Il Papa e il primato del Vangelo
Un pastore della Chiesa deve essere dotato di saldezza nella fede, discernimento e misericordia
di Enzo Bianchi
La Repubblica - Altrimenti 14 dicembre 2020
Fra tre giorni, il 17 dicembre, papa Francesco conta i suoi anni, ottantaquattro. Molti per un uomo e per un Papa che ha una missione straordinaria, estesa su tutto il pianeta, ed è segno di comunione per un miliardo di cattolici. Da più di sette anni è vescovo di Roma e conosciamo bene i tratti del suo ministero petrino. Gli ultimi Papi sono stati diversi tra loro per stile, teologia, carattere umano, ma Francesco fin dall'inizio ha stupito e scandalizzato molti nella Chiesa e ha destato interesse e ascolto in chi si sente "fuori" o nutre diffidenza verso la religione. Dobbiamo riconoscerlo: egli è un segno di contraddizione in una Chiesa che, soprattutto nel mondo occidentale, attraversa una crisi tra le più profonde della sua storia.
Senza dimenticare la complessità dell'attuale situazione ecclesiale, è possibile dare una risposta sintetica al perché di questa polarizzazione attorno a Francesco? Fin da quando il Papa ha mostrato segni nella direzione di un primato assoluto attribuito al Vangelo su ogni realtà cattolica, scrissi che ciò avrebbe scatenato le potenze nemiche; queste, messe al muro, avrebbero reagito generando una situazione nella quale il Papa, per necessità umana e divina, non poteva che subire rigetto, delegittimazione e accuse. E così è avvenuto.
Ciò che in Francesco dà fastidio è riassunto in due punti su cui egli insiste con forza: la misericordia, che viene giudicata nociva alla Chiesa come istituzione e alla vita cristiana, e la presenza dei poveri, degli "scarti", degli immigrati, degli invisibili, o meglio di quelli che non si vogliono vedere. Papa Francesco è un conservatore e non può essere diverso per un uomo della sua età, il suo linguaggio è spesso desueto. Per esempio, quando evoca tra i segni dei tempi la figura della donna, lo fa pagando il debito alla cultura che lo ha formato, oggi superata. La sua morale è quella della tradizione cristiana, ma è vero che per lui Gesù Cristo non è anzitutto una dottrina, una morale, bensì vita. Per lui convertirsi al cristianesimo significa "convertirsi alla vita", secondo la bella definizione della conversione presente negli Atti degli apostoli. E chi è convertito alla vita, vive di misericordia per i peccatori, di amore per i poveri. Quando Francesco fa le omelie, si sente nelle sue parole la passione del Vangelo e si percepisce che per lui il Vangelo è vita, non ideologia. Questo non è facile da accogliere, da parte dei "devoti". Ma un pastore della Chiesa deve essere dotato di saldezza nella fede, discernimento e misericordia: nient'altro!
Non sono un laudator di Francesco e talvolta resto perplesso su alcuni esiti del suo discernimento, cui peraltro, come gesuita, è esercitato. Ma il discernimento non è infallibile e anche al successore di Pietro a volte può mancare. Sono in ogni caso convinto che papa Francesco non sarà ricordato per riforme delle quali vediamo solo l'abbozzo, l'inizio di un processo, ma per il primato conferito al Vangelo come parola viva che giudica ogni realtà ecclesiale, religiosa e mondana.
(fonte: Altrimenti - blog)