Il prete e la morte: fa paura anche ai credenti
Il biblista Maggi è stato ricoverato tre mesi in Rianimazione. "Ero sereno, solo così la Resurrezione non si trasforma in una favola"
Quando lottava lucido fra la vita e la morte in un letto della terapia intensiva, riusciva persino a sorridere. Una serenità contagiosa che medici e infermieri scambiavano per pazzia: ma come, si guardavano basiti, è più in là che di qua eppure sembra felice. Assurdo per chi, ed è la maggioranza, nella morte coglie il tragico inciampo di un’esistenza che si crede e vive senza tomba; un comportamento incredibile, non per padre Alberto Maggi, 73enne biblista anconetano, che oggi, salvata la pelle, rivendica quel suo anomalo buon umore. A partire da un punto fermo: «Il trapasso non interrompe la nostra esistenza, anzi, la conduce alla sua dimensione piena, senza fine. Oggi anche la Chiesa sembra averlo dimenticato, spesso balbetta sulla morte. Ma così le prediche sulla Resurrezione e la vita eterna si riducono a favole».
Padre Maggi, davvero non aveva paura di morire?
«Soffrivo per il dolore, quello sì. Però, non temevo il grande passo. Una decina di anni fa sono stato colpito da dissecazione aortica. Ho subito tre interventi, uno più massacrante dell’altro, sono stato tre mesi in Terapia intensiva. Ciononostante i sanitari mi vedevano sorridere, dare con tranquillità le disposizioni per il funerale. Nel momento in cui ho sentito che stavo morendo, mi ha pervaso una grande euforia, non vedevo l’ora che succedesse».
Vuoi vedere che avevano ragione i medici curanti a crederla un po’ dissennato?
«Forse no... Paradossalmente penso che morire sia un momento bello. Per i primi cristiani era un giorno natalizio, perché fa nascere all’eternità che professiamo nel nostro credo. Avere paura della morte è un po’ come un bimbo che ha timore di nascere Continuiamo a illuderci che non ci sia e invece è il destino comune di tutti».
Anche la Chiesa ha paura della morte?
«In larga parte purtroppo sì. Gli infermieri mi raccontavano che ero un prete sui generis. Dicevano che nella loro esperienza avevano visto tanti sacerdoti disperarsi in punto di morte, imprecare, increduli che alla fine toccasse anche a loro, ministri di Dio, lasciare questo mondo. Non so quanto avessero compreso del Vangelo, né se davvero credessero nella Resurrezione».
Lei sembra corteggiarla la morte.
«Dico solo che va rivalutata. Per secoli la Chiesa, in virtù di un’erronea interpretazione biblica, né ha dato una lettura negativa quale conseguenza della caduta dell’uomo, del suo peccato originale».
E invece?
«Dobbiamo considerare la morte per quello che è: un dono che porta l’uomo dalla provvisorietà della vita alla pienezza dell’eternità. Qui sta il fulcro della fede cristiana, se non ci crediamo, i nostri discorsi sulla Resurrezione suoneranno come una grande, potentissima favola. Questa è l’impressione che come preti tante volte diamo all’esterno».
La Chiesa ha a cuore la vita: il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente dei vescovi italiani, di recente ha sottolineato che ‘vivere è un dovere’.
«Bisogna capire che cosa sia sacra: è tale la vita biologica, che con le nuove tecnologie possiamo dilatare in maniera impensabile anche solo fino a qualche anno fa, oppure è inviolabile l’uomo? Se c’è anche una minima possibilità di recupero in un paziente gravissimo, occorre fare di tutto. In caso contrario, va evitato ogni accanimento. Noi siamo la nostra testa, il resto è ciccia».
Sostiene l’eutanasia?
«Questa parola non mi piace, così come il termine ‘suicidio assistito’. Credo piuttosto che vada rispettata la volontà dell’uomo d’interrompere trattamenti sanitari, compresa l’alimentazione e l’idratazione artificiale, nel caso la sua situazione sia del tutto compromessa. Io stesso l’ho detto ai chirurghi prima dei miei interventi: in caso di lesioni cerebrali irreversibili, staccate la spina, lasciatemi passare alla vita vera. Con gioia e dignità».