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venerdì 12 dicembre 2014

OREUNDICI - IL QUADERNO DI DICEMBRE 2014 IL "NOI" NELLA COPPIA - L'EDITORIALE di Mario De Maio - UN RAPPORTO ASSOLUTAMENTE NUOVO la relazione cammina sempre verso l’ignoto di Arturo Paoli


OREUNDICI

IL QUADERNO DI DICEMBRE 2014

IL "NOI" NELLA COPPIA




L'EDITORIALE 
di Mario De Maio

La capacità di amare è la capacità di mettersi in relazione. Il recente Sinodo della Chiesa cattolica ha riportato all’attenzione numerosi temi legati alla coppia e alla famiglia. L'amore “per sempre” è uno dei temi che più è ritornato. Ma come coniugare questo “per sempre” con tante situazioni in cui il “cosiddetto amore” fallisce, viene meno, scompare, è tradito? Se diciamo "per sempre" pensando alla dimensione del tempo, alla durata della relazione d’amore, rischiamo di rimanere ingabbiati in schemi giuridici e moralistici. Corriamo il rischio di interpretare questo "per sempre" in una logica di dovere, di impegno, di moralità piuttosto che in termini di ricerca, conquista, integrazione, maturità, scoperta. Se invece con questo termine intendiamo il valore e la qualità che accompagna la profondità di una relazione, allora dovremmo capire attraverso quale processo la si raggiunge. Dovremo approfondire tutto ciò che ostacola e tutto ciò che favorisce il cammino di un amore affinché, per la sua qualità e intensità, diventi indelebile e “per sempre”. 
Ogni amicizia e ogni relazione sono un fatto importante nella vita di ogni persona, ma solo alcune di queste esperienze ci segnano “per sempre”. Come riconoscerle per non lasciarle sfuggire? Come alimentarle e farle crescere?
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UN RAPPORTO ASSOLUTAMENTE NUOVO
la relazione cammina sempre verso l’ignoto
 di Arturo Paoli

Al tema della relazione con la donna fratel Arturo ha dedicato un libro pubblicato verso la metà degli anni Novanta, in cui ripercorre e rielabora l’esperienza vissuta durante il periodo argentino della sua vita. Il libro è Il sacerdote e la donna, edito da Marsilio. Ne riportiamo alcune delle pagine inizali. 
In questo ultimo scorcio di esistenza, penso a te, G., che hai occupato uno spazio molto importante nella mia vita, quando nella cosiddetta maturità mi preparavo a entrare in un mondo nuovo, in una cultura sconosciuta, caricato della tristezza dell’esilio. Non approdavo in America Latina con la curiosità dell’esploratore, né con l’idea del missionario o con l’illusione dell’emigrante, ma con la sofferenza dell’esule; di chi ogni mattina deve posare la sua nostalgia sugli alberi in fiore, e cercare sui volti che incontra i tratti degli amici, e spegnere il dolore del giorno contemplando le stelle, le stesse che illuminano luoghi e cose lontane. Tu, G., sapevi perché ero esule e il tuo primo aiuto fu quello di liberarmi da formule astratte a cui chiedevo la forza di affrontare sorridendo la nuova avventura. Giovanni della Croce, che portavo con me, mi aveva preparato alla relazione,liberandola dal moralismo, chiedendomi in cambio la lealtà di poterne parlare con Dio, la cui amicizia esige soprattutto coerenza. L’immagine del Dio castigatore e utile, che avevo interiorizzato con me dal mio ingresso nelle file del clero, era sfumata; tornavo alla vita fragile, indifeso. La rinuncia a conoscere l’Essere non era avvenuta per l’urto contro il limite, ma per effetto di un’esperienza di tenerezza, di perdono, per un appagamento così profondo da rendere inutile la domanda: Chi sei? Ci volle tempo perché la terra dell’esilio diventasse la patria del cuore; mi aiutava senza dubbio la continuità di una relazione essenziale, incarnata in quell’altro di cui bisognava comprendere l’identità culturale. Non è del tutto vero che il Dio di Roma o di Parigi sia lo stesso a Mogadiscio e a La Paz, dal momento che ha scelto di venirci incontro nascosto dietro un volto nero o giallo e spesso trafitto da anni di sofferenza. Sapere che Egli ci lascia, che ci precede e lo ritroveremo, infonde una profonda pace; ma non ci esime dall’attenzione e dallo sforzo di conoscere la vera identità del fratello, avvilito dalla mancanza di rispetto e dall’intenzione violenta di ridurre l’alterità all’identico. 
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Ho pensato molte volte al versetto del salmo: Crea in me o Dio un cuore nuovo. Lo creerà direttamente, o servendosi della mediazione della donna? Non è simbolico che il cuore di Dio abbia preso da Maria le più tenere flessioni dell’umano? Ora so che Dio è sempre più grande, che non possiamo chiudere la sua originalità creatrice nella storia di un uomo.




Ogni esperienza umana è relativa,
e allo stesso tempo contiene
un frammento di infinito.

Arturo Paoli