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lunedì 25 novembre 2019

25 novembre: una giornata per ricordare a tutti di dire “NO” alla violenza sulle donne SEMPRE

 25 novembre: 
una giornata per ricordare a tutti di dire 
“NO” alla violenza sulle donne 
SEMPRE



Il 25 novembre è la Giornata contro la violenza sulle donne. A cosa ci si riferisce quando se ne parla, perché è stata istituita, a chi si devono rivolgere le vittime o le donne in pericolo, come educare figli maschi rispettosi delle donne. Ecco storia, dati, statistiche, numeri su questo fenomeno ancora troppo diffuso anche in Italia

Ricevere uno schiaffo o una spinta, essere attaccata o minacciata verbalmente, venire controllata costantemente e in modo soffocante dal partner, vedersi negato l’accesso alle risorse economiche dal marito o dal compagno, essere costretta ad avere un rapporto sessuale contro la propria volontà. Stalking, anche nella sua versione “cyber”, violenza psicologica, offline e online, revenge porn. Sono solo alcuni esempi di cosa sia la violenza sulle donne, una violazione dei diritti umani tra le più diffuse e persistenti secondo l’Onu.

Per questo l’assemblea generale delle Nazioni Unite il 17 dicembre del 1999, con la risoluzione 54/134, ha deciso di celebrare il 25 novembre la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. 
  • Per creare maggiore consapevolezza in chi la subisce ma anche in chi la esercita. 
  • Per far sì che certe azioni distruttive nei confronti di donne e ragazze non rimangano più sotto traccia e impunite. 
  • Affinché le stesse non vengano stigmatizzate per il fatto di aver avuto il coraggio di denunciare.
Il giorno non è stato scelto a caso infatti il 25 novembre del 1960, furono uccise le tre sorelle Mirabal, attiviste politiche della Repubblica Dominicana.
Le donne, brutalmente uccise mentre stavano andando a trovare i loro mariti in carcere, erano coinvolte in prima persona nella resistenza contro il regime. Il loro nome in codice era Las Mariposas. L’omicidio de “Le farfalle” ha scatenato una dura reazione popolare che ha portato nel 1961 all’uccisione di Trujillo e quindi alla fine della dittatura. La data è stata commemorata per la prima volta durante il primo Incontro Internazionale Femminista, che si è svolto a Bogotà, in Colombia, nel 1980. Da lì, il 25 novembre ha iniziato ad assumere un valore sempre più simbolico.
Simbolo di questa giornata sono anche le scarpe rosse. 
Vengono utilizzate dopo che, il 27 luglio del 2012, Elina Chauvet le utilizzò per la prima volta in un’installazione artistica pubblica davanti al consolato messicano di El Paso, in Texas, per ricordare le centinaia di donne uccise nella città messicana di Juarez.




Le donne che subiscono atti di violenza hanno un modo in più per parlarne e trovare aiuto: attraverso l’iniziativa “…Questo non è amore”. Il progetto, ideato e promosso dalla Direzione centrale anticrimine del Dipartimento della pubblica sicurezza, ha l'obiettivo di superare gli stereotipi e i pregiudizi per diffondere una nuova cultura di genere e aiutare le vittime di violenza a vincere la paura, rompendo la fitta rete di isolamento e vergona. Nei due anni della prima fase del progetto, a cui avevano aderito 22 questure, sono state quasi 80 mila le vittime di violenza che si sono rivolte alla Polizia.

Nel 2019 è partita l'ultima fase dell'iniziativa permanente alla quale hanno aderito tutte le questure che, con modalità diverse, nelle piazze e nei centri di aggregazione saranno a disposizione con materiale illustrativo e personale specializzato per dare informazioni e per raccogliere le testimonianze di chi, spesso, ha ancora esitazione a denunciare o a varcare la soglia di un ufficio di Polizia.

Per sensibilizzare l'opinione pubblica su una maggiore consapevolezza, per combattere la violenza sulle donne, il personale delle questure, oltre ad essere tra la gente con i camper e stand informativi, sarà nelle scuole e nelle università per incontrare gli studenti e parteciperà ai convegni per far emergere storie con risvolti non solo giuridici, ma anche culturali e sociali.

Il capo della Polizia Franco Gabrielli nella prefazione alla pubblicazione di “...questo non è amore 2019” che riporta l’analisi dei fenomeni criminali relativi alla violenza di genere e le iniziative messe in campo dalla Polizia di Stato per combatterli, ha scritto che una donna, vittima di violenza di genere si aspetta “Sicuramente protezione e indagini che portino presto ad aver giustizia, ma non solo. Una donna che è vittima di violenza si sente sola, prova vergogna, ha paura di ritorsioni per sé stessa e per i propri figli, si crede colpevole, teme di non essere creduta, di essere giudicata. Il poliziotto a cui chiede aiuto deve saper rispondere a questo dolore, consapevole che il più delle volte l’aggressore è una persona a cui la donna è legata da vincoli affettivi".

Tutto sull'iniziativa
(fonte: Polizia di Stato)

Ogni giorno in Italia 88 donne sono vittime di atti di violenza, una ogni 15 minuti. Vittime e aggressori sono italiani nell'80% dei casi. Il report della Polizia di Stato alla vigilia della giornata internazionale.

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Ecco gli ultimi dati diffusi da Istat e Polizia, insieme al commento di Lella Palladino, presidente di "D.i.Re - donne in rete contro la violenza"

«La violenza maschile sulle donne è democratica». A parlare è Lella Palladino, presidente di D.i.Re – donne in rete contro la violenza, la prima associazione italiana a carattere nazionale di centri anti-violenza non istituzionali e gestiti da associazioni di donne. Di violenza sulle donne e discriminazione di genere se ne parla, «male – sostiene la Palladino – ma sempre di più». L’ultimo report diffuso dalla Polizia di Stato Questo non è amore, con i dati aggiornati al 2019, parla di 88 vittime ogni giorno: una donna ogni 15 minuti.

Ma a che punto siamo culturalmente? A un paradosso, sembra. «Siamo di fronte a una contraddizione: da una parte l’orologio del tempo va avanti, dall’altra parte c’è il tentativo di azzerare tutto e tornare indietro. Si pensi solo al Congresso delle famiglie di Verona. Si cede ancora e sempre di più allo stereotipo della donna fragile, dimenticando – nella narrazione della violenza – che la violenza è volano per lo sfruttamento delle donne», dice la Palladino.



Nei giorni scorsi a Piacenza (il 26/11/2019) un centinaio di uomini ha sfilato in corteo contro la violenza sulle donne e per difendere la libertà delle donne di scegliere. “Libere di scegliere (uomini per le donne)” è infatti il titolo della manifestazione, più unica che rara, lo stesso slogan, “Libere di scegliere”, è stato ripreso anche nello striscione di apertura del corteo che ha visto anche la partecipazione di associazioni, sindacati e movimenti. “Le donne devono essere libere di scegliere: di uscire la sera vestite come si sentono, di interrompere una gravidanza, di dire no, di esprimere la propria opinione, di chiudere una storia”, ha commentato Manrico Maglia. “La violenza culturale si traduce poi in violenza verbale, psicologica e fisica. Anche le mamme devono insegnare ai figli maschi il rispetto già da piccoli”.
Il corteo degli uomini per le donne è stato sostenuto anche dal Movimento “Non Una di Meno” di Piacenza che ha partecipato “dando appoggio, condivisione e presenza . Gli uomini – si legge nella nota di “Non Una di Meno” – iniziano a prendere coscienza di un loro percorso che non sarà facile ma che dovrà essere personale e collettivo. Vogliamo il nostro spazio e per questo crediamo di essere coerenti quando affermiamo che voi dovete riflettere sul vostro decostruendo linguaggi che non vi appartengono . Le donne s’interrogano da secoli. Questo vuol dire che avete davanti un terreno non ancora battuto, una strada che se percorsa fino in fondo e con vera consapevolezza può fare la differenza. Ci piace quello che sta avendo inizio oggi e ci piacerà osservare il vostro cammino. Buona fortuna e buon inizio per una nuova vita”.

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Contro la violenza: 
come educare figli maschi rispettosi delle donne

La violenza sulle donne non ha nulla a che fare con la virilità.

In Italia oltre cento donne, ogni anno, vengono uccise da uomini, quasi sempre quelli che sostengono di amarle. È una vera e propria strage. Ai femminicidi si aggiungono violenze quotidiane che sfuggono ai dati ma che, se non fermate in tempo, rischiano di fare altre vittime: sono infatti migliaia le donne molestate, perseguitate, aggredite, picchiate, sfregiate.
Quasi 7 milioni, secondo i dati Istat, quelle che nel corso della propria vita hanno subito una forma di abuso.

Come pedagogista mi interrogo su cosa possono fare i genitori per educare i figli maschi al rispetto per le donne. Perché si può fare moltissimo e partendo fin da piccoli. Io sono convinto infatti che i problemi dell’educazione dei figli maschi, e non solo, siano due: l’eccesso di maternage e la forte presenza di carenza conflittuale.

Il discorso sull’educazione dei maschi comincia dai padri.

Normalmente si pensa che il tema della violenza sia connesso a quello dell’uomo macho. È vero l’opposto: gli uomini violenti hanno un deficit di virilità e di riferimento paterno. Il padre era sostanzialmente assente e ne hanno conosciuto solo il lato duro. Si è formato in loro un bisogno profondo di devozione e conferma che non hanno trovato da piccoli. Nel momento in cui non viene soddisfatto dalle loro partner femminili passano alla violenza. La virilità è un’altra cosa: è la capacità di farsi rispettare rispettando gli altri, è una fermezza profonda, un coraggio particolare nell’affrontare la vita. La sua genesi è educativa e i genitori possono fare molto.

Ritengo che le mosse giuste siano fondamentalmente due:

1. Liberare i bambini dall’eccesso di soffocamento materno 

Nella nostra società viviamo un eccesso di ruolo materno, di cura, di controllo. Le madri non liberano i propri bambini. Fuori dal lettone dopo i 3 anni; giù dal passeggino a 4 anni; via il pannolino a 2 anni; autonomia nelle pratiche di pulizia personale dai 5/6 anni. I bambini vanno liberati. So di madri che, per eccesso di controllo, curano l’igiene del figlio di 9 anni e lo tengono nel lettone con sé, e non si rendono conto di mantenere il proprio bambino in una situazione di ambiguità, anche un po’ morbosa, in cui il piccolo fatica a sviluppare autonomia e vive situazioni che posso anche essere fonte di umiliazione e frustrazione profonda. Il desiderio, poi, di eliminare la figura femminile può nascere anche da qui. Occorre che entri in gioco il padre: ma non il padre amicone, divertente, che non si oppone mai. Occorre il padre paterno, che mette limiti, che incentiva l’autonomia, che stimola l’esplorazione della vita e a far fatica. E, quando il padre non c’è, alla madre tocca anche questo ruolo paterno: crescere figli autonomi e responsabili, non bambini annoiati da tutto, con la vita facile e le difficoltà azzerate. Questo è un primo passo fondamentale: la virilità è una questione di argini, limiti e sponde.

2. Aiutarli a litigare bene

Poi c’è il tema della carenza conflittuale. Si tratta dell’incapacità di affrontare e gestire le difficoltà relazionali quando nascono. La violenza contro le donne non ha matrici passionali o amorose: è brutalità allo stato puro, incapacità totale di gestire le proprie reazioni emotive, volontà di possesso e di dominio assoluto, come se i corpi fossero una proprietà privata e potessero essere resi in schiavitù perpetua. Agli uomini violenti nessuno ha insegnato a litigare. Il litigio infantile è stato sostanzialmente represso e punito, con punizioni anche particolarmente violente e pesanti. Questo ha impedito, e può ancora impedire ai bambini di imparare a stare nelle contrarietà: non imparano ad ascoltare l’opinione degli altri; non imparano ad affrontare la divergenza; non imparano a tollerare un’opposizione alla propria volontà. In questo modo, sviluppano una profonda incapacità a relazionarsi nelle situazioni critiche e esplodono. Da qui la rabbia e la violenza. Meglio che imparino a litigare da piccoli, potranno sviluppare competenze preziose per il loro futuro di uomini adulti.

Perché è certo che un maschio cresciuto nel rispetto delle regole, nella soddisfazione dell’autonomia e nel riconoscimento delle ragioni altrui, difficilmente sarà violento con una donna. E sarà un maschio migliore.
(fonte: Centro PsicoPedagogico per l'educazione e la gestione dei conflitti, articolo di Daniele Novara)


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