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domenica 17 dicembre 2017

IL MITO DEL PAPA DAL PENSIERO DEBOLE. Ivereigh: “Come dice Borghesi Francesco può essere così diretto solo perché un grande pensiero ha a lungo preparato le sue affermazioni”

IL MITO DEL PAPA DAL PENSIERO DEBOLE.
Ivereigh: “Come dice Borghesi 
Francesco può essere così diretto 
solo perché un grande pensiero 
ha a lungo preparato le sue affermazioni”

di Roberto Graziotto




Nella sua biografia su Papa Francesco, The Great Reformer, il giornalista e scrittore britannico Austen Ivereigh aveva fatto vedere lo spessore storico del Papa argentino e lasciato intravedere anche il suo spessore intellettuale. Ora, con la monografia del filosofo italiano Massimo Borghesi è uscito un libro (Jose Mario Bergoglio. Una biografia intellettuale,Milano 2017) in cui è possibile vedere tutta l’ampiezza e profondità del pensiero del Papa, senza la quale la sua semplicità comunicativa non può essere “sentita” e gustata in modo appropriato. Per far ciò è stato necessario un filosofo che avesse le conoscenze adeguate sia della cultura europea che di quella latino americana. E la collaborazione stessa del Papa che con quattro registrazioni ha orientato e confermato i passi della ricerca. In un’intervista che Austen Ivereigh mi ha concesso per il quotidiano italiano “Il Sussidiario” (Ivereigh: Borghesi svela il pensiero “nascosto” di papa Francesco) lo scrittore inglese si esprime a questo riguardo così: “Ad eccezione di alcuni esponenti della teologia della liberazione, gli intellettuali cattolici latinoamericani sono stati ignorati in America e in Europa”. Questo ha portato alle conseguenze che descrive il professor Carriquiry nella prefazione del libro di Borghesi, dopo averne sottolineato l’importanza: “si tratta di uno studio molto importante che prende in esame un aspetto essenziale, decisamente trascurato, per la comprensione dell’attuale pontefice: quello della genesi e dello sviluppo del suo pensiero”. Commenta Ivereigh: “Sono assolutamente d’accordo! — e la prefazione del professor Carriquiry è molto interessante in questo senso, perché sottolinea le ragioni di questa trascuratezza: non solo la lettura errata che ho appena menzionato (ne riparlo dopo), e il desiderio di Francesco di comunicare direttamente e umanamente, ma perché le grandi influenze su di lui — come quella della filosofa argentina Amelia Podetti, del visionario uruguaiano Alberto Methol Ferré — sono giganti nelle loro terre d’origine, ma praticamente sconosciuti all’estero”.

Con la lettura errata Ivereigh si riferiva: al “mito diffuso tra molti oppositori del Papa che Francesco non sia in qualche modo un pensatore serio o importante, a differenza del grande filosofo Giovanni Paolo II o del magistrale teologo Benedetto XVI. Persino quelli che ammirano il papa parlano spesso di lui come di un pastore, un uomo di calore e fascino o persino di un genio strategico, ma non uno le cui idee debbano necessariamente essere prese sul serio. Borghesi mostra quanto sia errato questo giudizio. Che Francesco non abbia un background accademico professionale non toglie il fatto che sia un pensatore profondo e sistematico. Come dice lo stesso Borghesi, la semplicità dei modi e della comunicazione del Papa è una semplicità al di là della complessità. Può essere così diretto solo perché un grande pensiero ha a lungo preparato le sue affermazioni”.

Questa ignoranza abissale della statura intellettuale e spirituale del Papa, che si spaccia per vera conoscenza della tradizione cattolica e moderna (che pur nella critica si pretende di conoscere), ha fatto sorgere anche il mito di un papa marxista. Spiega Ivereigh nell’intervista: «Chiunque accusi Francesco di essere marxista rivela solo la sua profonda ignoranza. Chiunque pensi che questa forma di pensiero dialettico sia hegeliano non conosce né Hegel né i grandi pensatori cattolici come Adam Möhler o Romano Guardini, le cui dialettiche sono un rifiuto di Hegel. È come accusare Leone XIII di marxismo perché ha promosso i sindacati e il giusto salario. Il peronismo, d’altra parte, è una vera influenza. Ma non è una critica a Borghesi dire che il suo libro getta poca luce su quell’influenza, perché il peronismo non è, di per sé, una scuola di pensiero o persino un pensiero sistematico, che è l’oggetto di Borghesi. Come sostengo in The Great Reformer, il peronismo ha plasmato Bergoglio in due modi: uno, perché è emerso dall’humus della tradizione culturale distintiva dell’America latina, ed era quindi “del popolo”; in secondo luogo, perché Perón era un brillante leader e stratega, che offrì a Bergoglio e ad altri nazionalisti cattolici della sua generazione un modo di essere politico che trascendeva sia il liberalismo che il collettivismo». È vero che il filosofo italiano dedica solo un capitolo alla figura di Perón, per i motivi citati da Ivereigh, ma nella sua sinteticità il capitolo convince quando afferma che anche in questo ambito il Santo Padre rimane fedele a quel principio portante del suo pensiero, come provinciale dei gesuiti, come arcivescovo di Buenos Aires e come Papa: “la realtà viene prima dell’idea” (ne ha parlato ultimamente anche il cardinal Marc Ouellet in un suo recente intervento nell’Osservatore Romano in riferimento alle critiche che sono state fatte all’esortazione apostolica Amoris laetitia).

Infine mi sembra che il cuore dell’intervista a Austen Ivereigh si trovi in questa affermazione, che spiega come mai tra la modernità e la cristianità non vi sia una contraddizione, ma una feconda opposizione o un fecondo contrasto: “Come possiamo tenere insieme i contrasti in modo tale da permettere allo Spirito Santo di creare da questi una sintesi che li trascenda senza distruggerli? In altre parole, come possiamo evitare che contrasti dinamici salutari cadano in contraddizioni? Questo è il compito nel cuore di ogni istituzione o corpo: è il grande compito che deve affrontare il nostro mondo. Non penso che possiamo sottovalutare la potenza di questo pensiero. Questa è la missione della Cristianità nel cuore del mondo”. Il Papa ha imparato da grandi intellettuali sia latino americani (Podetti, Methol Ferré) che europei (Fessard, de Lubac, Balthasar e Guardini), che non la dialettica hegeliana, ma la tensione polare cattolica permette di comprendere quali tensioni feconde si trovino nel cuore del mondo. «Borghesi fa vedere che la maggiore influenza di Podetti su Bergoglio stava nel mostrargli l’importanza della periferia come locusdi nuove prospettive e sintesi creative. Podetti, che proveniva da un’importante famiglia di cattolici e intellettuali nazionalisti, credeva che l’America latina avesse un ruolo vitale nel futuro nel mondo come una civiltà cristiana “moderna” capace di trascendere le dialettiche individualista-collettivista, liberale-totalitario, est-ovest». Questa intuizione sarà approfondita da due pensatori latino americani che forse più di tutti hanno fatto comprendere la differenza tra la “teologia della liberazione”, come quella pensata dal primo Gustavo Gutierrez e la “teologia del popolo” cara a Papa Francesco: penso ad Alberto Methol Ferré, in dialogo anche con il filosofo italiano Augusto Del Noce, la cui “legittimità critica del moderno” è oggetto di un altro studio di Borghesi e Lucio Gera. Cuore della differenza tra le due teologie citate “non è l’opzione per i poveri o anche la nozione di liberazione storica, ma l’attenzione per la cultura e la storia. Methol Ferré, don Lucio Gera e altri nel gruppo di esperti del consiglio dei vescovi latinoamericani (Celam) credevano che i seguaci della teologia della liberazione avessero accettato troppo acriticamente i paradigmi marxisti e tecnocratici della sociologia della modernizzazione, che a loro avviso non corrispondevano alla specifica tradizione culturale e storica dell’America latina. La fedeltà a Roma era parte di questa posizione. Ma ciò non significa che non fossero critici nei confronti del Vaticano, e in particolare del suo centralismo”. Quel centralismo che ora come Papa Francesco cerca “cum grande animo y liberalidad” (Ignazio di Loyola) di riformare. È lecito infine chiedersi se questa volontà di riforma, nelle mani e nel cuore di un uomo di ottanta anni, abbia un futuro. La risposta è semplice. Come si può vedere nei libri di Ivereigh e Borghesi Papa Francesco non è il “totalmente altro”, ma frutto della grande tradizione cattolica che ha generato il Concilio Vaticano II ed una riflessione teologica di grande valore. Per quanto riguarda il futuro lascio ancora una volta la parola al giornalista britannico: “il papato di Francesco non è solo un capitolo, o una parentesi, nella storia in evoluzione della Chiesa. Fa parte di un cambio d’era”
(Pubblicato sul sito Terre d'America)