Ecco, Signore, un anno nuovo
Ecco, Signore, un anno nuovo. Non sappiamo come sarà e possiamo solo sperare e farci auguri inutili che tuttavia carichiamo di buoni auspici.
"Buon anno! Buon anno!" ci diciamo; e l'esclamazione rimbalza e si diffonde come quando diciamo "buon giorno!" o "buona notte!" e il più delle volte si tratta quasi di un intercalare, privo di consistenza, privo di umana solidarietà: una vuota abitudine, a livello di pura cortesia.
Potrebbe esprimere affetto, salire dall'umana simpatia fino a giungere alla cristiana carità; e invece non esprime più nulla: è una pura emissione di voce, una mera espressione di buone maniere prive ormai di sentimenti veri.
Ci scivola, scialba, sulla lingua, impegnando soltanto i muscoli vocali, spesso neanche la mimica facciale, spesso neanche un sorriso accompagna la voce: "buon giorno" e basta, senza nulla dietro.
Forse, Signore, l'abbiamo detto troppe volte; e quel giorno non è più un giorno con l'alba e il tramonto, il sole che sorge e monta, alto, nel cielo e poi declina, nella sera; e l'augurarlo buono non è più un auspicio di gioia: è una specie di pedaggio obbligato, imposto dalla nostra civiltà, quando incrociamo un conoscente. Forse, Signore, l'abbiamo detto troppe volte e quel giorno non è più un giorno e la bontà non è più una bontà.
L'uso continuo ce l'ha consumato nella bocca e nel cuore perché, di solito, noi non sappiamo reggere alla reiterazione senza perdere la verità e la partecipazione degli inizi. Ed invece dovremmo; e ricordarci che, ogni volta, è come se fosse la prima: anzi è in effetti la prima che, in quel momento, diciamo o facciamo o siamo; e dopo sarà un'altra, differente, anche se le somiglia, ma la stessa non è.
Esiste perfino un vecchio assioma, che ripetono i nostri moralisti, il quale afferma: "ab assuetis non fit passio", non ci commoviamo più, ai gesti consueti e ripetuti.
Che triste filosofia, Signore!
Se fosse vera distruggerebbe il matrimonio, l'amicizia: tutto distruggerebbe; e il nostro mondo farebbe naufragio in un mare piatto, senza onde, senza nessuna increspatura di stupore, di emozione, di passione, senza entusiasmo, senza nulla.
Non ci credo, Signore, a quell'assioma che ho studiato a scuola; anche se so che grava su di noi, come una perenne minaccia; e che il tempo può rinnovare ma, più spesso, consuma. E il combattere questo incombente appiattimento è l'impegno primario della nostra vitalità e novità e perdurante fervore. E so anche che non ci può riuscire senza il tuo aiuto, perché tu non se il Dio delle cose vecchie e ripetute senza partecipazione: tu sei il Dio vivente delle cose viventi e risorgenti dalla tomba del tempo che le uccide; ma poi lo stesso tempo ce le rimette in mano, nuove. Questo, Signore, sei, e non il Dio della passione spenta: quella passione che la nostra omiletica ha sovente umiliato riducendola ai "bassi istinti" (e quali sono, poi gli istinti bassi se non quelli abbassati da noi?).
La passione è l'emozione e l'entusiasmo che dovremmo versare su ogni cosa; e tu, Signore, tu sei il Dio della passione accesa, che non si spegne mai, come non si spegne la fede, la speranza, la carità. (Ed è ben vero che san Paolo dice che la speranza cessa nella vita futura, davanti a te, raggiunto. Ma tu, Signore, anche raggiunto, resti irraggiungibile, sempre al di là d'ogni possibile presa, e sempre oggetto di ogni ulteriore speranza.)
Tu, Signore, sei il Dio della passione sempre accesa, della speranza inestinguibile e della novità che non invecchia: sei il Signore che ci difende all'usura del già detto e ci ridà la gioia di ciò che è nuovamente da dirsi, da farsi, da viversi. Ed il "buon giorno" ritorna ad essere un "buon giorno", ricco di cielo e di sole; e il "buona notte" ricco di stelle e di luna; ed entrambi ricchi di simpatia e di amore.
Così, Signore, sia per il nostro "buon anno!" che, in questi giorni, diciamo tanto spesso. Fa che sia un anno pieno di stagioni, di erbe primaverili, e di affocate stoppie estive, e di frutti pendenti dell'autunno, e di silenzio candido e innevato, di fuochi accesi, di tavole imbandite come quelle che accoglievano te, quando pranzavi con gli amici.
Riempi, Signore, i nostri auguri; di questa densità esistenziale; e dacci la passione dell'amicizia e la capacità di auspici veri.
"Buon anno, amici, buon anno!" Più di trecento giorni pieni di sole, di luna, di nuvole, di neve; più di trecento giorni, pieni di solidarietà e di gioia; e, se verrà il dolore, che sia vissuto con amore.
"Buon anno, amici, buona vita!"
- Adriana Zarri -