Gesù è abbraccio tra giustizia e verità, è incontro fecondo tra cielo e terra, è speranza e promessa di pace e di vita piena.
(fonte: SIR 23/12/2017)