Enzo Bianchi
Perché ascoltare i giovani
Sono sempre più sotto osservazione da parte della società e si rinchiudono nella solitudine dei social network. I Maneskin sono il loro vero urlo
La Repubblica - 07 Novembre 2022
I giovani, che dovremmo sempre percepire come l’ultima generazione che si affaccia alla vita nel mondo, ultimamente sono sempre più sotto osservazione, indagati da parte della società che cerca di “capirli”, e ormai addirittura oggetto di un’ossessiva ricerca nell’ambito della pastorale, perché sono la parte mancante della chiesa, sono gli assenti per eccellenza dagli atti di culto e dalle occasioni di ritrovo. Lo sappiamo tutti e lo ripetiamo: sono una generazione di rupture de mémoire perché per loro non c’è stata trasmissione della fede, non hanno ricevuto quell’eredità così ricca e accumulata dai padri che era abilitazione alla fiducia, esercizio di speranza ed esperienza di legami e di comunione.
Umberto Galimberti, che con i giovani sa dialogare e lo fa quotidianamente, ha denunciato l’ospite inquietante del nichilismo che ha trovato casa nel cuore dei giovani. Nichilismo che appare quando dicono senza particolare pathos che non c’è scopo, non c’è risposta al perché dovrebbero stare al mondo in un certo modo.
Tra loro vi è però chi cerca la propria strada innanzitutto seguendo, anche senza saperlo, il monito dell’oracolo di Delfi: “Conosci te stesso!”, perché comunque comprende che solo chi si lascia ispirare dal suo io interiore può realizzarsi e fare della propria vita un’opera piena di senso. Ma resta vero che in questa situazione in cui manca l’arte dell’ascolto del proprio daímon, della propria voce interiore, la maggior parte approda all’identità illusoria dell’autosufficienza, che deve ricorrere all’esibizione e alla pubblicità. Purtroppo i social media diventano lo strumento che si presta a tale inclinazione, anche se conservano valenze positive che impediscono di demonizzarli. Per questo anche il radunarsi dei giovani sovente manca di collegamento all’interiorità e mette solo in mostra individui isolati, che consumano il momento della convergenza restando prigionieri della propria solitudine.
Comprendiamo così perché anche la protesta giovanile negli ultimi anni abbia un andamento “a singhiozzo”, e non sappia generare nessun movimento, nessun cammino partecipato e comune. Diventa facile per i giovani la fuga da se stessi, come denuncia David Le Breton, e l’apparire in molti di loro della sindrome del “biancore” (blancheur): una debolezza, un pallore, un blocco del desiderio. La vita non è più un contenitore di esperienze e di possibilità, ma viene vissuta con un’attitudine rinunciataria.
“Siamo fuori di testa ma diversi da loro”, recita il verso-manifesto della canzone “Zitti e buoni” dei Maneskin, vero urlo dell’attuale generazione. Ecco il perché di “biancore” e tiepidezza, che sono due impedimenti a quel desiderio di energia capace di dare forma al mondo. Soprattutto lo spegnimento del desiderio che come un contagio si è diffuso tra i giovani impedisce l’accendersi delle passioni e genera incertezze che hanno modalità e frequenze sinora sconosciute. I giovani fanno fatica a desiderare e noi facciamo fatica ad ascoltare, ma non dobbiamo nutrire paure: il futuro è loro non solo per ragioni biologiche e noi dobbiamo cercare di non impedire almeno la buona riuscita, l’eu-daimonía, la felicità di chi realizza il proprio daímon.
(fonte: blog dell'autore)