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sabato 16 luglio 2022

Oreste Aime - VALE ANCORA LA PENA ANNUNCIARE IL VANGELO?

Oreste Aime
VALE ANCORA LA PENA ANNUNCIARE IL VANGELO?


Marc Chagall, Crocifissione bianca, 1938, part. Chicago Art Institute.

Anche se sono centrali e portanti per la vita della chiesa, ci sono questioni che non emergono o lo fanno in modo inadeguato o insufficiente. Oggi la più importante riguarda la trasmissione del Vangelo e della fede.

Una domanda per i Pastori e per la comunità

Non è eccessivo parlare di inattualità e di estraneità del Vangelo nel nostro tempo. È un fatto che si può registrare quasi quotidianamente, soprattutto se si esce dai momenti rituali che in qualche modo cadenzano ancora la vita sociale con un rivestimento religioso. Il riscontro più immediato potrebbe esser quanto pensano i giovani a proposito del cristianesimo, sia per scelta personale sia per condizionamento sociale, e non solo su un più o meno vago orientamento religioso.

Il rovescio della questione, non meno importante, può essere sintetizzato con uno slogan: vale ancora la pena annunciare oggi il Vangelo? E perché? Con quali implicazioni? O altrimenti detto: se venisse meno il Vangelo, che ne sarebbe della nostra vita e del mondo? A che serve la comunità cristiana? Queste domande non riguardano la società più o meno estranea alla fede, ma la comunità dei credenti, a partire dagli stessi Pastori.

Evangelizzazione, secolarizzazione, nichilismo

La domanda non è nuova; è comparsa, con forza e urgenza diverse, in alcuni momenti del Novecento, già ai suoi inizi e poi in particolare nel 1943 con France, pays de mission?, e di lì in avanti, forse con minore evidenza e incisività, in altre occasioni. Incentrando il suo lavoro sulla chiesa e il suo mistero, il Vaticano II registra solo marginalmente la domanda, anche se questa inquieta la costituzione Gaudium et spes con il problema dell’ateismo per quanto in termini soprattutto difensivi.

Nei decenni successivi l’accento si sposta sulla secolarizzazione, che molti danno per compiuta o quasi, come un destino ineluttabile. Il fenomeno, diffuso ovunque, tocca soprattutto l’Europa, meno altre zone del mondo, così sembra, e si presta a interpretazioni teoriche e pratiche diverse.

Meno avvertito, perché più impalpabile ma anche più subdolo, è il fenomeno del nichilismo che si infiltra ovunque, anche nel dominio religioso. In ogni caso nella seconda metà del Novecento, ancora da capire nei suoi motivi e nelle sue conseguenze, una frattura è avvenuta e questa si sta acuendo negli ultimi due decenni, nonostante si parli ormai di epoca post-secolare, con il rischio di archiviare quella fase. L’attuale post-cristianità e post-secolarità è anche frutto di una dissolvenza che andrebbe precisata in molti suoi fattori; la religione non è più cemento sociale e culturale e ciò coinvolge il cristianesimo nella misura in cui vi si deposita.

Un tema da porre al centro della riflessione pastorale

In Italia la questione non ha mai costituito il centro della riflessione e della proposta pastorale della Chiesa italiana, nonostante il richiamo all’evangelizzazione e poi alla missione sia più volte risuonato; questi temi sono stati spesso sottovalutati sia in nome della tesi della persistenza di un popolo cattolico sia in funzione del privilegio da accordare alla presenza della chiesa nella società sia nell’articolazione con altre dimensioni indispensabili (evangelizzazione e promozione umana, evangelizzazione e sacramenti – l’attenzione di fatto si concentrava sul secondo termine).

Ci sono stati periodi in cui persino la parola evangelizzazione poteva creare disappunto, se non sospetto; al proposito andrebbe ricostruita la storia e l’uso della formula della “nuova evangelizzazione”. In alcuni momenti, di fronte alla denuncia di una palese situazione di crisi, sono state mobilitate reazioni contrarie e rassicuranti. Fino ad oggi non è mai stata avviata una ricerca seria sul modo di sentire e vivere la fede in tutte le sue dimensioni qui e ora.

A tutto ciò s’aggiunge una crisi ecclesiale di altra natura, che ha nello scandalo degli abusi e nel clericalismo le sue due punte acuminate e nella questione del potere il suo nucleo oscuro. Il rarefarsi delle vocazioni presbiterali e religiose e la fine della mobilitazione laicale incidono sul concreto slancio missionario e favoriscono una concezione residuale della comunità cristiana o un ripiegamento a salvaguardia di sé. L’attuale fase sinodale, che ruota attorno a riforma e sinodalità, potrebbe ancora una volta dirottare l’attenzione su aspetti che, pur importanti, evitano di affrontare la domanda cruciale.

Dove e come il Vangelo è assente?

Il tema della missione è costitutivo della vita della chiesa; l’ecclesiologia ne ha preso definitivamente atto, è “il suo dono” (Roberto Repole). È stato un passo indispensabile sul piano teologico ma forse non sufficiente su quello “pastorale”.

In ogni comunicazione – e anche la missione lo è – si deve tener conto del messaggio, dell’emittente e del destinatario, del contesto e del contatto, delle modalità di esecuzione e dell’aspetto poetico. Nel caso del Vangelo, riconosciuta l’origine divina e non disponibile del messaggio, anche l’emittente umano è innanzitutto un destinatario, il primo.

Lo slogan “chiesa in uscita”, se mal compreso, può farlo dimenticare, facendo pensare che il Vangelo è ad extra della chiesa e non, prima ancora, ad intra. “I confini della terra attraversano il nostro cuore”, diceva Madeleine Delbrêl; se non arriva lì, il Vangelo troverà difficoltà ad arrivare altrove. E non deve mancare l’onesta e pregiudiziale domanda: dove e come il Vangelo è assente nella vita della chiesa e dei credenti?

L’impulso di Francesco, depotenziato

Un forte impulso al tema dell’evangelizzazione è venuto da papa Francesco che ne ha fatto il motivo propulsore del suo magistero a partire dall’Evangelii gaudium, intrecciandolo successivamente con la cura della casa comune e la fraternità universale.

Quanto questo impulso è diventato efficace nella chiesa italiana? Quali reali “novità” ha apportato? Se l’impressione non è sbagliata, si può dire che l’impulso è arrivato abbastanza attenuato nella riflessione e nella pratica. Un’ulteriore e più precisa verifica si potrà trarre dalla fase sinodale in corso, purché l’eventuale creatività sia innanzitutto accolta sul piano locale e la narrazione non si dissolva nei desiderata. L’insidia del bel documento senza ricadute è costante.

Ciò che riguardo al Vangelo è vero sempre, oggi ha una valenza nuova. Percepirne la differenza diventa essenziale.

Capire il frantumarsi del cristianesimo

Dal punto di vista storico, bisognerebbe riprendere il filo di quanto è successo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento – le christianisme éclaté, suggeriva Michel de Certeau cinquant’anni fa, con una diagnosi che andava oltre il contesto francese originario.

La rottura della tradizione non tocca solo chi è uscito dal perimetro della chiesa ma anche chi vi è rimasto, soprattutto se ancorato a moduli in via di dissolvimento.

Per comprenderlo, sarebbe proficuo capire quanto avviene realmente nella trasmissione della fede partendo dalle giovani generazioni e dalle donne. Armando Matteo aveva provato a farlo una decina di anni fa ma ciò che era uno stimolo alla ricerca e alla comprensione è diventato quasi un fastidio, sostituito talvolta con qualcosa di più rassicurante. Le inchieste forse non approdano ai punti cruciali, ma, se ben condotte e ad ampio raggio, possono aiutare a circoscriverli purché passino attraverso il confronto e il dibattito aperto.

Il nostro tempo, quello più recente, è diventato per tanti aspetti impermeabile alla forza del Vangelo, e non è estraneo ad un inquietante e insopprimibile quesito apocalittico (Luca 18, 8); d’altro canto c’è qualcosa di inadempiente nel modo di presentarlo e di proporlo, non tanto sul piano catechetico e dottrinale, quanto nella forma di vita in cui dovrebbe incarnarsi. Sempre de Certeau proponeva di trattarne, trasformando la rottura in “rottura instauratrice”. Solo la presa d’atto della rottura, nella sua estensione e nelle sue implicazioni, può permettere l’instaurazione – che ora deve far fronte ai cambiamenti indotti dalla ragione digitale, che introducono forme acute di de-simbolizzazione e di de-istituzionalizzazione.

La ricerca è partita

In questa ricerca non si parte da zero, ci sono abbozzi offerti da meditazioni autorevoli. Ne possiamo segnalare due. Timothy Radcliffe ci invita in maniera tanto pacata quanto esigente ad Accendere l’immaginazione (Emi 2021), così da “fuggire dalla reclusione per cercare aria fresca” ed “essere vivi in Dio”. La sfida si gioca sull’immaginazione e sull’immaginare il reale, anche quello ecclesiale. Senza immaginazione, il talento finisce intatto e morto sottoterra. Su un crinale più impegnativo si muove l’estrema riflessione di Maurice Bellet, con Il Messia Crocifisso. Scandalo e follia (Queriniana 2022), nel tentativo di dire e vivere in modo nuovo il messaggio evangelico, su strade non battute e impervie. Per quanto in modo diverso, il Vangelo, scandalo e follia, sapienza e forza, era inattuale tanto a Corinto nel 53/54 d. C. quanto oggi, tanto fuori quanto dentro la comunità cristiana.

Oreste Aime

Presbitero della diocesi di Torino, docente di Filosofia presso la Facoltà teologica di Torino.
    Membro del gruppo Chiccodisenape, aderente alla Rete dei Viandanti

[fonte: Viandanti 12/07/2022]
[L’immagine che correda l’articolo è ripresa dal sito: milanopost.info]