Se il pubblico riscopre in TV i comandamenti
di ENZO BIANCHI
Sorprendono i livelli di audience e di share raggiunti da Roberto Benigni che legge e commenta in TV i dieci comandamenti? Sì e no. Certo, il dato che nove milioni di spettatori si fermino ad ascoltare e riflettere su parole che, se va bene, hanno ascoltato e magari imparato a memoria a catechismo nella loro infanzia ci interroga.
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Benigni ha colto nel segno quando ha ricordato che nel “dono della Legge” (come i commentatori rabbinici definivano l’episodio narrato nel libro dell’Esodo in cui Mosè riceve le due tavole di pietra) “per la prima volta ci vengono date delle regole, regole così attuali da impressionare. Diventano legge i sentimenti, l'amore, la fedeltà, il futuro, il tempo”. Sì, l’essere umano ha bisogno di regole, di punti e riferimenti etici saldi, anche – e forse soprattutto – in stagioni come la nostra in cui l’etica sembra scomparsa dalla vita pubblica e dalla convivenza quotidiana. Queste regole solo apparentemente provengono dall’esterno: in realtà sono ridestate a partire dal nostro intimo, da quello che la coscienza ci fa percepire come bene e male.
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Il lavoro di chi come Benigni presenta come fresche, pronunciate oggi, per noi qui e ora, norme che risalgono a più di tremila anni fa consiste non tanto nel fare esempi più o meno efficaci o divertenti, ma nel togliere l’accumulo di pesantezze depositatosi su un distillato di sapienza che, una volta liberato, sprigiona da solo tutta la sua ricchezza. Né va dimenticato il fatto che Benigni non improvvisava: chi conosce la ricca interpretazione ebraico-cristiana dei comandamenti avrà notato come ad essa l’attore abbia attinto copiosamente e con sapienza. Benigni “ha studiato”, dietro le sue parole c’è molto ascolto, impegno e attenzione: anche così si spiega il suo coraggio nel dedicare una serata intera ai primi tre comandamenti, quelli riguardanti l’atteggiamento degli uomini verso Dio. Il risultato è stato non solo di farsi ascoltare, ma di riuscire a trasmettere quel sapore che sta nel prologo dei comandamenti – “Io sono il Signore tuo Dio che ti ha liberato dalla schiavitù” – e che costituisce il fondamento di tutte e dieci le parole.
A questo punto si impone un’altra domanda: perché uomini religiosi che hanno per funzione e servizio quello di spiegare la legge di Dio e far riconoscere in essa la libertà, risultano invece così noiosi, pedanti, esperti nel caricare pesi sulle spalle degli altri e così incapaci di farsi ascoltare? La loro è un’afasia orale oppure è un’afasia spirituale che nasce da mancanza di passione e di convinzione? Certo, è necessario anche che i destinatari siano disposti all’ascolto, atteggiamento non a caso posto in apertura dei comandamenti. Ora, all’ascolto è necessario il silenzio: “Il senso del tutto è nel silenzio – ci ricorda Benigni – Nessuno ha più il coraggio di rimanere da solo con se stesso. Ma i comandamenti ci dicono di fermarci: siamo andati talmente di corsa con il corpo, che la nostra anima è rimasta indietro. Fermiamoci altrimenti l'anima ce la perdiamo per sempre”. Ecco, forse se qualcuno dei nove milioni di telespettatori si è fermato grazie a queste dieci parole e alle tante con cui Benigni le ha ornate, allora avrà ricominciato a ritrovare se stesso e a riconciliarsi con la propria interiorità. Tutti insieme e ciascuno di noi ne trarremo enormi benefici.
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