"Un cuore che ascolta - lev shomea"
La formulazione esplicita della resurrezione dei morti appare per la prima volta nella Sacra Scrittura molto tardi: in Is 26,19 e in Dn 12,2 e raggiunge la sua formulazione più alta in Sap 3-5 e in 2Mac 7. Gli interlocutori di Gesù, i Sadducei, sono ricchi possidenti facenti parte dell'aristocrazia sacerdotale, accettano come libro sacro solo il Pentateuco, negano vi sia una resurrezione dei morti, l'esistenza dell'anima e quella degli angeli. Tutto si sviluppa e termina su questa terra dove Dio premia i buoni con una bella vita e distribuisce guai e sofferenze ai cattivi. Prendendo come pretesto le legge del levirato e rifacendosi ad una storia contenuta nel libro di Tobia (Tb 3,7-17), intendono coprire Gesù di ridicolo e, allo stesso tempo, smontare l'idea della resurrezione. Sarà Gesù, invece, a chiudere loro la bocca servendosi di un tipico ragionamento dell'esegesi rabbinica richiamandosi proprio alla Torah nella quale i sadducei affermano di credere. Gesù proclama solennemente che l'amore del Padre non si arresta davanti a nulla, nemmeno alla morte, in virtù della sua potenza e della sua promessa di vita. Se Dio rimane il «Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe» (Es 3,6) nonostante questi sono morti, ciò significa che necessariamente risorgono, perché altrimenti non sarebbe il Dio dei vivi, ma dei morti. Gesù però afferma con autorità, attraverso la più bella definizione su Dio, che il Padre non è il Dio dei morti, ma dei viventi. La fede stessa di noi cristiani trova il suo fondamento proprio nella resurrezione di Gesù, e Luca, che scrive per i credenti di origine ellenica e perciò poco inclini nel credere nella resurrezione, sente il bisogno di sottolinearlo. E con Luca, anche San Paolo tornerà con forza sul tema, affermando che «se Cristo non è risorto vana è la nostra predicazione e vana è anche la vostra fede» (1Cor 15,14)