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giovedì 14 luglio 2022

Nell’ultimo giorno di Eugenio Scalfari rileggiamo una sua intervista del 2018 a Papa Francesco non ufficiale e molto discussa

La vita dopo la morte secondo Eugenio Scalfari e Papa Francesco. 
“Non esiste nessuna punizione divina”


Quattro anni fa, nella Settimana Santa 2018, ha fatto molto discutere una frase sulla vita dopo la morte attribuita da Scalfari a Papa Francesco: le anime peccatrici, avrebbe detto il Papa, “non vengono punite, quelle che si pentono ottengono il perdono di Dio e vanno tra le fila delle anime che lo contemplano, ma quelle che non si pentono e non possono quindi essere perdonate scompaiono. Non esiste un inferno, esiste la scomparsa delle anime peccatrici”.
La Sala Stampa fu costretta a precisare che “si trattava di “un incontro privato in occasione della Pasqua”. Il Pontefice cioè non intendeva “rilasciargli alcuna intervista”. “Quanto riferito dall’autore nell’articolo – dunque – è frutto della sua ricostruzione, in cui non vengono citate le parole testuali pronunciate dal Papa. E nessun virgolettato dell’articolo deve essere considerato quindi come una fedele trascrizione delle parole del Santo Padre”.

In realtà quello sull’Inferno è un dibattito teologico aperto e probabilmente Papa Francesco ritenne saggio non schierarsi nella conversazione con l’anziano giornalista. Ma in effetti l’espressione utilizzata dal fondatore di Repubblica non è affatto eterodossa né eretica. In ogni caso quella volta i difensori dell’Inferno sono insorti e hanno ottenuto la precisazione. 

Ma nell’ultimo giorno di Eugenio Scalfari è molto interessante rileggere quell’intervista non ufficiale in cui furono toccati argomenti come la creazione, la caduta e la salvezza. L’Europa, l’Africa e il Sudamerica. La modernità e le sue contraddizioni. La religione e i suoi rapporti con i laici. La politica e la morale. Nella settimana santa 2018 Papa Bergoglio dialogò a tutto campo con il fondatore di “Repubblica”.


Questa è la settimana di passione secondo la storia cristiana, che tocca il suo culmine con l’ultima cena, il tradimento di Giuda, l’arresto di Gesù, il colloquio con Pilato e poi la crocifissione, la morte e il suono a distesa delle campane in tutte le chiese del mondo dove si festeggia il resurrexit. Così si conclude la storia di tre anni di predicazione del figlio di Maria e di Giuseppe della tribù di David, che in tre anni ha fondato una religione che in qualche modo continua quella ebraica della Bibbia, ma con nuovi principi che in quei tre anni hanno gettato il seme di una rivoluzione religiosa, ma anche sociale e politica nel bene e nel male, nel peccato e nel perdono, nei delitti e nella misericordia. 

Martedì pomeriggio ho incontrato papa Francesco su suo invito al pianoterra del palazzo di Santa Marta in Vaticano, dove il Papa vive e riceve gli amici. Ho il privilegio di essergli amico. Ci siamo incontrati cinque volte: in una di queste ero con tutta la mia famiglia. Le altre quattro abbiamo parlato di tutto. Un non credente e il Papa, vescovo di Roma sul seggio di Pietro e ispirato soprattutto dalle lettere di Paolo, che trasformò il cristianesimo in una religione destinata ad essere la più seguita, insieme a quella musulmana, con la quale Francesco ha cercato e cerca ancora la fratellanza in nome di un Dio Unico al quale tutte le religioni debbono ispirarsi. 
Ci telefoniamo spesso, il Papa ed io, per scambiarci notizie l’uno dell’altro, ma qualche volta ci ritroviamo di nuovo insieme e parliamo a lungo. Di religione e di politica. 

Questa, dicevo, è la settimana chiamata della “passione”. Gesù e i suoi dodici apostoli arrivano a Gerusalemme accolti da una folla festante, la stessa che, dopo l’interrogatorio con Pilato, sarà chiamata a dire chi merita d’essere liberato tra Cristo e Barabba, che è già nelle galere romane di Gerusalemme. Gesù non è ancora stato arrestato e decide di avviarsi verso il giardino chiamato Getsemani seguito dagli apostoli, li ferma e dice loro di aspettarlo. S’inoltra in quel giardino dove a un certo punto è completamente solo, si rivolge al Padre e dice: «Se vuoi e puoi, non farmi bere questo calice amaro, ma se non vuoi lo berrò fino in fondo». Non ottiene alcuna risposta e comprende che il Padre non lo salverà. Nel frattempo, guidati da Giuda, arrivano le guardie e i legionari inviati dai sommi sacerdoti che prendono Gesù e lo portano in tribunale. Di lì, dopo avere ascoltato anche il parere dei massimi sacerdoti di Gerusalemme, la sentenza della crocifissione è definitiva e si svolge come sappiamo sulla collina del Golgota. 

Tutto questo, chiedo a papa Francesco, deriva dalla cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre, dal loro esilio sulla terra dove da allora viviamo? Quindi la creazione non è quella splendidamente dipinta da Michelangelo sul soffitto della Sistina, ma avviene quando Dio vede che Adamo ed Eva avevano ceduto alle lusinghe di un diavolo serpente, e hanno infranto l’unico divieto che gli era stato posto. La vera creazione dunque è nella loro cacciata dal Paradiso terrestre, è quella la creazione? 

Francesco ascolta questa mia domanda e poi mi risponde in modo completamente diverso da quello che di solito viene raccontato. 

«La creazione – mi dice – non si compie in questo modo descritto. Il Creatore, cioè il Dio nell’alto dei cieli, ha creato l’universo intero e soprattutto l’energia che è lo strumento con il quale il nostro Signore ha creato la terra, le montagne, il mare, le stelle, le galassie e le nature viventi e perfino le particelle e gli atomi e le diverse specie che la natura divina ha messo in vita. Ciascuna specie dura migliaia o forse miliardi di anni, ma poi scompare. L’energia ha fatto esplodere l’universo che di tanto in tanto si modifica. Nuove specie sostituiscono quelle che sono scomparse ed è il Dio creatore che regola questa alternanza». 

Santità, nel nostro precedente incontro lei mi disse che la nostra specie ad un certo punto scomparirà e Dio sempre dal suo seme creativo creerà altre specie. Lei non mi ha mai parlato di anime che sono morte nel peccato e vanno all’inferno per scontarlo in eterno. Lei mi ha parlato invece di anime buone e ammesse alla contemplazione di Dio. Ma le anime cattive? Dove vengono punite? 

«Non vengono punite, quelle che si pentono ottengono il perdono di Dio e vanno tra le fila delle anime che lo contemplano, ma quelle che non si pentono e non possono quindi essere perdonate scompaiono. Non esiste un inferno, esiste la scomparsa delle anime peccatrici». 

Santità, lei, Papa o Vescovo di Roma come preferisce chiamarsi, si occupa anche di politica? 

«Lei intende di politica religiosa?». 

Santità, la politica è politica, si occupa del genere umano. Per un Papa ha sempre un carattere religioso, ma non soltanto. Del resto lei mi ha sempre detto che in una Chiesa che cerca d’incontrarsi con la modernità – e lei si è assunto questo compito – come il Concilio Vaticano II ha prescritto, la politica è al tempo stesso religiosa e laica. Lei da quando segue con attenzione i suoi doveri riconosce la modernità come un traguardo da raggiungere. Da dove parte questo chiarimento? 

«Storicamente direi che la modernità parte da un punto di vista ateo e culturale da Michel de Montaigne. Una lettura quasi necessaria. L’inizio dell’Illuminismo è Montaigne. Poi continua fino a Kant attraverso una serie di passaggi che naturalmente non si fermano a lui. Ma il confine della modernità che io considero non spetta a me indagarlo, comunque è bene conoscerlo. Il rappresentante della cristianità deve fare attenzione ad altri problemi. Per esempio all’educazione dei giovani. In certi casi cercano di lavorare e fanno bene, ma lavorare non è sufficiente, il lavoro va incoraggiato, ma insieme ad esso c’è un altro sentimento altrettanto necessario e forse ancora più importante: il sentimento di amore verso il prossimo, la propria famiglia, la propria città. Insisto soprattutto sull’amore verso il prossimo. La Chiesa si estende ad una santità civile e cristiana nel senso più ampio. 
La religione per me è di grande importanza, ma sono consapevole che il senso religioso lo si può avere in casa anche senza praticarlo. Oppure si pratica una religione ma soltanto nei suoi rituali e non con il cuore e con l’anima. Se devo dire dove oggi è più forte la religiosità indicherei le masse di popoli del Sudamerica, delle pianure dell’America del Nord, l’Oceania e la fascia dell’Africa da est a ovest. L’Africa è un continente agitato e tormentato, va molto aiutato. È da lì che sono partite le masse di schiavi con il loro carico di sofferenza». 

E l’Europa, Santità? 

«L’Europa deve rafforzarsi, politicamente e moralmente. Ci sono anche qui molti poveri e molti immigrati. Abbiamo detto di voler conoscere la modernità pure nelle sue cadute. L’Europa è un continente che per secoli ha combattuto guerre, rivoluzioni, rivalità e odio, perfino nella Chiesa. Ma è stata anche una terra dove la religiosità raggiunse il suo massimo e proprio per questo io ho assunto il nome di Francesco: quello è uno dei grandi esempi della Chiesa che va compreso e imitato»

Lei, Santità, si ricorderà che io spesso, quando scrivo di lei, la chiamo rivoluzionario. 

«Sì, lo so ed è una parola che mi onora nel senso in cui la dice. Lei, per quanto so, compie gli anni tra pochi giorni. Le faccio molti auguri e vediamoci di nuovo presto». 

Mi ha accompagnato fino al portone, ci siamo abbracciati davanti a due guardie svizzere irrigidite sull’attenti e poi lui ha aspettato che la macchina partisse lanciandomi un bacio con le dita al quale nello stesso modo ho risposto. 
Tornando a casa mi sono inconsapevolmente venute in mente le frasi di Salvini, Berlusconi, Renzi e Di Maio e mi ha preso un senso di profonda tristezza. Sabato dovrò occuparmi di loro, ma la sciolta delle campane mi farà pensare all’uomo Gesù di Nazareth. Un uomo e non più che un uomo. Qualcuno che a lui pensa e gli somiglia c’è nella società dei nostri tempi. La politica purtroppo è ridotta al caso. Rimpiango i tempi di Platone. Se noi fossimo come lui; ma purtroppo non c’è speranza.