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sabato 30 luglio 2022

29/07/2022 VIAGGIO APOSTOLICO DI PAPA FRANCESCO IN CANADA - QUÉBEC: Incontro privato con i gesuiti del Canada e poi con gli Indigeni - IQALUIT: Incontro privato con un gruppo di ex alunni degli istituti residenziali e poi con giovani e anziani. (cronaca, foto, testi e video)

VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ FRANCESCO
IN CANADA
(24 - 30 LUGLIO 2022)

Venerdì, 29 luglio 2022

QUÉBEC - IQALUIT – ROMA 

9:00Incontro privato con i membri della Compagnia di Gesù presso l'Arcivescovado a Québec
10:45Incontro con una Delegazione di Indigeni presenti in Québec presso l'Arcivescovado a Québec
12:45Partenza in aereo dall’Aeroporto Internazionale di Québec per Iqaluit
15:50Arrivo all'Aeroporto di Iqaluit
16:15Incontro privato con alcuni alunni delle ex Scuole residenziali nella scuola elementare a Iqaluit
17:00Incontro con i giovani e con gli anziani nel piazzale della scuola elementare a Iqaluit
18:15Cerimonia di congedo presso l’Aeroporto di Iqaluit
18:45Partenza in aereo dall’Aeroporto di Iqaluit per Roma

L’ultimo giorno di Papa Francesco in Canada è diviso in due momenti. L’incontro con i capi indigeni a Quebec, preceduto da una udienza privata ai gesuiti locali, e poi, quando ormai in Italia è notte, l’appuntamento con il popolo Inuit ai confini del circolo polare artico. Da lì il rientro a Roma, a bordo di un Airbus Ita Airways, con arrivo previsto nel primo mattino di questo sabato.


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Francesco tra i gesuiti del Canada, Spadaro:
una conversazione libera e diretta

Domande e risposte sui temi del viaggio e della realtà canadese nel consueto incontro con i confratelli che fanno parte della Compagnia di Gesù in Canada, a poche ore dal trasferimento a Iqualit

Il Papa e i gesuiti del Canada nell'Arcivescovado di Quèbec (Vatican Media)

Un'ora circa di dialogo con 15 gesuiti oltre al cardinale Michael Czerny, canadese e membro della Compagnia di Gesù, iniziato prima delle 9, in anticipo rispetto al previsto, e terminato con un dono. Al centro i temi della Chiesa e della terra candese. Così padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica, sintetizza l'incontro privato avvenuto nella sede arcivescovile in Québec tra il Papa e i gesuiti nell'ultimo giorno del viaggio. Presenti anche alcuni gesuiti provenienti da Haiti, visto che l'isola fa parte della provincia canadese.


Incontro fraterno

"Come sempre - fa sapere padre Spadaro - Papa Francesco durante i suoi viaggi apostolici incontra i gesuiti per un momento fraterno, molto semplice e informale, fatto di domande e di risposte, una conversazione molto libera e diretta. Il Papa ha affrontato temi che riguardano la Chiesa in generale e ovviamente anche questa nazione, il Canada e il motivo per il quale lo ha visitato, approfondendo l'uno e l'altro. La cosa che colpisce è che questi incontri sono la prima cassa di risonanza dei viaggi apostolici in cui può conversare su quello che è avvenuto dato che i gesuiti hanno partecipato a tutto ciò che lui ha vissuto personalmente. Un incontro allora molto caloroso, che lo ha portato spesso a sorridere di gusto, ma anche ad affrontare questioni molto serie con la dovuta calma".
Doni e preghiere

"L'incontro si è concluso - aggiunge Spadaro - con una preghiera comune e con la foto di gruppo. I gesuiti hanno donato al Papa il quadro di una farfalla e su questo hanno scherzato, un segno bello di comunione e di profonda sintonia spirituale con questo Paese".
(fonte: Vatican News, articolo di Gabriella Ceraso 29/07/2022)


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INCONTRO CON UNA DELEGAZIONE DI INDIGENI PRESENTI IN QUÉBEC 

SALUTO DEL SANTO PADRE

Québec, Arcivescovado  

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Vi saluto cordialmente e vi ringrazio per essere venuti qui da diversi luoghi. La vastità di questa terra fa pensare alla lunghezza del percorso di guarigione e riconciliazione che stiamo affrontando insieme. In effetti, la frase che ci ha accompagnato da marzo, da quando i delegati indigeni mi hanno fatto visita a Roma, e che caratterizza la mia visita qui tra di voi, è Camminare Insieme: Walking Together / Marcher Ensemble.

Sono venuto in Canada come amico per incontrarvi, per vedere, ascoltare, imparare, apprezzare come vivono le popolazioni indigene di questo Paese. Non sono venuto come turista, sono venuto come fratello, a scoprire in prima persona i frutti buoni e cattivi prodotti dai membri della famiglia cattolica locale nel corso degli anni. Sono venuto in spirito penitenziale, per esprimervi il dolore che portiamo nel cuore come Chiesa per il male che non pochi cattolici vi hanno arrecato appoggiando politiche oppressive e ingiuste nei vostri riguardi. Sono venuto come pellegrino, con le mie limitate possibilità fisiche, per muovere ulteriori passi in avanti con voi e per voi: perché si prosegua nella ricerca della verità, perché si progredisca nel promuovere percorsi di guarigione e di riconciliazione, perché si vada avanti a seminare speranza per le future generazioni di indigeni e di non indigeni, che desiderano vivere insieme fraternamente, in armonia.

Ma vorrei dirvi, ormai prossimo alla conclusione di questo intenso pellegrinaggio, che, se sono venuto animato da questi desideri, ritorno a casa molto più arricchito, perché porto nel cuore il tesoro impareggiabile fatto di persone e di popolazioni che mi hanno segnato; di volti, sorrisi e parole che rimangono dentro; di storie e luoghi che non potrò dimenticare; di suoni, colori ed emozioni che vibrano fortemente in me. Davvero posso dire che, mentre vi ho fatto visita, sono state le vostre realtà, le realtà indigene di questa terra, a visitare il mio animo: mi sono entrate dentro e mi accompagneranno sempre. Oso dire, se me lo permettete, che ora, in un certo senso, mi sento anch’io parte della vostra famiglia, e ne sono onorato. Il ricordo della festa di Sant’Anna, vissuta insieme a diverse generazioni e a tante famiglie indigene, rimarrà indelebile nel mio cuore. In un mondo purtroppo così spesso individualista, quanto è prezioso quel senso di familiarità e di comunità che presso di voi è tanto genuino! E quanto è importante coltivare bene il legame tra i giovani e gli anziani, e custodire un rapporto sano e armonioso con l’intero creato!

Cari amici, vorrei affidare al Signore quanto abbiamo vissuto in questi giorni e il prosieguo del cammino che ci attende; e affidarli anche alla cura premurosa di chi sa custodire ciò che nella vita conta: penso alle donne, e a tre donne in particolare. Anzitutto a Sant’Anna, di cui ho potuto avvertire la tenerezza e la protezione, venerandola insieme a un popolo di Dio che riconosce e onora le nonne. In secondo luogo penso alla Santa Madre di Dio: nessuna creatura merita più di lei di essere definita pellegrina, perché sempre, anche oggi, anche ora, è in cammino: in cammino tra Cielo e terra, per prendersi cura di noi per conto di Dio e per condurci per mano a suo Figlio. E infine, la mia preghiera e il mio pensiero sono andati spesso in questi giorni a una terza donna dalla presenza mite che ci ha accompagnati, e i cui resti sono conservati non lontano da qui: mi riferisco a santa Kateri Tekakwitha. La veneriamo per la sua vita santa, ma non potremmo pensare che la sua santità di vita, connotata da una dedizione esemplare nella preghiera e nel lavoro, nonché dalla capacità di sopportare con pazienza e dolcezza tante prove, sia stata resa possibile anche da certi tratti nobili e virtuosi ereditati dalla sua comunità e dall’ambiente indigeno in cui crebbe?

Queste donne possono aiutare a mettere insieme, a tornare a tessere una riconciliazione che garantisca i diritti dei più vulnerabili e sappia guardare la storia senza rancori né dimenticanze. Due di loro, la Santissima Vergine Maria e Santa Kateri, hanno ricevuto da Dio un progetto di vita e, senza domandare ad alcun uomo, hanno detto “sì” con coraggio. Queste donne avrebbero potuto rispondere male a tutti coloro che si opponevano a quel progetto, oppure rimanere soggette alle norme patriarcali del tempo e rassegnarsi, senza lottare per i sogni che Dio stesso aveva impresso nelle loro anime. Non fecero questa scelta, ma con mansuetudine e fermezza, con parole profetiche e gesti decisi si aprirono la strada e adempirono ciò a cui erano state chiamate. Che esse benedicano il nostro cammino comune, intercedano per noi, per questa grande opera di guarigione e riconciliazione tanto gradita a Dio. Io vi benedico di cuore. E vi chiedo, per favore, di continuare a pregare per me.

Guarda il video integrale

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Il Papa all’estremo Nord, tappa a Iqaluit per l’incontro con gli Inuit
Francesco ha lasciato intorno alle 13 (ora canadese) Québec per partire verso la capitale dello Stato di Nunavut, dove è atterrato intorno alle 15.40. Incontro privato con un gruppo di ex alunni degli istituti residenziali presso la Nakasuk Elementary School e, poi, nello spiazzale con giovani e anziani. Subito dopo il congedo e la partenza per Roma


Trecento chilometri a sud del Circolo Polare Artico, sud-est dell’isola di Griffin, vicino alla foce del fiume Sylvia Grinnell. D’inverno la temperatura media si aggira attorno ai 25 gradi sotto zero, le minime possono scendere spesso al di sotto dei 40 gradi. È Iqaluit, la capitale del territorio di Nunavut, il cui nome in lingua inuktitut significa “luogo di molti pesci”. Qui si conclude oggi il “pellegrinaggio penitenziale” di Papa Francesco in Canada.

Insieme agli ex alunni delle scuole residenziali

Ultima tappa prima della partenza a Roma, per incontrare - dopo Métis e First Nations - la più grande comunità di Inuit (circa 3.900 membri su quasi 8 mila abitanti), popolazione indigena delle coste dell’America, distribuita dalla Groenlandia all’Alaska, e presente anche all’estremità della penisola dei Ciukci, in Siberia. A Iqaluit Papa Francesco ha avuto anche un colloquio in forma riservata con un gruppo di ex alunni delle scuole residenziali, dove nello scorso secolo si sono consumati abusi psicologici e spirituali a danno di bambini indigeni, vittime di “devastanti” politiche di assimilazione che hanno visto responsabilità anche da parte della Chiesa.

Francesco con gli ex alunni delle scuole residenziali

Un volo di circa 3 ore

Nella ex baia per la caccia delle balene, ex base aerea militare degli Usa, dove a causa del permafrost, il sottosuolo perennemente congelato, nessuna pianta supera i 20 cm di altezza, il Pontefice è arrivato intorno alle 15.40, ora canadese. Aveva lasciato Québec alle 12.57. L’aereo papale ha sorvolato per circa tre ore laghi e colline, la tundra e la famosa “strada verso il nulla”, un lungo viale così chiamato dagli abitanti di Iqaluit perché non porta da nessuna parte. Nel locale aeroporto il Papa è stato accolto dal vescovo di Churchill-Hudson Bay, monsignor Anthony Wiesław Krótki, Omi, e da cinque autorità locali, tra cui una donna indigena.

Pellegrino per la guarigione

Iqaluit, Frobisher Bay dal 1955 al 1987, è probabilmente una delle mete della terra più lontane mai toccate dal Papa in un viaggio apostolico. Jorge Mario Bergoglio, come ha detto stamane alla delegazione di autoctoni del Québec incontrati in Arcivescovado, vi si è recato “come pellegrino, con le mie limitate possibilità fisiche” perché “si prosegua nella ricerca della verità, si progredisca nel promuovere percorsi di guarigione e di riconciliazione, perché si vada avanti a seminare speranza per le future generazioni di indigeni e di non indigeni”.

Una veduta di Iqaluit

Dialogo riservato

L'incontro con il gruppo di ex alunni degli istituti residenziali - al quale era presente anche la governatrice generale del Canada, Mary May Simon - si è svolto in meno di un'ora nella Nakasuk Elementary School, una delle quattro scuole primarie della città. Un edificio dalla forma ispirata a un igloo, bianco, trapezoidale, ermetico, con pochissime finestre, tutte a oblò. È stato costruito con un blocco in fibra di vetro nel 1973 e intitolato al primo residente stabile di Iqaluit, un inuk nato nei territori del Nord-Ovest, ricordato come fondatore della capitale di Nunavut negli anni ’70. Quando cioè, andata via l’aviazione americana va via, l’allora Frobisher Bay diventa centro amministrativo, di comunicazione e trasporto del governo canadese per l’Artico orientale. Nel 1976, l’Inuit Tapirisat of Canada (ITC) propone la creazione del territorio di Nunavut, “la nostra terra” in lingua inuktitut. Nel 1987, l’insediamento torna al suo nome originale.

La Nakasuk Elementary School, dove avverrà l'incontro del Papa con gli ex alunni delle scuole residenziali

A Iqaluit l'accordo di rivendicazione di terre indigene

La città viene ricordata anche come teatro della firma, nel maggio del 1993, del più importante accordo di rivendicazione di terre indigene nella storia del Canada, il Nunavut Land Claims Agreement. Dopo la divisione dei Territori del Nord-Ovest in due territori distinti, il 1° aprile 1999, Iqaluit diventa capitale di Nunavut e le viene concesso lo status di città dal governo federale il 19 aprile 2001. Ad Iqaluit è presente infatti la sede del governo del territorio e l’Assemblea legislativa di Nunavut. Papa Francesco ha incontrato le autorità nella Sala Vip dell’aeroporto ma solo per pochi istanti. Centro della visita è infatti l’incontro con gli ex alunni di queste scuole istituite nel 1883, dove, secondo il Rapporto della Commissione per la Verità e la Riconciliazione, pubblicato nel 2015, oltre 150 mila bambini sono morti a causa di malattie, malnutrizione, maltrattamenti e vessazioni, mirate a cancellare ogni traccia della propria cultura originaria.

Incontro con giovani e anziani

In una sala Jorge Mario Bergoglio ha ascoltato storie e testimonianze. Tutto è avvenuto lontano da telecamere e obiettivi fotografici. È pubblico, invece, l’incontro nel piazzale antistante la scuola elementare con i giovani e gli anziani, dove il Papa viene accolto da un rappresentante della comunità tra balli, musiche e i katajjaq, i tradizionali canti gutturali delle donne.

Il Papa, da un semplice palco con una tenda bianca, pronuncia l’ultimo dei suoi discorsi del viaggio, poi dopo la preghiera del Padre Nostro e la benedizione, alle 18.15 si recherà in aeroporto per la ripartenza per Roma.

Panorama di Iqaluit
(fonte: Vatican News, articolo di Salvatore Cernuzio 29/07/2022)

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INCONTRO CON I GIOVANI E CON GLI ANZIANI

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Piazzale della scuola elementare a Iqaluit
Venerdì, 29 luglio 2022


Cari fratelli e sorelle, buonasera!

Saluto cordialmente la Signora Governatore Generale e tutti voi, felice di incontrarvi. Vi ringrazio per le vostre parole, così come per i canti, le danze e le musiche, che ho tanto apprezzato!

Poco fa ho ascoltato diversi di voi, ex-alunni delle scuole residenziali: grazie per quanto avete avuto il coraggio di dire, condividendo grandi sofferenze, che non avrei immaginato. Ciò ha ridestato in me l’indignazione e la vergogna che mi accompagnano da mesi. Anche oggi, anche qui, vorrei dirvi che sono molto addolorato e desidero chiedere perdono per il male commesso da non pochi cattolici nelle scuole che hanno contribuito alle politiche di assimilazione culturale e di affrancamento. Mamianak [Mi dispiace]. Mi è tornata alla mente la testimonianza di un anziano, il quale descriveva la bellezza del clima che regnava nelle famiglie indigene prima dell’avvento del sistema delle scuole residenziali. Paragonava quella stagione, in cui nonni, genitori e figli stavano armoniosamente insieme, alla primavera, quando gli uccellini cantano felici attorno alla mamma. Ma all’improvviso – diceva – il canto si è fermato: le famiglie sono state disgregate, i piccoli portati via, lontani dal loro ambiente; su tutto è calato l’inverno.

Tali parole, mentre provocano dolore, suscitano anche scandalo; ancora di più se le confrontiamo con la Parola di Dio, il quale comandò: «Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà» (Es 20,12). Questa possibilità non c’è stata per tante vostre famiglie, è venuta meno quando i figli sono stati separati dai genitori e il proprio Paese è stato avvertito come pericoloso ed estraneo. Quelle assimilazioni forzate rievocano un’altra pagina biblica, il racconto del giusto Nabot (cfr 1 Re, 21), che non voleva cedere la vigna ereditata dai suoi padri a chi, governando, era disposto a usare ogni mezzo pur di strappargliela. E vengono pure alla mente quelle parole forti di Gesù contro chi scandalizza i piccoli e disprezza uno solo di loro (cfr Mt 18,6.10). Quanto male nello spezzare i legami tra genitori e figli, nel ferire gli affetti più cari, nel danneggiare e scandalizzare i piccoli!

Cari amici, siamo qui con la volontà di percorrere insieme un tragitto di guarigione e di riconciliazione che, con l’aiuto del Creatore, ci aiuti a fare luce sull’accaduto e a superare il passato oscuro. A proposito di sconfiggere l’oscurità, anche ora, come nel nostro incontro di fine marzo, avete acceso il qulliq. Esso, oltre a dare luce durante le lunghe notti invernali, permetteva, diffondendo calore, di resistere al rigore del clima: era dunque essenziale per vivere. Anche oggi permane un bellissimo simbolo di vita, di un vivere luminoso che non si arrende alle oscurità della notte. Così siete voi, testimonianza perenne della vita che non si spegne, di una luce che risplende e che nessuno è riuscito a soffocare.

Sono colmo di gratitudine per l’opportunità di essere qui nel Nunavut, all’interno dell’Inuit Nunangat. Ho provato a immaginare, dopo il nostro incontro a Roma, questi luoghi vasti che abitate da tempi immemorabili e che per altri sarebbero ostili. Voi avete saputo amarli, rispettarli, custodirli e valorizzarli, tramandando di generazione in generazione valori fondamentali, quali il rispetto per gli anziani, un genuino senso di fraternità e la cura per l’ambiente. C’è una bella e armoniosa corrispondenza tra voi e la terra che abitate, perché anch’essa è forte e resiliente, e risponde con tanta luce al buio che per gran parte dell’anno la avvolge. Ma pure questa terra, come ogni persona e popolazione, è delicata e occorre prendersene cura. Prendersi cura, tramandare la cura: a questo in particolare sono chiamati i giovani, sostenuti dall’esempio degli anziani! Cura per la terra, cura per le persone, cura per la storia.

Vorrei allora rivolgermi a te, giovane Inuit, futuro di questa terra e presente della sua storia. Vorrei dirti, citando un grande poeta: «Ciò che hai ereditato dai padri, riconquistalo se vuoi possederlo davvero» (J.W. von Goethe, Faust, I, Nacht). Non basta vivere di rendita, occorre riconquistare quanto si è ricevuto in dono. Non temere, dunque, di ascoltare e riascoltare i consigli dei più anziani, di abbracciare la tua storia per scriverne pagine nuove, di appassionarti, di prendere posizione davanti ai fatti e alle persone, di metterti in gioco! E per aiutarti a far risplendere la lampada della tua esistenza, vorrei darti anch’io, come fratello anziano, tre consigli.

Il primo: cammina verso l’alto. Abiti queste vaste regioni del nord. Che esse ti ricordino la tua vocazione a tendere verso l’alto, senza lasciarti trascinare in basso da chi vuol farti credere che sia meglio pensare solo a te stesso e usare il tempo che hai unicamente per il tuo svago e i tuoi interessi. Amico, non sei fatto per vivacchiare, per passare le giornate bilanciando doveri e piaceri, sei fatto per librarti verso l’alto, verso i desideri più veri e belli che porti nel cuore, verso Dio da amare e il prossimo da servire. Non pensare che i grandi sogni della vita siano cieli irraggiungibili. Sei fatto per spiccare il volo, per abbracciare il coraggio della verità e promuovere la bellezza della giustizia, per “elevare la tua tempra morale, essere compassionevole, servire gli altri e costruire relazioni” (cfr Inunnguiniq Iq Principles 3-4), per seminare pace e cura dove ti trovi; per accendere l’entusiasmo di chi ti vive accanto; per andare oltre, non per livellare tutto quanto.

Ma – potresti dirmi – vivere così è più arduo che volare. Certo, non è facile, perché è sempre in agguato quella “forza di gravità spirituale” che spinge per trascinarci in basso, paralizzare i desideri, affievolire la gioia. Allora, pensa alla rondine dell’artico che noi chiamiamo “charrán”: essa non lascia che i venti contrari o gli sbalzi di temperatura le impediscano di andare da un’estremità all’altra della terra; a volte sceglie vie che non sono dirette, accetta deviazioni, si adatta a certi venti… ma sempre mantiene chiara la meta, sempre va verso la destinazione. Incontrerai gente che proverà ad azzerare i tuoi sogni, che ti dirà di accontentarti di poco, di lottare solo per quel che ti conviene. Allora ti chiederai: perché devo darmi da fare per quello in cui gli altri non credono? E ancora: come posso decollare all’interno di un mondo che sembra scendere sempre più in basso tra scandali, guerre, imbrogli, mancanza di giustizia, distruzione dell’ambiente, indifferenza nei riguardi dei più deboli, delusioni da parte di chi dovrebbe dare l’esempio? Di fronte a queste domande, qual è la risposta?

Vorrei dire a te, giovane, a te, fratello, sorella giovane: tu sei la risposta. Tu, fratello, tu, sorella. Non solo perché se ti arrendi hai già perso in partenza, ma perché il futuro è nelle tue mani. Sono nelle tue mani la comunità che ti ha generato, l’ambiente in cui vivi, la speranza dei tuoi coetanei, di chi, anche senza chiedertelo, attende da te il bene originale e irripetibile che puoi immettere nella storia, perché “ciascuno di noi è unico” (cfr Principle 5). Il mondo che abiti è la ricchezza che hai ereditato: amalo, come ti ha amato chi ti ha dato la vita e le gioie più grandi, come ti ama Dio, che per te ha creato ciò che di bello esiste e non smette di fidarsi di te nemmeno per un brevissimo istante. Egli crede nei talenti che ti ha dato. Ogni volta che lo cerchi comprenderai come la via che ti chiama a percorrere tende sempre verso l’alto. Lo avvertirai quando guarderai il cielo pregando e soprattutto quando alzerai lo sguardo al Crocifisso. Capirai che Gesù dalla croce non ti punta mai il dito contro, ma ti abbraccia e ti incoraggia, perché crede in te anche quando tu hai smesso di credere in te stesso. Allora non perdere mai la speranza, lotta, metticela tutta e non te ne pentirai. Vai avanti nel cammino, “passo dopo passo verso il meglio” (cfr Principle 6). Imposta il navigatore della tua esistenza verso una meta grande, verso l’alto!

Il secondo consiglio: vieni alla luce. Nei momenti di tristezza e sconforto, pensa al qulliq: contiene un messaggio per te. Quale? Che esisti per venire alla luce ogni giorno. Non solo il giorno della tua nascita, quando non dipese da te, ma ogni giorno. Quotidianamente sei chiamato a portare nel mondo una luce nuova, quella dei tuoi occhi, del tuo sorriso, del bene che tu e solo tu puoi aggiungervi. Nessun altro può farlo. Ma, per venire alla luce, c’è da lottare ogni giorno con l’oscurità. Sì, c’è uno scontro quotidiano tra luce e tenebre, che non avviene là fuori da qualche parte, ma dentro ciascuno di noi. La via della luce domanda scelte di cuore coraggiose contro il buio delle falsità, chiede di “sviluppare buone abitudini per vivere bene” (cfr Principle 1), di non inseguire scie luminose che spariscono in fretta, fuochi d’artificio che lasciano solo fumo. Sono «illusioni, parodie della felicità», come disse qui in Canada San Giovanni Paolo II: «Non vi è forse tenebra più fitta di quella che si insinua nell’animo dei giovani quando falsi profeti estinguono in essi la luce della fede, della speranza, dell’amore» (Omelia nella XVII Giornata Mondiale della Gioventù, Toronto, 28 luglio 2002). Fratello, sorella, Gesù ti è vicino e desidera illuminare il tuo cuore per farti venire alla luce. Lui ha detto: «Io sono la luce del mondo» (Gv 8,12), ma ha anche detto ai suoi discepoli: «Voi siete la luce del mondo» (Mt 5,14). Anche tu, dunque, sei luce del mondo e lo diventerai sempre di più, se lotti per allontanare dal cuore il triste buio del male.

Per imparare a farlo, c’è da apprendere un’arte continua, che richiede di “superare le difficoltà e le contraddizioni attraverso una continua ricerca di soluzioni” (cfr Principle 2). È l’arte di separare ogni giorno la luce dalle tenebre. Per creare un mondo buono, dice la Bibbia, Dio cominciò proprio così, separando la luce dalle tenebre (cfr Gen 1,4). Anche noi, se vogliamo diventare migliori, dobbiamo imparare a distinguere la luce dalle tenebre. Da dove si comincia? Puoi iniziare chiedendoti: che cosa mi appare luccicante e seducente, ma poi mi lascia dentro un grande vuoto? Questo è tenebra! Che cosa, invece, mi fa bene e mi lascia pace nel cuore, anche se prima mi chiede di uscire da certe comodità e dominare certi istinti? Questo è luce! E – mi domando ancora – qual è la forza che ci permette di separare dentro di noi la luce dalle tenebre, che ci fa dire “no” alle tentazioni del male e “sì” alle occasioni di bene? È la libertà. Libertà che non è fare tutto quello che mi pare e mi piace; non è quello che posso fare nonostante gli altri, ma per gli altri; non è totale arbitrio, ma responsabilità. La libertà è il dono più grande che il nostro Padre nei cieli ci ha dato insieme alla vita.

Infine, il terzo consiglio: fai squadra. I giovani fanno grandi cose insieme, non da soli. Perché voi giovani siete come le stelle del cielo, che qui brillano in modo stupendo: la loro bellezza nasce dall’insieme, dalle costellazioni che compongono, e che danno luce e orientamento alle notti del mondo. Anche voi, chiamati alle altezze del cielo e a splendere in terra, siete fatti per brillare insieme. Bisogna permettere ai giovani di fare gruppo, di stare in movimento: non possono passare le giornate isolati, tenuti in ostaggio da un telefono! I grandi ghiacci di queste terre mi fanno venire in mente lo sport nazionale del Canada, l’hockey su ghiaccio. Come riesce il Canada a conquistare tutte quelle medaglie olimpiche? Come hanno fatto Sarah Nurse o Marie-Philip Poulin a segnare tutti quei gol? L’hockey coniuga bene disciplina e creatività, tattica e fisicità; ma a fare la differenza è sempre lo spirito di squadra, presupposto indispensabile per affrontare le imprevedibili circostanze di gioco. Fare squadra significa credere che per raggiungere grandi obiettivi non si può andare avanti da soli; occorre muoversi insieme, avere la pazienza di intessere fitte reti di passaggi. Significa pure lasciare spazio agli altri, uscire velocemente quand’è il proprio turno e fare il tifo per i compagni. Ecco lo spirito di squadra!

Amici, camminate verso l’alto, venite alla luce ogni giorno, fate squadra! E fate tutto questo nella vostra cultura, nel bellissimo linguaggio Inuktitut. Vi auguro, ascoltando gli anziani e attingendo alla ricchezza delle vostre tradizioni e della vostra libertà, di abbracciare il Vangelo custodito e tramandato dai vostri antenati e di incontrare il volto Inuk di Gesù Cristo. Io vi benedico di cuore e vi dico: qujannamiik! [grazie!]

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