#UN IDIOTA RICCO
di Gianfranco Ravasi
Un idiota povero è un idiota. Un idiota ricco è un ricco.
Personaggio eclettico, Paul Laffitte (1864-1949), lo si trova quasi sempre associato a questa battuta che è tratta da un suo saggio dal titolo un po’ stravagante, Geroboamo o la finanza senza meningite (1920). Sta di fatto che è difficile dargli torto. Certo, il termine «idiota» ha una diversa accezione nella tradizione spirituale russa dove paradossalmente definisce la persona dotata di una fede candida nei confronti di Dio e del prossimo, una creatura generosa e mistica: è il caso del folle principe Myškin, protagonista del celebre romanzo L’idiota che Dostoevskij compose nel 1868-69. Qui, invece, il significato è quello offensivo e scontato e rimanda alla persona stupida e stolta.
Ma – fa notare Laffitte – c’è una sorpresa. Se l’imbecille è ricco, ecco che appare subito la differenza rispetto al cretino che è povero. A lui si riserva sempre un trattamento di favore a causa della forza del suo denaro. È, questa, una triste legge a cui tutti ci adattiamo: quante volte si è pronti a incensare, a dar ragione, persino a esaltare il ricco o il potente di turno, anche se quelle che emette sono solo idiozie e insulsaggini. Il mitico ragionier Fantozzi, che striscia di fronte al padrone anche quando gli prospetta un’assurdità, alberga – sia pure in minima parte – un po’ in tutti noi. Bisognerebbe avere il coraggio dell’uomo veramente libero che non esita a denunciare la vacuità e la banalità di chi gestisce beni e potere: qualità impegnativa e costosa.