L’approccio criminale europeo
per fermare la migrazione in Libia
(Eric Reidy per il “Rapporto Speciale The New Humanitarian”)
A Libyan coast guardsman stands on a boat during the rescue of 147 illegal immigrants attempting to reach Europe off the coastal town of Zawiyah, 45 kilometres west of the capital Tripoli, on June 27, 2017. More than 8,000 migrants have been rescued in waters off Libya during the past 48 hours in difficult weather conditions, Italy's coastguard said on June 27, 2017. / AFP PHOTO / Taha JAWASHI (Photo credit should read TAHA JAWASHI/AFP/Getty Images)
Ogni giorno l’anno scorso, più di quattro persone sono morte in media nel tentativo di attraversare il Mediterraneo centrale dal Nord Africa all’Europa e circa 90 sono state intercettate dalla Guardia costiera libica sostenuta dall’UE – rimpatriate in centri di detenzione dove devono affrontare un ciclo di torture, estorsioni e abusi sessuali. Quest’anno, con la garanzia di un aumento delle traversate nei caldi mesi estivi, più di 8.200 persone sono già state intercettate dalla Guardia Costiera libica e quasi 700 sono morte o sono scomparse in mare.
Anno dopo anno, le morti e le intercettazioni seguono uno schema consolidato e prevedibile. Ma invece di salvare vite o proteggere i diritti umani di richiedenti asilo e migranti, “i paesi europei si sono impegnati in una corsa al ribasso per mantenere le persone bisognose della nostra protezione fuori dai nostri confini”, Dunja Mijatović, commissario per l’uomo del Consiglio d’Europa Diritti, ha scritto in un rapporto di marzo 2021.
Quella corsa ha comportato il ritiro delle risorse della marina e della guardia costiera europea dalle attività di soccorso nel Mediterraneo centrale, l’ostacolo alle operazioni delle ONG di soccorso e il finanziamento dell’attuazione di progetti di gestione delle frontiere in Libia e Tunisia volti a impedire alle persone di attraversare il mare.
Il sistema che è stato creato da questo processo è “uno degli esempi più lampanti di come le cattive politiche migratorie abbiano violato la legge sui diritti umani e siano costate la vita a migliaia di esseri umani”, secondo il rapporto di Mijatović. Alla richiesta di un commento, Peter Stano, portavoce principale della Commissione europea per gli affari esteri, ha dichiarato a The New Humanitarian via e-mail: “La nostra priorità assoluta è salvare vite in mare e continueremo il nostro lavoro per evitare che questi viaggi rischiosi abbiano luogo”.
Di seguito, mostriamo come il sistema di controllo della migrazione sostenuto dall’UE nel Mediterraneo centrale facilita più intercettazioni da parte della guardia costiera libica e riduce la capacità di ricerca e soccorso, aumentando la probabilità di naufragi e morti.
Come dovrebbe funzionare la ricerca e il salvataggio marittimi
Un centro del comitato di salvataggio nazionale (RCC) di qualsiasi paese europeo che si affaccia sul Mediterraneo, viene a conoscenza di una imbarcazione in pericolo. Il RCC notifica le coordinate dell’imbarcazione a navi vicine o spedisce i propri mezzi di soccorso. Una volta completato il salvataggio, i sopravvissuti vengono sbarcati in un luogo sicuro.
Al contrario questo é il sistema di controllo della migrazione sostenuto dall’Unione Europea nel Mediterraneo centrale per soccorre le imbarcazioni in pericolo. Dopo che una imbarcazione (illegale) lascia le coste libiche tre scenari possono verificarsi. L’imbarcazione viene avvistata e intercettata dalla marina militare del paese europeo più vicina e costretta a ritornare in Libia dove le autorità libiche arrestano i clandestini e li imprigionano nei lager senza verificare se sono migranti economici, rifugiati o richiedenti asilo. Nel caso che l’imbarcazione abbia lanciato un appello di soccorso la marina militare del paese europeo più vicina soccorre i passeggeri riportandoli però in Libia dove vengono arrestati e imprigionati. Nei casi che una imbarcazione della guardia costiera libica sia nelle vicinanze il “lavoro sporco” é affidato a quest’ultima. Il terzo scenario prevede che l’imbarcazione non subisce avarie e non viene intercettata. In questo caso trasporta il “carico” a destinazione fino alla costa europea più vicina, solitamente le coste italiane. Le situazioni in mare sono complesse e molti di questi scenari possono svolgersi contemporaneamente. Dal 2018 l’Unione Europea e i singoli Stati membri hanno stanziato ingenti fondi non per rendere più efficace il salvataggio in mare ma l’intercettazione delle imbarcazioni e per far fare il lavoro sporco ai libici con la cinica consapevolezza che le autorità libiche sono accusate di gravi violazioni dei diritti umani. Ora la maggioranza degli intercettamenti (non soccorsi, nota bene) vengono fatti dalla Guardia costiera libica anche fuori dalle acque territoriali della Libia.
Come siamo arrivati qui?
La situazione nel Mediterraneo centrale «non è una tragica anomalia», secondo un recente rapporto dell’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (OHCHR), «ma piuttosto una conseguenza di concrete decisioni e prassi politiche delle autorità libiche, Stati membri e istituzioni dell’Unione Europea e altri attori”.
Al culmine della crisi migratoria mediterranea nel novembre 2015, gli Stati membri della UE hanno presentato un piano d’azione per una “migliore gestione della migrazione” durante un vertice tra i paesi europei e africani a Malta e hanno lanciato un meccanismo di finanziamento – il Fondo fiduciario dell’UE per l’Africa – per finanziare i suoi obiettivi.
Come una delle sue priorità, il piano invitava gli Stati membri e le istituzioni della UE a migliorare le capacità dei paesi di “controllare le frontiere terrestri, marittime e aeree, nonché le capacità di sorveglianza marittima ai fini della prevenzione della migrazione irregolare”.
Per realizzare questo obiettivo in Libia, l’Unione Europea e gli Stati membri – in particolare l’Italia – hanno speso negli ultimi anni decine di milioni di euro per:
- Fornire motovedette, addestramento e supporto alla Guardia Costiera libica per intercettare i richiedenti asilo e i migranti in mare, compresa la riparazione delle barche della Guardia Costiera libica donate quando necessitano di manutenzione.
- Guidare le autorità libiche attraverso il processo di dichiarazione di una regione di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale, dove la Libia ha la responsabilità primaria di coordinare la risposta alle imbarcazioni in pericolo: questo è stato riconosciuto a livello internazionale nel giugno 2018.
- Istituire un Centro di coordinamento del soccorso libico per supervisionare le attività nella regione di ricerca e soccorso appena dichiarata della Libia. Nonostante il sostegno, gruppi per i diritti umani, ONG e giornalisti affermano che il centro ufficiale di coordinamento dei soccorsi libico in realtà non esiste e la Guardia costiera libica riceve invece informazioni sulle barche in mare tramite un centro di comando mal attrezzato in una base militare a Tripoli.
Dalla dichiarazione della regione di ricerca e soccorso libica, l’UE e gli Stati membri dell’UE hanno contribuito a facilitare l’intercettazione delle barche da parte della guardia costiera libica in tre modi principali. Riducendo al minimo le navi predisposte al salvataggio nel Mediterraneo
Raddoppiando le loro risorse navali militari nel Mediterraneo trasferendo alla Guardia costiera libica la responsabilità del coordinamento delle risposte alle imbarcazioni in pericolo. Aumentando i fondi alla agenzia di frontiera della UE (FRONTEX) per farla diventare sempre più attiva nel condurre la sorveglianza aerea per rilevare la partenza di barche che trasportano richiedenti asilo e migranti dalla Libia, inizialmente utilizzando aerei e passando ai droni d’alta quota a partire da maggio di quest’anno. Ostacolando le operazione di ricerca e soccorso delle ONG attraverso l’uso dissuasivo di navi e aerei militari, indagini penali e procedure amministrative che hanno reso difficile per le ONG mantenere la loro presenza in mare.
L’ultimo audit dell’Agenzia per i diritti fondamentali dell’UE, nel dicembre 2021, ha rilevato che dal 2016 sono stati avviati circa 35 procedimenti legali contro imbarcazioni di ONG che operano nel Mediterraneo centrale, ostacolando la loro capacità di effettuare soccorsi per periodi di tempo variabili. Nello stesso periodo solo 3 “trasportatori” sono stati intercettati e arrestati. Si ha l’impressione che la UE riesca a lottare efficacemente solo contro le imbarcazioni abbandonate di migranti e le navi di salvataggio delle ONG.
Nonostante che la lotta contro i trafficanti di esseri umani sembra deficitaria la Commissione europea afferma che sia ingiusto, anzi scorretto, incolpare l’Unione Europea per le sofferenze dei migranti che tentano di attraversare il Mediterraneo dalla Libia. Ma gli osservatori dei diritti umani, i ricercatori incaricati dal Parlamento europeo, le ONG di ricerca e soccorso e gli attivisti affermano che Italia, Malta e l’agenzia di frontiera della UE cercano di fare delle autorità libiche il primo punto di contatto quando le barche partono per l’Europa, tagliando i soccorritori civili – quando sono in grado di raggiungere il mare, fuori dai canali di comunicazione nella maggior parte dei casi.
I paesi europei sono anche lenti – e talvolta falliscono – nel mobilitare le proprie risorse di ricerca e soccorso per assistere le barche in pericolo. Di conseguenza, barche di migranti e richiedenti asilo vengono intercettate più spesso dalla Guardia costiera libica, che a volte (come è stato documentato) apre il fuoco, speronando e capovolgendo le barche che dovrebbe salvare con il chiaro intento di uccidere i passeggeri.
Le persone intercettate che non sono oggetto di attacchi da parte della Guardia costiera libica, vengono riportate in Libia, dove vengono automaticamente detenute in centri ufficiali pieni di abusi, o scomparse a migliaia in oscure strutture semi-ufficiali dove sono fuori dalla portata delle organizzazioni internazionali. Le barche che non vengono intercettate vengono lasciate a trascorrere più tempo in mare, aumentando la probabilità di naufragi e di persone di morire per l’esposizione alle intemperie.
Dal 2017, quando l’UE e i suoi Stati membri hanno iniziato ad attuare il piano d’azione per una “migliore gestione della migrazione”, più di 92.000 persone sono state intercettate dalla guardia costiera libica sostenuta dalla UE e più di 8.600 altre sono morte o scomparse nel centro Mediterraneo.
Eric Reidy per il Rapporto Speciale “The New Humanitarian” (traduzione di Fulvio Beltrami)
(fonte: Faro di Roma 10/07/2022)