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mercoledì 27 luglio 2022

26/07/2022 VIAGGIO APOSTOLICO DI PAPA FRANCESCO IN CANADA - Pellegrinaggio Lac Ste. Anne e Liturgia della Parola - Il Papa: la Chiesa ha bisogno di guarigione. Madri e nonne aiutano a risanare le ferite

VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ FRANCESCO
IN CANADA
(24 - 30 LUGLIO 2022)

PARTECIPAZIONE AL “LAC STE. ANNE PILGRIMAGE”
 E LITURGIA DELLA PAROLA 

"Lac Ste. Anne"
Martedì, 26 luglio 2022



OMELIA DEL SANTO PADRE


Cari fratelli e sorelle, âba-wash-did! Tansi! Oki! [buongiorno]

È bello per me essere qui, pellegrino con voi e in mezzo a voi. In questi giorni, oggi specialmente, sono stato colpito dal suono dei tamburi che mi hanno accompagnato ovunque sono andato. Questo battito dei tamburi mi sembrava echeggiare il battito di molti cuori: i cuori che, nei secoli, hanno vibrato presso queste acque; i cuori di tanti pellegrini che hanno scandito insieme il passo per raggiungere questo “lago di Dio”! Qui si può veramente cogliere il battito corale di un popolo pellegrino, di generazioni che si sono messe in cammino verso il Signore per sperimentare la sua opera di guarigione. Quanti cuori sono giunti qui desiderosi e ansimanti, gravati dai pesi della vita, e presso queste acque hanno trovato la consolazione e la forza per andare avanti! Anche qui, immersi nel creato, c’è un altro battito che possiamo ascoltare, quello materno della terra. E così come il battito dei bimbi, fin dal grembo, è in armonia con quello delle madri, così per crescere da esseri umani abbiamo bisogno di cadenzare i ritmi della vita a quelli della creazione che ci dà vita. Riandiamo così oggi alle nostre sorgenti di vita: a Dio, ai genitori e, nel giorno e nella casa di Sant’Anna, ai nonni, che saluto con grande affetto.

Trasportati da questi battiti vitali, siamo ora qui, in silenzio, contempliamo le acque di questo lago. Esso ci aiuta a tornare anche alle fonti della fede. Ci permette infatti di peregrinare idealmente fino ai luoghi santi: di immaginare Gesù, che svolse gran parte del suo ministero proprio sulle rive di un lago, il Lago di Galilea. Lì scelse e chiamò gli Apostoli, proclamò le Beatitudini, narrò il maggior numero di parabole, compì segni e guarigioni. Ora, quel lago costituiva il cuore della «Galilea delle genti» (Mt 4,15), una zona periferica, di commercio, dove confluivano svariate popolazioni, colorando la regione di tradizioni e culti disparati. Si trattava del luogo più distante, geograficamente e culturalmente, dalla purezza religiosa, che si concentrava a Gerusalemme, presso il tempio. Possiamo dunque immaginare quel lago, chiamato mare di Galilea, come un condensato di differenze: sulle sue rive si incontravano pescatori e pubblicani, centurioni e schiavi, farisei e poveri, uomini e donne delle più variegate provenienze ed estrazioni sociali. Lì, proprio lì, Gesù predicò il Regno di Dio: non a gente religiosa selezionata, ma a popolazioni diverse che accorrevano da più parti come oggi, predicò accogliendo tutti in un teatro naturale come questo. Dio elesse quel contesto poliedrico ed eterogeneo per annunciare al mondo qualcosa di rivoluzionario: per esempio, “porgete l’altra guancia, amate i nemici, vivete da fratelli per essere figli di Dio, Padre che fa splendere il sole sui buoni e sui cattivi e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti” (cfr Mt 5,38-48). Così proprio quel lago, “meticciato di diversità”, divenne la sede di un inaudito annuncio di fraternità; di una rivoluzione senza morti e feriti, la rivoluzione dell’amore. E qui, sulle rive di questo lago, il suono dei tamburi che attraversa i secoli e unisce genti diverse, ci riporta fino ad allora. Ci ricorda che la fraternità è vera se unisce i distanti, che il messaggio di unità che il Cielo invia in terra non teme le differenze e ci invita alla comunione, alla comunione delle differenze, per ripartire insieme, perché tutti – tutti! – siamo pellegrini in cammino.

Fratelli, sorelle, pellegrini a queste acque, che cosa possiamo attingervi? Ci aiuta a scoprirlo la Parola di Dio. Il profeta Ezechiele ha ripetuto per due volte che le acque fatte scaturire dal tempio, per il popolo di Dio, “danno la vita” e “risanano” (cfr Ez 47,8-9).

Danno la vita. Penso alle nonne che sono qui con noi, tante! Carissime, i vostri cuori sono sorgenti da cui è scaturita l’acqua viva della fede, con la quale avete dissetato figli e nipoti. Mi colpisce il ruolo vitale delle donne nelle comunità indigene: occupano un posto di rilievo in quanto fonti benedette di vita non solo fisica, ma anche spirituale. E, pensando alle vostre kokum, ripenso anche alla mia nonna. Da lei ho ricevuto il primo annuncio della fede e ho imparato che il Vangelo si trasmette così, attraverso la tenerezza della cura e la saggezza della vita. La fede raramente nasce leggendo un libro da soli in salotto, ma si diffonde in un clima familiare, si trasmette nella lingua delle madri, con il dolce canto dialettale delle nonne. Mi scalda il cuore vedere qui tanti nonni e bisnonni. Grazie! Vi ringrazio e vorrei dire a quanti hanno anziani a casa, in famiglia: avete un tesoro! Custodite tra le vostre mura una sorgente di vita; per favore, prendetevene cura, come dell’eredità più preziosa da amare e custodire.

Il profeta diceva che le acque, oltre a dare vita, risanano. Questo aspetto ci riporta sulle rive del lago di Galilea, dove Gesù «guarì molti che erano affetti da varie malattie» (Mc 1,34). Lì, «venuta la sera, gli portavano tutti i malati» (v. 32). Questa sera immaginiamoci attorno al lago con Gesù, mentre Lui si avvicina, si china e, con pazienza, compassione e tenerezza, guarisce tanti malati nel corpo e nello spirito: indemoniati, lebbrosi, paralitici, ciechi, ma anche persone affrante e sfiduciate, smarrite e ferite. Gesù è venuto e viene ancora a prendersi cura di noi, a consolare e risanare la nostra umanità sola e sfinita. A tutti, anche a noi, rivolge lo stesso invito: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro» (Mt 11,28). O, come nel brano che abbiamo ascoltato stasera: «Se qualcuno ha sete, venga a me e beva» (Gv 7,37).

Fratelli, sorelle, tutti noi abbiamo bisogno della guarigione di Gesù, medico delle anime e dei corpi. Signore, come la gente sulle sponde del mare di Galilea non aveva paura di gridarti i suoi bisogni, così noi stasera, Signore, veniamo a te, con il dolore che abbiamo dentro. Ti portiamo le nostre aridità e le nostre fatiche, ti portiamo i traumi delle violenze subite dai nostri fratelli e sorelle indigeni. In questo luogo benedetto, dove regnano l’armonia e la pace, ti presentiamo le disarmonie delle nostre storie, i terribili effetti della colonizzazione, il dolore incancellabile di tante famiglie, nonni e bambini. Signore, aiutaci a guarire le nostre ferite. Sappiamo che ciò richiede impegno, cura e fatti concreti da parte nostra; ma sappiamo pure, Signore, che da soli non ce la possiamo fare. Ci affidiamo a Te e all’intercessione della tua madre e della tua nonna.

Sì, Signore, ci affidiamo all’intercessione della tua madre e della tua nonna, perché le madri e le nonne aiutano a risanare le ferite del cuore. Durante i drammi della conquista, fu la Madonna di Guadalupe a trasmettere la retta fede agli indigeni, parlando la loro lingua, vestendo i loro abiti, senza violenze e senza imposizioni. E poco dopo, con l’arrivo della stampa, vennero pubblicate le prime grammatiche e i primi catechismi in lingue indigene. Quanto bene hanno fatto in questo senso i missionari autenticamente evangelizzatori per preservare in tante parti del mondo le lingue e le culture autoctone! In Canada, questa “inculturazione materna” è avvenuta per opera di sant’Anna, unendo la bellezza delle tradizioni indigene e della fede, e plasmandole con la saggezza di una nonna, che è mamma due volte. Anche la Chiesa è donna, anche la Chiesa è madre. Non c’è infatti mai stato un momento nella sua storia in cui la fede non fosse trasmessa in lingua materna, dalle madri e dalle nonne. Invece, parte dell’eredità dolorosa che stiamo affrontando nasce dall’aver impedito alle nonne indigene di trasmettere la fede nella loro lingua e nella loro cultura. Questa perdita è certamente una tragedia, ma la vostra presenza qui è una testimonianza di resilienza e di ripartenza, di pellegrinaggio verso la guarigione, di apertura del cuore a Dio che risana il nostro essere comunità. Ora tutti noi, come Chiesa, abbiamo bisogno di guarigione: abbiamo bisogno di essere risanati dalla tentazione di chiuderci in noi stessi, di scegliere la difesa dell’istituzione anziché la ricerca della verità, di preferire il potere mondano al servizio evangelico. Cari fratelli e sorelle, aiutiamoci a dare il nostro contributo per edificare con l’aiuto di Dio una Chiesa madre come a Lui piace: capace di abbracciare ogni figlio e figlia; aperta a tutti e che parli a ciascuno e a ciascuna; che non vada contro qualcuno, ma che vada incontro a chiunque.

Le folle del lago di Galilea che facevano ressa attorno a Gesù erano fatte principalmente di gente comune, gente semplice, che portava a Lui i propri bisogni e le proprie ferite. Similmente, se vogliamo prenderci cura e risanare la vita delle nostre comunità, non possiamo che partire dai poveri, dai più emarginati. Troppo spesso ci si lascia guidare dagli interessi di pochi che stanno bene; occorre guardare di più alle periferie e porsi in ascolto del grido degli ultimi; è necessario saper ascoltare il dolore di quanti, spesso in silenzio, nelle nostre città affollate e spersonalizzate, gridano: “Non lasciateci soli!”. È anche il grido di anziani che rischiano di morire da soli in casa o abbandonati presso una struttura, o di malati scomodi ai quali, al posto dell’affetto, viene somministrata la morte. È il grido soffocato di ragazzi e delle ragazze più interrogati che ascoltati, i quali delegano la loro libertà a un telefonino, mentre nelle stesse strade altri loro coetanei vagano persi, anestetizzati da qualche divertimento, in preda a dipendenze che li rendono tristi e insofferenti, incapaci di credere in sé stessi, di amare quello che sono e la bellezza della vita che hanno. Non lasciateci soli è il grido di chi vorrebbe un mondo migliore, ma non sa da dove iniziare.

Gesù, che ci guarisce e consola con l’acqua viva del suo Spirito, stasera nel Vangelo ci chiede che anche da noi, dal grembo di chi crede, “sgorghino fiumi di acqua viva” (cfr v. 38). E noi, sappiamo dissetare le aridità dei fratelli e delle sorelle? Mentre continuiamo a chiedere consolazione a Dio, sappiamo anche darne agli altri? Quante volte ci liberiamo da tanti pesi interiori, per esempio dal non sentirci amati e rispettati, proprio incominciando ad amare gli altri gratuitamente! Nelle nostre solitudini e insofferenze Gesù ci spinge a uscire, ci spinge a dare, ci spinge ad amare. E allora, mi chiedo: che cosa faccio io per chi ha bisogno di me? Guardando alle popolazioni indigene, pensando alle loro storie e al dolore che hanno subito, che cosa faccio io per loro le popolazioni indigene? Ascolto con un po’ di curiosità mondana e mi scandalizzo per quanto accaduto in passato, oppure faccio qualcosa di concreto per loro? Prego, incontro, leggo, mi documento, mi lascio toccare dalle loro storie? E, guardando a me stesso, se mi trovo nella sofferenza, ascolto Gesù che mi vuole portare fuori dal recinto della mia insofferenza e mi invita a ripartire, ad andare oltre, ad amare? A volte, un bel modo per aiutare un’altra persona è quello di non dargli subito ciò che chiede, ma di accompagnarla, di invitarla ad amare, a farsi dono. Perché è in questo modo che, attraverso il bene che potrà fare agli altri, scoprirà i suoi fiumi di acqua viva, scoprirà il tesoro unico e prezioso che è.

Cari fratelli e sorelle indigeni, sono venuto pellegrino anche per dirvi quanto siete preziosi per me e per la Chiesa. Desidero che la Chiesa sia intrecciata tra di noi, come stretti e uniti sono i fili delle fasce colorate che tanti di voi indossano. Il Signore ci aiuti ad andare avanti nel processo di guarigione, verso un avvenire sempre più risanato e rinnovato. Credo sia anche il desiderio delle vostre nonne e dei vostri nonni, dei nostri nonni e delle nostre nonne. I nonni di Gesù, i santi Gioacchino e Anna, benedicano il nostro cammino.

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Il Papa: la Chiesa ha bisogno di guarigione.
Madri e nonne aiutano a risanare le ferite

Francesco partecipa con gli indigeni al pellegrinaggio al Lac Ste. Anne, dove celebra una liturgia della Parola. Sulle rive di questo luogo ritenuto sacro, il Pontefice chiede la guarigione del passato segnato dai “terribili effetti della colonizzazione” e dal “dolore di tante famiglie", ma anche la guarigione di un presente che vede anziani abbandonati e giovani "anestetizzati". Un pensiero alle anziane a cui è stato "impedito di trasmettere la fede nella loro lingua e cultura"


Si presenta come “un pellegrino”, Francesco, sulle rive del Lac Ste. Anne, quello che i Nakota Sioux chiamano Wakamne, “Lago di Dio”, e il popolo Cree Manito Sahkahigan, “Lago dello Spirito”. In queste acque torbide e sacre, meta da secoli di pellegrinaggi delle popolazioni autoctone del Canada che vi si bagnano per invocare dalla madre di Maria la guarigione del corpo, anche il Papa, venuto a celebrare una Liturgia della Parola, implora da Dio la guarigione. La guarigione della memoria, di un passato segnato dai “terribili effetti della colonizzazione” e dal “dolore incancellabile di tante famiglie, nonni e bambini”. La guarigione di un presente che vede anziani a rischio solitudine e abbandono; “malati scomodi” ai quali, al posto dell’affetto, “viene somministrata la morte”; ragazzi anestetizzati da divertimenti e telefonini.

Una supplica a Dio

“Aiutaci a guarire dalle nostre ferite”

Il Pontefice scandisce questa supplica a bassa voce, in spagnolo, dopo aver ribadito agli indigeni quanto essi siano “preziosi” per lui e per tutta la Chiesa. La seconda giornata del “pellegrinaggio penitenziale” del Vescovo di Roma in Canada si conclude quindi nell’Alberta centro-settentrionale, a circa 72 km a ovest di Edmonton, in questa suggestiva area naturale - dichiarata sito storico nazionale dal governo canadese nel 2004 – nota come luogo di guarigione agli indigeni che invocano qui le grazie alla nonna di Gesù perché li curi dalle malattie.

I leader indigeni insieme al Papa nel pellegrinaggio al Lac Ste. Anne

Un pellegrinaggio antico

Risale al luglio 1889, organizzato dagli Oblati, il primo pellegrinaggio al lago di sant’Anna, proseguito poi ogni anno, nella settimana del 26 luglio, festa della santa, venerata in molte comunità indigene. Nel corso del tempo è diventato uno degli incontri spirituali più importanti per i pellegrini del nord America e particolarmente caro alle popolazioni delle Prime Nazioni. Francesco aveva ricordato l’evento nell’udienza del 1° aprile in Vaticano con delegazioni di Métis, Inuit e First Nations, esprimendo l’auspicio di poter partecipare lui stesso a questo momento di profonda spiritualità.

Desiderio - per il Papa e per gli indigeni - oggi realizzato con la Liturgia della Parola celebrata a metà pomeriggio (ora canadese), dopo la Messa mattutina nel Commonwealth Stadium di Edmonton con 50 mila fedeli. Circa 10 mila sono ora presenti nella distesa verde che circonda il lago, a ripararsi con ombrelloni dal sole o poggiati alle transenne con numerosi rosari in mano oppure sulle barche in mezzo al lago. Vicino la riva sorge un’antica chiesa parrocchiale, ricostruita nel 2009 dopo un incendio, che il Papa raggiunge in sedia a rotelle accolto da sacerdoti e fedeli. E ancora in carrozzina, baciando durante il tragitto due neonati, Francesco arriva al pontile che guarda il lago, dove sosta in silenzio per alcuni istanti. Infine benedice l’acqua e, ripercorrendo il percorso a fianco alle transenne, con alle spalle i leader indigeni, asperge i fedeli.

Il santuario di Ste. Anne al lago

Il battito dei tamburi e dei cuori

Ad accompagnare per tutto il tempo il 'cammino' del Pontefice, come sin dai primi momenti del suo arrivo in Canada, c’è il sottofondo dei tradizionali tamburi. Un suono che ha “colpito” il Papa, come rivela egli stesso nel suo lungo discorso nel santuario, aperto dal saluto nella locale lingua Cree: “Âba-wash-did! Tansi! Oki! Buongiorno”.

Questo battito dei tamburi mi sembra echeggiare il battito di molti cuori.

Sono tanti infatti i cuori che, nei secoli, hanno vibrato presso queste acque, “desiderosi e ansimanti, gravati dai pesi della vita”; qui “hanno trovato la consolazione e la forza per andare avanti!”. Ora immersi nel creato, c’è “un altro battito” da ascoltare, che è quello “materno” della terra, come pure "il battito dei bimbi, fin dal grembo" che "è in armonia con quello delle madri".

Il Papa e i popoli indigeni, silenzio e preghiera al Lac Ste. Anne. 
Il racconto di Massimiliano Menichetti

Madri e nonne

Proprio le madri, le donne e soprattutto le nonne - Kokum, le chiamano gli indigeni - sono al centro della riflessione del Papa che, volgendo lo sguardo al passato e ai drammi consumatisi nelle scuole residenziali, esprime il dolore per gli abusi subiti da centinaia di migliaia di bambini, privati di idiomi, tradizioni, culture, affetti. Una ferita per loro, ma anche per le famiglie.

Parte dell’eredità dolorosa che stiamo affrontando nasce dall’aver impedito alle nonne indigene di trasmettere la fede nella loro lingua e nella loro cultura.

"La Chiesa è donna, è madre"

Quanto accaduto in questi istituti del Canada è stato un movimento contrario rispetto alla “inculturazione materna” avvenuta per opera di sant’Anna, che ha unito “la bellezza delle tradizioni indigene e della fede”, e le ha plasmate “con la saggezza di una nonna, che è mamma due volte”. “Anche la Chiesa è donna, è madre. Non c’è infatti mai stato un momento nella sua storia in cui la fede non fosse trasmessa in lingua materna, dalle madri e dalle nonne”, sottolinea il Papa. E aggiunge: "Quanto bene hanno fatto in questo senso i missionari autenticamente evangelizzatori per preservare in tante parti del mondo le lingue e le culture autoctone!".

Le madri e le nonne aiutano a risanare le ferite del cuore. Durante il dramma della conquista, fu la Madonna di Guadalupe a trasmettere la retta fede agli indigeni, parlando la loro lingua e vestendo i loro abiti, senza violenze e senza imposizioni.

Il pellegrinaggio al lago del Papa con le popolazioni indigene canadesi

Una testimonianza di resilienza e ripartenza

Nelle scuole residenziali a tante generazioni di bambini è stato impedito invece di ricevere questo patrimonio: una “perdita”, una “tragedia”, afferma il Papa, che però non vuole che si perda la speranza per il futuro: “La vostra presenza qui è una testimonianza di resilienza e di ripartenza, di pellegrinaggio verso la guarigione, di apertura del cuore a Dio che risana il nostro essere comunità”.

Ora tutti noi, come Chiesa, abbiamo bisogno di guarigione: di essere risanati dalla tentazione di chiuderci in noi stessi, di scegliere la difesa dell’istituzione anziché la ricerca della verità, di preferire il potere mondano al servizio evangelico.

Ciò che Francesco domanda è un aiuto reciproco per edificare una Chiesa madre “capace di abbracciare ogni figlio e figlia; aperta a tutti e che parli a ciascuno; che non vada contro qualcuno, ma incontro a chiunque”.

Le anziane indigene, sorgenti di acqua viva

Il Papa si rivolge direttamente alle tante anziane sulle rive del lago: “I vostri cuori sono sorgenti da cui è scaturita l’acqua viva della fede, con la quale avete dissetato figli e nipoti”, dice infatti Jorge Mario Bergoglio, che richiama la propria esperienza personale con la nonna Rosa. “Da lei ho ricevuto il primo annuncio della fede e ho imparato che il Vangelo si trasmette così, attraverso la tenerezza della cura e la saggezza della vita”.

La fede raramente nasce leggendo un libro da soli in salotto, ma si diffonde in un clima familiare, si trasmette nella lingua delle madri, con il dolce canto dialettale delle nonne.

Francesco nel Santuario di Sant'Anna

In ascolto degli ultimi

“Mi scalda il cuore vedere qui tanti nonni e bisnonni”, confida ancora il Papa. E a quanti hanno anziani a casa, in famiglia, raccomanda: “Avete un tesoro! Custodite tra le vostre mura una sorgente di vita: prendetevene cura, come dell’eredità più preziosa da amare e custodire”. Troppo spesso, infatti, “ci si lascia guidare dagli interessi di pochi che stanno bene”, mentre, invece, “occorre guardare di più alle periferie e porsi in ascolto del grido degli ultimi; saper ascoltare il dolore di quanti, spesso in silenzio, nelle nostre città affollate e spersonalizzate, gridano: ‘Non lasciateci soli!’”.

Il grido di anziani, giovani, malati

È il grido di tanti anziani che, denuncia il Vescovo di Roma, “rischiano di morire da soli in casa o abbandonati presso una struttura, o di malati scomodi ai quali, al posto dell’affetto, viene somministrata la morte”. Ma è anche “il grido soffocato di ragazzi e delle ragazze più interrogati che ascoltati, i quali delegano la loro libertà a un telefonino, mentre nelle stesse strade altri loro coetanei vagano persi, anestetizzati da qualche divertimento, in preda a dipendenze che li rendono tristi e insofferenti, incapaci di credere in se stessi, di amare quello che sono e la bellezza della vita che hanno”.

Non lasciateci soli è il grido di chi vorrebbe un mondo migliore, ma non sa da dove iniziare.

La liturgia della Parola

La "Chiesa intrecciata" con gli indigeni

Questo grido il Papa lo pone ai piedi di Cristo, “medico delle anime e dei corpi”, in una preghiera corale che coinvolge tutti i presenti.

Signore, come la gente sulle sponde del mare di Galilea non aveva paura di gridarti i suoi bisogni, così noi stasera veniamo a te, con il dolore che abbiamo dentro. Ti portiamo le nostre aridità e le nostre fatiche, i traumi delle violenze subite dai nostri fratelli e sorelle indigeni. In questo luogo benedetto, dove regnano l’armonia e la pace, ti presentiamo le disarmonie delle nostre storie, i terribili effetti della colonizzazione, il dolore incancellabile di tante famiglie, nonni e bambini.

Da qui, ancora un ultimo messaggio per tutte le popolazioni originarie: “Desidero che la Chiesa sia intrecciata a voi, come stretti e uniti sono i fili delle fasce colorate che tanti di voi indossano. Il Signore ci aiuti ad andare avanti nel processo di guarigione, verso un avvenire sempre più risanato e rinnovato”.
(fonte: Vatican News, articolo di Salvatore Cernuzio 27/07/2022)

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