LA MORTE DI DANIELE, CHE ORA È FIGLIO NOSTRO, COSÌ ASSURDA E STRUGGENTE
di Alberto Pellai
Ha rubato l'auto dei genitori e ha perso la vita a 16 anni. Gli amici che erano con lui, tutti illesi, hanno scoperto che la vita non è un videogioco. Alle mamme e ai papà dico: non finite mai di rompere le scatole su certe cose. E gli insegnanti, facciano lezione di quel che è successo.
Daniele ha 16 anni e molti amici. Frequenta la seconda superiore dai salesiani. Della vita ancora non sa tutto. E’ in quella fase della crescita dove una parte della mente continua a funzionare come quando si era in preadolescenza e si facevano un sacco di stupidaggini, così, solo per divertirsi. Un’altra parte della mente invece sta cominciando a maturare, a produrre pensieri da grande. E’ sabato sera e Daniele è insieme ai suoi amici. Gli viene un’idea: “che ne dite se prendo le chiavi dell’auto dei miei e ci facciamo un giro?”.
L’idea è quanto mai “balzana”. Gli amici dovrebbero rispondergli: ”Daniele sarebbe anche divertente, ma non lo possiamo fare. Tanti i motivi: tu hai solo 16 anni e non hai la patente. Salire in auto sarebbe la cosa più irresponsabile che potrebbe accadere. Inoltre, noi siamo in otto e la tua auto ha solo posto per cinque. Stiamo qui tutti insieme e continuiamo a farci qualche bella risata in allegria”
Purtroppo, di fronte all’idea balzana di Daniele, nessuno ha risposto così. Perciò otto ragazzi sono saliti su un’automobile guidata da un sedicenne che l’ha condotta in piena notte per una decina di chilometri, prima di uno schianto mortale. Ora Daniele non c’è più. In una notte piena di pioggia la sua idea si è trasformata in suicidio involontario e l’auto è andata a sbattere contro un ostacolo che l’ha ucciso sul colpo. Tutti gli altri amici, in auto con lui, ne sono usciti praticamente illesi. Oltre a qualche livido inevitabile sul corpo, ora avranno l’anima ammaccata e scopriranno in ritardo ciò che avrebbero dovuto sapere (e mettere in pratica) prima: la vita non è un videogioco. La morte quando arriva è per sempre e non può essere resettata come succede in un videogame, dove di vite ne hai quante ne vuoi e se muori in un incidente poi risorgi, come se niente fosse. Non conosco - e posso solo provare a immaginarlo - il dolore dei genitori di Daniele. Nessuna mamma e papà dovrebbero viverlo. Ma la vita accade e a volte quel dolore entra nelle nostre esistenze e non ci lascia più.
Conosco però abbastanza bene lo sconcerto dei ragazzi che hanno partecipato ad eventi prevenibili in cui si è verificato qualcosa di grosso e irrimediabile. Di fronte all’impossibilità di riavvolgere il nastro e rigirare la scena (eh no, ragazzi, la vita non è un film: non ve lo aveva mai detto nessuno?), molti comprendono nel tempo di un secondo che tutto ciò che hanno chiamato “rottura di scatole” fino al giorno prima, aveva invece un senso. Un senso assoluto e a volte infinito, come il dolore che deriva da una vita che si è persa ed è stata buttata via per aver deciso di fare una stupidaggine, proprio una di quelle cose per cui gli adulti da quando sei piccolo ti insegnano a “pensarci su” per evitare di compiere un errore che può rivelarsi irrimediabile e tragico. A noi genitori non posso che dire, di fronte a fatti così, di non smettere mai di essere dei grandi “rompiscatole”. La velocità e l’estemporaneità con cui i nostri figli possono mettersi seriamente nei pasticci, oggi è tale da costringerci ad avere una supervisione continua della loro crescita. Ai ragazzi che oggi piangono Davide, direi che questo è il modo più tremendo - ma ahimè più veritiero - con cui la Vita ti insegna che “Lei” (e la scrivo con l’iniziale maiuscola perché è ora che si insegni ad amarla e curarla con la serietà e la sacralità che le è degna) è una cosa seria, non può essere trattata come un giocattolo, che quando cade per terra e si rompe, poi si va al supermercato e si ricompra.
Infine, chiederei a tutti i docenti di usare questo caso di cronaca così doloroso e tragico, per aiutare i loro studenti a comprendere che in età evolutiva può davvero succedere che un ragazzo o una ragazza si facciano prendere da strane idee e decidano di mettersi in gioco in azioni pericolose, che potrebbero avere conseguenze irrimediabili. In quei casi, ovvero quando un adolescente sta per compiere la “peggior cosa del mondo”, il ruolo di chi gli sta intorno può fare davvero la differenza. “Nessuno si salva da solo” non è solo un modo di dire. Ed è fondamentale che il gruppo sappia funzionare come un vero “branco” che protegge le sue componenti più deboli. Forse è proprio questo ciò che manca ai nostri figli: la capacità di sottrarsi ad un pensiero sempre autoriferito, la capacità di alzare lo sguardo per avere una visione che va al di là del facile divertimento del qui ed ora. Perché ciò che adesso mi sembra irresistibile e incredibilmente divertente, tra soli dieci minuti potrebbe trasformarsi nella tragedia di cui domani parlerà tutta la nazione.
Stasera parlerò con i miei figli, affinchè da domani (se ancora non lo hanno imparato) si sentano responsabili sempre e comunque non solo di ciò che fanno loro, ma anche di ciò che di pericoloso e rischioso possono fare gli amici dei gruppi ai quali appartengono.
Un abbraccio forte e pieno di dolore e compassione ai genitori di Daniele. Che oggi sono madre e padre di tutti i nostri figli. Così infinitamente fragili.
(fonte: Famiglia Cristiana 18/11/2019)