"L'uomo che parla alle querce"
di Enzo Bianchi
La Repubblica - 27 settembre 2021
Sovente la tradizione ebraico-cristiana è accusata di un esagerato antropocentrismo, le cui vittime sono non solo gli animali ma in definitiva tutta la terra, sulla quale l’umanità ha agito e continua ad agire da padrona assoluta e orgogliosa, nella persuasione che la sua vocazione sia quella di dominare e soggiogare il mondo.
D’altronde, una certa lettura della Genesi, prologo della nostra civiltà occidentale, per secoli ha autorizzato l’uomo a dirsi culmine della creazione, re e signore, la cui missione sarebbe quella di dominare su tutte le altre creature. Soprattutto il cristianesimo del secondo millennio ha coltivato di conseguenza una fede acosmica e ha concepito la natura, i vegetali e gli animali, come il contesto della sua affermazione e lo scenario per l’esercizio del suo dominio. L’attenzione dunque si è focalizzata solo sull’uomo, perché ciò che conta è la sua vocazione, il suo destino e la sua salvezza.
Tommaso d’Aquino attesta: “Gli animali e le piante non hanno una vita razionale … conoscono solo impulsi … sono dunque radicalmente servi, servi secondo natura, fatti per l’uso da parte degli uomini”. Per Cartesio, gli animali sono “macchine”, ma sarà Schopenhauer per primo a denunciare che “per il cristianesimo è stato un errore fondamentale e assolutamente inspiegabile aver separato l’uomo dal mondo degli animali al quale appartiene, considerando gli animali soltanto come cose”.
Le ragioni di questo esito sono tante, dalla paura del panteismo alla volontà di demitizzare e desacralizzare ogni creatura, ma così sono state depotenziate le responsabilità e la custodia della terra, vera madre misconosciuta da parte dei terrestri.
In verità, la Bibbia contiene anche altri messaggi che non sono stati decodificati dai racconti mitici o dalla sapienza d’Israele. Proprio il messaggio biblico pone l’uomo, fin dall’inizio del mondo, in una comunità di creature, come co-creatura che condivide con gli animali la somiglianza, la solidarietà, lo stesso spazio, la sofferenza, il destino e il ritorno alla terra. L’uomo non esiste senza il “suo” mondo e il mondo esiste come luogo e dimora dell’uomo, degli animali e di tutte le creatura vegetali e minerali. Perciò l’uomo ha la vocazione ad essere responsabile di tutte le creature e della loro vita, essere il loro custode, rispettandole e mai dominandole o tantomeno sfruttandole. Né gli è stata dato nessun potere arbitrario, oppressivo e assoluto, né facoltà di sfruttamento della terra. Anche quando all’uomo è concesso di cibarsi della carne degli animali, lo potrà fare nel rispetto della vita, non cibandosi mai del sangue (kasher) che deve essere restituito alla terra, in attesa del regno messianico in cui non ci saranno più violenza e ferite alla vita. Mangiare kasher è riconoscere che anche della vita degli animali non si è padroni!
Il mondo ha bisogno di rispetto e di solidarietà tra co-creature, anche se quello che vediamo quotidianamente è una contraddizione a questo sogno, a questa speranza. Resto convinto che noi dobbiamo oggi più di ieri esercitarci alla conoscenza di tutti gli esseri, imparare la “physké théoria”, la contemplazione della natura e anche quello sguardo che sa vedere come tutti insieme viviamo e tutti insieme ci salviamo. Se per paura dell’idolatria panteista abbiamo desacralizzato la natura, il Vangelo ci dice che la nostra speranza è “Dio tutti in tutti”, in una compassione cosmica e in una comunione universale. Questo significa che umani, animali, vegetali e tutta la terra hanno una vocazione alla vita e una dignità che deve essere riconosciuta, nella consapevolezza che noi umani siamo responsabili delle creatura, le creature invece non possono essere responsabili per noi e di noi. In questo mondo siamo soltanto inquilini e non padroni! E gli animali sono nostri compagni di viaggio. Perché sono rarissimi quelli che, come Francesco d’Assisi, sanno parlare agli uccelli, ai fiori e alle querce?
(fonte: Blog dell'autore)