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lunedì 21 dicembre 2020

Lettera inconsueta a Babbo Natale da parte di un adulto educatore

Lettera inconsueta a Babbo Natale 
da parte di un adulto educatore



Caro Babbo Natale, non sono un bambino che scrive per chiederti qualche regalo, ma sono un adulto, un educatore, fortemente preoccupato per i miei coetanei, ossessionati da un consumismo folle che sta ammalando il pianeta e che sta “contagiando” anche le nuove generazioni.

Questo 2020 è stato profondamente segnato dal coronavirus e francamente, dopo tante sofferenze e riflessioni, ci saremmo attesi una svolta negli stili di vita e di consumo da parte della maggioranza dei nostri concittadini. Non solamente quando costretti dal lockdown o da altre misure restrittive, ma anche e soprattutto nella normalità della vita quotidiana. Invece, non appena le misure di contenimento del contagio sono state allentate, abbiamo assistito a scene assurde: durante il periodo estivo, infatti, è riesplosa la movida un po’ ovunque nelle nostre città, le spiagge sono state prese d’assalto, così come i luoghi turistici in Italia e all'estero, le discoteche e i centri commerciali. Come se nulla fosse mai accaduto. Anche in questo periodo pre-natalizio c'è una corsa sfrenata da parte di tanta gente ai negozi, ai supermercati e ai centri commerciali per l’immancabile appuntamento con i regali natalizi.

Tutto questo è sempre provocato dal consumismo ossessivo: si consuma d'estate con le vacanze, i viaggi e i tanti divertimenti. Si consuma a Natale, con addobbi, pranzi, cenoni e regali.

Nel pieno della pandemia ci saremmo potuti aspettare, in verità, un scatto di sobrietà, dopo il pesante lockdown della primavera scorsa che ci aveva costretti a distinguere i beni necessari ad una buona vita da quelli secondari, meno utili e spesso anche dannosi.

Ma perché non riusciamo ad essere sobri neppure in questo 2020 segnato dal Covid-19? Eppure questo periodo di crisi sanitaria globale sembrava averci messo definitivamente davanti a un bivio: un’ultima chiamata al cambiamento radicale della vita dell'umanità per la custodia di madre Terra, un ultimo appello per evitare di toccare il punto di non ritorno.

Questa forma di consumismo, purtroppo, si è talmente incarnato in noi che non possiamo più farne a meno. I sociologi lo chiamano «consumismo compulsivo e compensatorio». Ed è questo il virus più difficile da debellare: ne siamo ammalati, ma allo stesso tempo riteniamo di essere sani e liberi di decidere, anche di fare o non fare shopping, e invece provoca una terribile dipendenza dalla quale non riusciamo a liberarci. Inoltre, come sostiene il noto sociologo Jean Baudrillard, il consumismo ha anche il valore simbolico di rappresentare uno status di vita. Ecco perché, nonostante questo tempo ci inviti fortemente a ripensare il nostro rapporto con gli altri e con il pianeta, ci gettiamo in una corsa forsennata, appena consentito, nelle corsie dei centri commerciali, abbandonando i sentieri della vita sobria, giusta e solidale.

Eppure ci si aspettava un'attenzione migliore alla forte richiesta che c'è stata, durante la pandemia, di relazioni umane e sociali. Tale da riscoprire i balconi di casa come “social network” per interagire con il vicinato e superare l'isolamento e l'abbandono. Il Covid-19 è stata la punta dell'iceberg che ci ha fatto capire quanto la povertà relazionale era radicata nella profondità della nostra vita famigliare e sociale: di fronte a questa inedita sfida si dimostrava necessario intraprendere un cambiamento di rotta, abbandonando la strada dissennata del consumismo per intraprendere finalmente la strada delle relazioni umane. La mia generazione, purtroppo, è radicata nel consumismo e gli assembramenti di questo periodo per i doni natalizi lo hanno confermato, ancora una volta.

Caro Babbo Natale, tu che hai a che fare con le giovanissime generazioni, ti chiedo di non contribuire a contaminarle con questo virus del consumismo: i tanti regali scritti nelle letterine non rappresentano bisogni reali, ma solo desideri effimeri indotti dal mondo degli adulti. I giovani, in verità, ci inviano segnali inequivocabili: sono stanchi della didattica a distanza e tornare a studiare in presenza perché hanno fame di relazioni; hanno bisogno di amici e compagni per stare insieme all'aria aperta, e non di smartphone o PlayStation che li confinano nei loro abitacoli soffocanti; i figli non vogliono più vedere i genitori intrappolati in una vita frenetica, incapaci di fermarsi per dedicare loro del tempo; i bambini spesso preferirebbero mettere da parte i giocattoli e giocare con i propri genitori. In fondo, sono proprio le nuove generazioni che rendono esplicita la forte domanda di più relazioni e meno oggetti.

Noi adulti, consumatori compulsivi, riusciamo a corrompere anche te, Babbo Natale, e ti costringiamo a portare ai nostri bambini, come doni natalizi, solo oggetti. «Il consumismo ha sequestrato il Natale», ha dichiarato anche papa Francesco. Io aggiungo: il consumismo ha sequestrato anche noi adulti, e ci tiene sotto il suo ricatto, costretti ad offrire non il dono del Natale ma i doni natalizi. Natale è invece il grande dono di un Dio che si è fatto carne e che si è donato all'umanità per puro amore. E quindi il dono siamo noi, quando ci offriamo agli altri nelle relazioni umane, solidali, fraterne ed eque.

Caro Babbo Natale, sei ancora in tempo, porta ai nostri bambini questi doni relazionali: un abbraccio del proprio papà e mamma, un tempo dedicato a giocare insieme con i propri figli, un amico che ti stringe la mano e ti fa sentire il calore umano, un vicino che ti prende per mano e ti fa camminare sulle vie della felicità. Doni che non si trovano nei negozi e nei centri commerciali, ma sono dentro di noi. Noi siamo il vero dono natalizio.

Allora, le nuove generazioni saranno capaci di liberare l'umanità dal sequestro del consumismo e ridare al Natale la bellezza del dono più grande e più desiderato al mondo: l'amore.

* Adriano Sella è educatore e promotore nazionale dei nuovi stili di vita