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venerdì 11 novembre 2022

PAPA FRANCESCO VIAGGIO APOSTOLICO NEL REGNO DEL BAHREIN/ 7 - Lo Spirito Santo ci consegna e ci chiede di accogliere e di vivere: la gioia, l’unità e la profezia.

PAPA FRANCESCO VIAGGIO APOSTOLICO NEL REGNO DEL BAHREIN/ 7
3 - 6 Novembre 2022
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Lo Spirito Santo ci consegna 
e ci chiede di accogliere e di vivere: 
la gioia, l’unità e la profezia.
Papa Francesco

Domenica 6 Novembre 2022
Incontro di Preghiera e Angelus con i Vescovi,
 i Sacerdoti, i Consacrati, i Seminaristi e gli Operatori Pastorali
presso la Chiesa del Sacro Cuore a Manama




IL DISCORSO DI PAPA FRANCESCO

Cari Vescovi, sacerdoti, consacrati e seminaristi, operatori pastorali, buongiorno! Good morning!

Sono lieto di trovarmi in mezzo a voi, in questa comunità cristiana che ben manifesta il suo volto “cattolico”, cioè universale: una Chiesa abitata da persone provenienti da molte parti del mondo, che si ritrovano insieme a confessare l’unica fede in Cristo. Mons. Hinder, che ringrazio per il suo servizio e per le sue parole, ieri ha parlato di «un piccolo gregge composto da migranti»: salutando ciascuno di voi, allora, rivolgo anche un pensiero ai vostri popoli di appartenenza, alle vostre famiglie che portate nel cuore con un po’ di nostalgia, ai vostri Paesi di origine. In particolare, vedendo presenti i fedeli del Libano, assicuro la mia preghiera e vicinanza a quell’amato Paese, così stanco, così provato, e a tutti i popoli che soffrono in Medio Oriente. È bello appartenere a una Chiesa formata da storie e volti diversi, che trovano armonia nell’unico volto di Gesù. E tale varietà – l’ho visto in questi giorni – è lo specchio di questo Paese, delle genti che lo popolano ma anche del paesaggio che lo caratterizza e che, pur dominato dal deserto, vanta una ricca e variegata presenza di piante e di esseri viventi.

Le parole di Gesù che abbiamo ascoltato parlano dell’acqua viva che sgorga dal Cristo e dai credenti (cfr Gv 7,37-39). Mi hanno fatto pensare proprio a questa terra: è vero, c’è tanto deserto, ma ci sono anche sorgenti di acqua dolce che scorrono silenziosamente nel sottosuolo, irrigandolo. È una bella immagine di quello che siete voi e soprattutto di ciò che la fede opera nella vita: in superficie emerge la nostra umanità, inaridita da tante fragilità, paure, sfide che deve affrontare, mali personali e sociali di vario genere; ma nel sottofondo dell’anima, proprio dentro, nell’intimo del cuore, scorre calma e silenziosa l’acqua dolce dello Spirito, che irriga i nostri deserti, ridona vigore a quanto rischia di seccare, lava ciò che ci abbruttisce, disseta la nostra sete di felicità. E sempre rinnova la vita. È di questa acqua viva che parla Gesù, è questa la sorgente di vita nuova che ci promette: il dono dello Spirito Santo, la presenza tenera, amorevole e rigenerante di Dio in noi.

Ci fa bene allora soffermarci sulla scena che il Vangelo descrive. Gesù si trova nel tempio di Gerusalemme, dove si sta celebrando una delle feste più importanti, durante la quale il popolo benedice il Signore per il dono della terra e dei raccolti, facendo memoria dell’Alleanza. E in quel giorno di festa si svolgeva un rito importante: il sommo sacerdote si recava alla piscina di Siloe, attingeva acqua e poi, mentre il popolo cantava ed esultava, la versava fuori dalle mura della città per indicare che da Gerusalemme sarebbe fluita una grande benedizione per tutti. Di Gerusalemme, infatti, il salmista aveva detto: «Sono in te tutte le mie sorgenti» (Sal 87,7); e il profeta Ezechiele aveva parlato di una sorgente d’acqua che, sgorgando dal tempio, avrebbe irrigato e fecondato come un fiume tutta la terra (cfr Ez 47,1-12).

Con tali premesse comprendiamo bene che cosa vuole dirci il Vangelo di Giovanni con questa scena: siamo all’ultimo giorno della festa, Gesù si erge «ritto in piedi» e ad alta voce proclama: «Chi ha sete, venga a me» (Gv 7,37), perché «fiumi di acqua viva» sgorgheranno dal suo grembo (v. 38). Che bell’invito! E l’Evangelista spiega: «Questo egli disse dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui: infatti non vi era ancora lo Spirito, perché Gesù non era ancora stato glorificato» (v. 39). Il richiamo è all’ora in cui Gesù muore in croce: in quel momento, non più dal tempio di pietre, ma dal costato aperto di Cristo uscirà l’acqua della vita nuova, l’acqua vivificante dello Spirito Santo, destinata a rigenerare tutta l’umanità liberandola dal peccato e dalla morte.

Fratelli e sorelle, ricordiamoci sempre questo: la Chiesa nasce lì, nasce dal costato aperto di Cristo, da un bagno di rigenerazione nello Spirito Santo (cfr Tt 3,5). Non siamo cristiani per nostro merito o solo perché aderiamo ad un credo, ma perché nel Battesimo ci è stata donata l’acqua viva dello Spirito, che ci rende figli amati di Dio e fratelli tra di noi, facendoci creature nuove. Tutto sgorga dalla grazia, – tutto è grazia! –, tutto viene dallo Spirito Santo. E, allora, permettetemi di soffermarmi brevemente con voi su tre grandi doni che lo Spirito Santo ci consegna e ci chiede di accogliere e di vivere: la gioia, l’unità e la profezia. La gioia, l’unità e la profezia.

Anzitutto lo Spirito è sorgente di gioia. L’acqua dolce che il Signore vuole far scorrere nei deserti della nostra umanità, impastata di terra e di fragilità, è la certezza di non essere mai soli nel cammino della vita. Lo Spirito è infatti Colui che non ci lascia soli, è il Consolatore; ci conforta con la sua presenza discreta e benefica, ci accompagna con amore, ci sostiene nelle lotte e nelle difficoltà, incoraggia i nostri sogni più belli e i nostri desideri più grandi, aprendoci allo stupore e alla bellezza della vita. La gioia dello Spirito, perciò, non è uno stato occasionale o un’emozione del momento; tanto meno è quella specie di «gioia consumista e individualista così presente in alcune esperienze culturali di oggi» (Esort. ap. Gaudete et exsultate, 128). Invece la gioia nello Spirito è quella che nasce dalla relazione con Dio, dal sapere che, pur nelle fatiche e nelle notti oscure che talvolta attraversiamo, non siamo soli, persi o sconfitti, perché Lui è con noi. E con Lui possiamo affrontare e superare tutto, persino gli abissi del dolore e della morte.

A voi, che avete scoperto questa gioia e la vivete in comunità, vorrei dire: conservatela, anzi, moltiplicatela. E sapete qual è il metodo migliore per fare questo? Donarla. Sì, è così: la gioia cristiana è contagiosa, perché il Vangelo fa uscire da sé stessi per comunicare la bellezza dell’amore di Dio. Dunque è essenziale che nelle comunità cristiane la gioia non venga meno e sia condivisa; che non ci limitiamo a ripetere gesti per abitudine, senza entusiasmo, senza creatività. Altrimenti perderemo la fede e diventeremo una comunità noiosa, e questo è brutto! È importante che, oltre alla Liturgia, in particolare alla celebrazione della Messa, fonte e culmine della vita cristiana (cfr Sacrosanctum Concilium, 10), facciamo circolare la gioia del Vangelo anche in un’azione pastorale vivace, specialmente per i giovani, per le famiglie e per le vocazioni alla vita sacerdotale e religiosa. La gioia cristiana non si può tenere per sé, e quando la mettiamo in circolo, si moltiplica.

In secondo luogo, lo Spirito Santo è sorgente di unità. Quanti lo accolgonoricevono l’amore del Padre e diventano suoi figli (cfr Rm 8,15-16); e, se figli di Dio, sono anche fratelli e sorelle. Non può esserci spazio per le opere della carne, cioè dell’egoismo: per le divisioni, le liti, le maldicenze, le chiacchiere. State attenti al chiacchiericcio, per favore: le chiacchiere distruggono una comunità. Le divisioni del mondo, e anche le differenze etniche, culturali e rituali, non possono ferire o compromettere l’unità dello Spirito. Al contrario, il suo fuoco brucia i desideri mondani e accende la nostra vita di quell’amore accogliente e compassionevole con cui Gesù ci ama, perché anche noi possiamo amarci così tra di noi. Per questo, quando lo Spirito del Risorto discende sui discepoli, diventa sorgente di unità e di fratellanza contro ogni egoismo; inaugura l’unico linguaggio dell’amore, perché i diversi linguaggi umani non restino distanti e incomprensibili; abbatte le barriere della diffidenza e dell’odio, per creare spazi di accoglienza e di dialogo; libera dalla paura e infonde il coraggio di uscire incontro agli altri con la forza disarmata e disarmante della misericordia.

Questo fa lo Spirito Santo, che così modella la Chiesa fin dalle origini: a partire dalla Pentecoste, le provenienze, le sensibilità e le visioni differenti vengono armonizzate nella comunione, forgiate in un’unità che non è uniformità, è armonia, perché lo Spirito Santo è l’armonia. Se abbiamo ricevuto lo Spirito, la nostra vocazione ecclesiale è anzitutto quella di custodire l’unità e coltivare l’insieme, cioè – come dice San Paolo – «conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale [siamo] stati chiamati» (Ef 4,3-4).

Nella sua testimonianza, Chris ha detto che, quand’era molto giovane, ciò che l’aveva affascinata della Chiesa cattolica era «la comune devozione di tutti i fedeli», indipendentemente dal colore della pelle, dalla provenienza geografica, dalla lingua: tutti riuniti in una sola famiglia, tutti a cantare le lodi del Signore. Questa è la forza della comunità cristiana, la prima testimonianza che possiamo dare al mondo. Cerchiamo di essere custodi e costruttori di unità! Per essere credibili nel dialogo con gli altri, viviamo la fraternità tra di noi. Facciamolo nelle comunità, valorizzando i carismi di tutti senza mortificare nessuno; facciamolo nelle case religiose, come segni viventi di concordia e di pace; facciamolo nelle famiglie, così che il vincolo d’amore del sacramento si traduca in atteggiamenti quotidiani di servizio e di perdono; facciamolo anche nella società multireligiosa e multiculturale in cui viviamo: sempre a favore del dialogo, sempre, tessitori di comunione con i fratelli di altri credo e di altre confessioni. So che su questa strada voi offrite già un bell’esempio, ma la fraternità e la comunione sono doni che non dobbiamo stancarci di chiedere allo Spirito, per respingere le tentazioni del nemico, che sempre semina zizzania.

Infine, lo Spirito è sorgente di profezia. La storia della salvezza, come sappiamo, è costellata da numerosi profeti che Dio chiama, consacra e manda in mezzo al popolo perché parlino a suo nome. I profeti ricevono dallo Spirito Santo la luce interiore che li rende interpreti attenti della realtà, capaci di cogliere dentro le trame, a volte oscure, della storia la presenza di Dio e di indicarla al popolo. Spesso le parole dei profeti sono sferzanti: essi chiamano per nome i progetti di male che si annidano nei cuori della gente, mettono in crisi le false sicurezze umane e religiose, invitano alla conversione.

Anche noi abbiamo questa vocazione profetica: tutti i battezzati hanno ricevuto lo Spirito e tutti sono profeti. E in quanto tali non possiamo far finta di non vedere le opere del male, restare nel “quieto vivere” per non sporcarci le mani. Un cristiano prima o poi deve sporcarsi le mani per vivere la sua vita cristiana e dare testimonianza. Al contrario, abbiamo ricevuto uno Spirito di profezia per portare alla luce, con la nostra testimonianza di vita, il Vangelo. Per questo San Paolo esorta: «Desiderate intensamente i doni dello Spirito, soprattutto la profezia» (1 Cor 14,1). La profezia ci rende capaci di praticare le beatitudini evangeliche nelle situazioni di ogni giorno, cioè di edificare con ferma mitezza quel Regno di Dio nel quale l’amore, la giustizia e la pace si oppongono a ogni forma di egoismo, di violenza e di degrado. Ho apprezzato che Suor Rose abbia parlato del ministero tra le detenute, nelle carceri, è bello, questo! Una possibilità di cui essere grati. La profezia che edifica e conforta queste persone è condividere con loro il tempo, spezzare la Parola del Signore, pregare con loro. È prestare loro attenzione, perché là dove ci sono fratelli bisognosi, come i carcerati, c’è Gesù, Gesù ferito in ogni persona che soffre (cfr Mt 25,40). Sai cosa penso io, quando entro in un carcere? “Perché loro e non io?”. È la misericordia di Dio. Ma prendersi cura dei detenuti fa bene a tutti, come comunità umana, perché è da come si trattano gli ultimi che si misura la dignità e la speranza di una società.

Cari fratelli e sorelle, in questi mesi stiamo pregando tanto per la pace. In tale contesto, costituisce una speranza l’accordo che è stato firmato e che riguarda la situazione in Etiopia. Incoraggio tutti a sostenere questo impegno per una pace duratura, affinché, con l’aiuto di Dio, si continuino a percorrere le vie del dialogo e il popolo ritrovi presto una vita serena e dignitosa. E inoltre non voglio dimenticare di pregare e di dire a voi di pregare per la martoriata Ucraina, perché quella guerra finisca.

E adesso, cari fratelli e sorelle, siamo arrivati alla fine. Vorrei dirvi “grazie” per questi giorni vissuti insieme; ma non dimenticate la gioia, l’unità e la profezia, non dimenticatele! Con animo colmo di riconoscenza benedico tutti voi, specialmente quanti hanno lavorato per questo viaggio. E, visto che queste sono le ultime parole pubbliche che rivolgo, permettetemi di ringraziare Sua Maestà il Re e le Autorità di questo Paese – anche il Ministro della Giustizia, qui presente –per la squisita ospitalità. Vi incoraggio a continuare con costanza e letizia il vostro cammino spirituale ed ecclesiale. Ed ora invochiamo l'intercessione materna della Vergine Maria, che sono felice di venerare come Nostra Signora d'Arabia. Ella ci aiuti a lasciarci sempre guidare dallo Spirito Santo e ci mantenga gioiosi, uniti nell'affetto e nella preghiera. Ci conto: non dimenticatevi di pregare per me

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