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martedì 19 ottobre 2021

Dieci cardinali per i Dieci Comandamenti nel terzo millennio

Dieci cardinali per i Dieci Comandamenti
nel terzo millennio

Nel libro del vaticanista di Mediaset Fabio Marchese Ragona una decina di porporati ha preso «carta e penna» per offrire le loro riflessioni sull’attualità dei precetti contenuti nelle tavole mosaiche

La copertina del libro curato da Fabio Marchese Ragona per le Edizioni Ares di Milano

Mentre il mondo alle prese con la pandemia si professa sempre più spesso ateo e sembra rifuggire da ogni assunto universale di verità e giustizia, una sorta di «nazionale» di porporati si interroga sulla Legge di Dio. Dieci cardinali hanno preso «carta e penna» per offrire le loro riflessioni sull’attualità, punto per punto, dei precetti contenuti nelle tavole mosaiche. Coordinati dal vaticanista Fabio Marchese Ragona hanno dato corpo a un volume originale: «Dieci Comandamenti per Dieci Cardinali», disponibile nel catalogo delle Edizioni Ares di Milano (pp. 208, euro 16).

Si tratta di dieci testimonianze e riflessioni calate nell’esperienza e nel linguaggio quotidiani. Gli autori coinvolti figurano fra i nomi più illustri del Collegio cardinalizio, a cominciare dal presidente della Conferenza episcopale italiana, Gualtiero Bassetti fino al francescano Mauro Gambetti, «fresco» di porpora e che papa Francesco ha voluto come arciprete di San Pietro e vicario per la Città del Vaticano.

Nell’introduzione Marchese Ragona - che ogni domenica conduce sul canale all-news Tgcom24 la rubrica «Stanze Vaticane» - ricorda che i Dieci Comandamenti si trovano nelle pagine dell’Antico Testamento: «Nel capitolo 20 del libro dell’Esodo ai versetti 2-17, e nel capitolo 5 del Deuteronomio ai versetti 6-21». Ma essi, com’è noto, «acquistano un nuovo significato alla luce della predicazione di Gesù nei Vangeli. "Maestro, che cosa devo fare di buono per avere la vita eterna?” (Mt 19, 16). “Al giovane che gli rivolge questa domanda”, si legge nel Compendio del Catechismo, "Gesù risponde: ‘Se vuoi entrare nella vita, osserva i Comandamenti’, e poi aggiunge: ‘Vieni e seguimi’. Seguire Gesù implica l’osservanza dei Comandamenti. La Legge non è abolita, ma l’uomo è invitato a ritrovarla nella persona del divino Maestro, che la realizza perfettamente in sé stesso, ne rivela il pieno significato e ne attesta la perennità”. E ancora: “Fedele alla Scrittura e all’esempio di Gesù, la Chiesa riconosce al Decalogo un’importanza e un significato basilari. I cristiani sono obbligati a osservarlo”».

Per questo motivo, «soprattutto un credente - scrive Marchese Ragona - non può non conoscere i Dieci Comandamenti. Si è pensato, pertanto, di offrire ai lettori un agile volume sui Dieci Comandamenti commentati in maniera accurata da altrettanti cardinali con provenienza geografica ed esperienze pastorali diverse tra loro». Un testo che può essere utile sia per la meditazione personale, sia «come base per l’esame di coscienza in preparazione al sacramento della Confessione».

Così, Bassetti del I Comandamento - «Non avrai altro Dio all’infuori di me» - evidenzia che «il racconto dell’Esodo insegna che i deserti della vita sono meno terribili se li percorriamo insieme. Davanti a noi si apre oggi una stagione di ripensamento e di possibile rinascita: a mio avviso questo passa anche dal nostro sentirci popolo. In un’ottica di fede, possiamo imparare a sentirci parte della famiglia umana, che attraversa insieme le difficoltà, che gioisce insieme delle conquiste e che sa fare scelte responsabili per le generazioni che verranno».

Gerhard Ludwig Müller, prefetto emerito della Congregazione per la Dottrina della Fede, scrive sul II - «Non nominare il nome di Dio invano»: «Il nome di Dio sarà glorificato per sempre quando i salvati saranno davanti a Dio e lo serviranno nella Gerusalemme celeste. “Vedranno il suo volto e porteranno il suo nome sulla fronte” (Ap 22, 4). Infatti, saranno davanti all’”Agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo” (Gv 1, 29). È Cristo Gesù, che era uguale a Dio e che è diventato uguale a noi uomini in tutto, fino alla morte sulla Croce. “Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami ‘Gesù Cristo è il Signore!’, a gloria di Dio Padre” (Fil 2, 9-11). Pertanto, ogni abuso del nome di Dio per stoltezza e odio viene espiato quando preghiamo: “Lasciaci portare il tuo nome, toglici la nostra vergogna” (Is 4, 1). Allora sarà appagata la nostra invocazione al Padre celeste di santificazione del suo nome: “Sia benedetto il nome del Signore, da ora e per sempre” (Sal 113, 2)».

Il III Comandamento - «Ricordati di santificare le feste» – è affidato a Robert Sarah, prefetto emerito della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. «“Vivere secondo la domenica” - afferma citando l’esortazione apostolica «Sacramentum Caritatis» di Benedetto XVI - vuol dire vivere nella consapevolezza della liberazione portata da Cristo e svolgere la propria esistenza come offerta di sé stessi a Dio, perché la sua vittoria si manifesti pienamente a tutti gli uomini attraverso una condotta intimamente rinnovata”».

E poi conclude il suo intervento con altre parole «di Papa Benedetto XVI: “‘Come potremmo vivere senza di Lui, che anche i profeti hanno atteso?’[...]. Sentiamo echeggiare in queste parole di sant’Ignazio di Antiochia l’affermazione dei martiri di Abitene: ‘Sine dominico non possumus’. Proprio di qui sgorga la nostra preghiera: che anche noi cristiani di oggi ritroviamo la consapevolezza della decisiva importanza della Celebrazione domenicale e sappiamo trarre dalla partecipazione all’Eucaristia lo slancio necessario per un nuovo impegno nell’annuncio al mondo di Cristo” in cui troviamo la nostra vera vita e la nostra pace».

Angelo Comastri, arciprete emerito della basilica di San Pietro e vicario generale emerito di Sua Santità per la Città del Vaticano, si occupa del IV - «Onora il padre e la madre». Lo fa partendo dalla sua esperienza, negli anni ’70, di Cappellano del carcere romano di Regina Coeli. Decisivo è l’incontro con Sergio, figlio di una prostituta, che aiuta a comprendere quanto sia doloroso per un bambino non conoscere il padre o la madre: «Io non esisto perché non ho un papà, perché non ho una mamma». A questo punto «capite - conclude Comastri - perché il Signore ci ha dato questo Comandamento: “onora il padre e la madre”».

Matteo Maria Zuppi è arcivescovo di Bologna, «Non uccidere» è il Comandamento di cui scrive, il V: «La vita umana ha bisogno di amore e solo l’amore difende la vita, il male la distrugge soltanto, non la sa donare. È possibile vivere senza uccidere? L’uomo imparerà a vivere senza ammazzare? Sì. È il sogno di Dio, è la nostra speranza. Per questo facciamo nostra la preghiera attribuita a un uomo che visse pienamente il comandamento di Gesù. E indicò la strada nell’amore per tutti, nel pensare che siamo fratelli tutti. “Signore, fa’ di me uno strumento della tua pace: dov’è odio, ch’io porti l’amore; dov’è offesa, ch’io porti il perdono; dov’è dubbio, ch’io porti la fede; dov’è disperazione, ch’io porti la speranza; dove sono le tenebre, ch’io porti la luce; dov’è tristezza, ch’io porti la gioia". Ecco che cosa significa “non uccidere”».

Il VI è «Non commettere atti impuri», ed è affrontato da Fridolin Ambongo Besungu, arcivescovo di Kinshasa: «Data la sua importanza e complessità, il sesto Comandamento mostra, da un lato, la paternità di Dio, che, da buon Padre, ha il dovere di emanare i precetti per una vita comune, la bellezza e la fragilità della vita coniugale che tutti dobbiamo proteggere; dall’altro, mostra come tutti i figli di Dio debbano crescere. Questo è il compito educativo, pastorale. Questo è ciò che raccomanda la Lettera agli Ebrei: “Il matrimonio sia rispettato da tutti e il letto nuziale sia senza macchia. I fornicatori e gli adulteri saranno giudicati da Dio" (Eb 13, 4). Questo è il motivo per cui Dio ha detto: “Non commettere adulterio”».

Antonio Paolo Lojudice, arcivescovo di Siena, è stato interpellato per il VII: «Non rubare». In questo periodo la pandemia ha prodotto un «furto molto pesante: quello del “sorriso” che non riusciamo più a vedere e quindi a scambiarci. Ci auguriamo che questo tempo così cupo, così grigio, si concluda e possiamo nuovamente tornare a una vita normale arricchita da un’esperienza di “comunione mondiale" come non era mai accaduto nella storia. Speriamo che questa tragedia non ci lasci come eravamo prima. Speriamo di uscirne indenni ma soprattutto migliori per non permettere mai a nessuno né tantomeno a un microscopico virus di rubare l’aspetto più importante del nostro cammino di vita, di fede e di speranza. Sì, ecco un altro “furto” sacrilego: quello della speranza. Quella no: non lasciamocela rubare, da nessuno».

Marcello Semeraro è prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, e a lui spetta l’VIII, «Non dire falsa testimonianza». Come nell’udienza «del 14 novembre 2018 disse Papa Francesco, "non dire falsa testimonianza vuol dire vivere da figlio di Dio, che mai, mai smentisce sé stesso, mai dice bugie; vivere da figli di Dio, lasciando emergere in ogni atto la grande verità: che Dio è Padre e ci si può fidare di Lui. Io mi fido di Dio: questa è la grande verità. Dalla nostra fiducia in Dio, che è Padre e mi ama, ci ama, nasce la mia verità e l’essere veritiero e non bugiardo”».

IX Comandamento, «Non desiderare la donna d’altri». Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, spiega che «il Comandamento decalogico è, in positivo, un appello ad avere un cuore nuovo, capace di desideri autentici, creativi, generosi, assoluti. È ciò che si augurava il profeta Ezechiele attraverso questo celebre oracolo divino: “Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne” (Ez 36, 26). Solo così il desiderio ritroverà la sua radicale tensione verso l’infinito, espressa proprio dalla sua etimologia lessicale, ossia la sua apertura verso i «sidera», le stelle. È, quindi, il suo “in-finito” protendersi verso la pienezza a cui la persona umana è votata, pur col suo limite creaturale, secondo la visione cristiana che assegna agli uomini e alle donne la possibilità di diventare “figli di Dio” (Gal 4, 4-7; Rm 8, 14-17)».

Gambetti esprime il suo pensiero sul X, «Non desiderare la roba d’altri». In Gesù Cristo, «centro e origine e vita del creato, nella Trinità, natura divina e natura umana si uniscono, amore e desiderio si fondono indissolubilmente. Egli, avendo obbedito anche al decimo Comandamento, ci addita la via dell’assoggettamento al limite quale occasione di libertà. "Non desiderare la roba d’altri” ci conduce in campo aperto, dove il fiume della vita ci attraversa e il cuore è abitato da un amore tanto grande da poter assumere la carne con i suoi slanci e le sue fragilità, per renderla partecipe della beatitudine eterna della risurrezione. In tal modo, anche per noi sarà possibile desiderare ciò che Dio ama e amare ciò che Dio desidera, come Gesù».