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mercoledì 7 dicembre 2016

«Il Signore viene come un giudice che carezza, un giudice che è pieno di tenerezza» - Papa Francesco - S. Messa Cappella della Casa Santa Marta - (video e testo)


S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano
6 dicembre 2016
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m. 



Papa Francesco:
“Giuda e la pecora smarrita

Il «lieto annuncio del Natale» è che «viene il Signore con la sua potenza», ma soprattutto che quella potenza «sono le sue carezze», la sua «tenerezza». Una tenerezza che, come il buon pastore con le pecore, è per ognuno di noi: Dio non dimentica mai nessuno di noi, neanche se ci fossimo tragicamente «smarriti» come accadde a Giuda il quale, perso nel suo «buio interiore», è in qualche modo il prototipo, l’«icona» della pecorella della parabola evangelica.

Nell’omelia della messa celebrata a Santa Marta martedì 6 dicembre, Papa Francesco è entrato nel cuore di questo «lieto annuncio» di fronte al quale, si legge nella liturgia del giorno, siamo chiamati a «sincera esultanza». E «davanti al Natale — ha detto il Pontefice — chiediamo questa grazia di ricevere questo lieto annuncio con sincera esultanza e di rallegrarci», ma anche «di lasciare che il Signore ci consoli». Perché, si è chiesto, nella liturgia si parla anche di consolazione? Perché, è stata la sua risposta, «viene il Signore e quando viene il Signore tocca l’anima con questi sentimenti». Infatti «lui viene come un giudice, sì, ma un giudice che carezza, un giudice che è pieno di tenerezza» e «fa di tutto per salvarci». Dio, ha continuato «giudica con amore, tanto, tanto, tanto che ha inviato suo figlio, e Giovanni sottolinea: non a giudicare ma a salvare, non a condannare ma a salvare». Perciò «sempre il giudizio di Dio ci porta a questa speranza di essere salvati».

Andando più in profondità nella meditazione, il Papa ha preso come riferimento il vangelo del giorno, nel quale Matteo (18, 12-14) parla del buon pastore. Questo giudice «che carezza» e che viene «a salvare», ha detto Francesco, ha «l’atteggiamento del pastore: “Cosa vi pare? Se una delle sue pecore si smarrisce, non lascerà le 99 sui monti e andrà a cercare quella che si è smarrita?”». Anche il Signore, quando viene, «non dice: “Ma, faccio i conti e ne perdo una, 99... è ragionevole...”. No, no. Una è unica». Il pastore infatti, non possiede semplicemente 99 pecore, ma ne «ha una, una, una, una, una...»: cioè «ognuna è diversa». Ed egli «ama ognuna personalmente. Non ama la massa indistinta. No! Ci ama per nome, ci ama come siamo».

Seguendo il filo dell’analogia, il Pontefice ha spiegato che quella pecora smarrita il pastore «la conosceva bene», non si era persa, «conosceva bene il cammino»: si era persa «perché aveva il cuore smarrito, aveva il cuore malato. Era accecata da qualcosa interiore e, mossa da quella dissociazione interiore, fuggì al buio per sfogarsi». Ma «non era una ragazzata quella che ha fatto lei... È scappata: una fuga proprio per allontanarsi dal Signore, per saziare quel buio interiore che la portava alla doppia vita», a «essere nel gregge e scappare dal buio, nel buio». Ed ecco il messaggio consolatorio: «Il Signore conosce queste cose e lui va a cercarla».

È a questo punto che Papa Francesco ha introdotto un altro elemento nella sua meditazione: «Per me, la figura che più mi fa capire l’atteggiamento del Signore con la pecora smarrita è l’atteggiamento del Signore con Giuda. La pecora smarrita più perfetta nel Vangelo è Giuda». Egli infatti, ha ricordato il Pontefice, è «un uomo che sempre, sempre aveva qualcosa di amarezza nel cuore, qualcosa da criticare degli altri, sempre in distacco»: un uomo che non conosceva «la dolcezza della gratuità di vivere con tutti gli altri». E giacché questa “pecora” «non era soddisfatta», allora «scappava».

Giuda, ha detto il Papa, «scappava perché era ladro», altri «sono lussuriosi» e ugualmente «scappano perché c’è quel buio nel cuore che li distacca dal gregge». Siamo di fronte a «quella doppia vita» che è «di tanti cristiani» e anche — ha aggiunto «con dolore» — di «preti» e «vescovi». Del resto, anche «Giuda era vescovo, era uno dei primi vescovi...».

Quindi anche Giuda è una «pecora smarrita» ha concluso Francesco aggiungendo: «Poveretto! Poveretto questo fratello Giuda come lo chiamava don Mazzolari, in quel sermone tanto bello: “Fratello Giuda, cosa succede nel tuo cuore?”».

Si tratta di una realtà alla quale anche i cristiani di oggi non sono estranei. Perciò «anche noi dobbiamo capire le pecore smarrite». Infatti, ha sottolineato il Papa, «anche noi abbiamo sempre qualcosina, piccolina o non tanto piccolina, delle pecore smarrite». Dobbiamo quindi capire che «non è uno sbaglio quello che ha fatto la pecora smarrita: è una malattia, è una malattia che aveva nel cuore» e di cui il diavolo approfitta. Riprendendo il paragone usato in precedenza, il Pontefice ha ripercorso gli ultimi momenti della vita di Giuda: «quando è andato al tempio a fare la doppia vita», quando ha dato «il bacio al Signore all’orto», e poi «le monete che ha ricevuto dai sacerdoti...». E ha commentato: «non è uno sbaglio. Lo ha fatto... Era nel buio! Aveva il cuore diviso, dissociato. “Giuda, Giuda...». Perciò si può dire che egli «è l’icona della pecora smarrita».

Gesù, «il pastore, va a cercarlo: “Fa’ quello che devi fare, amico”, e lo bacia». Ma Giuda «non capisce». E alla fine, quando si rende conto di «quello che la propria doppia vita ha fatto nella comunità, il male che ha seminato, col suo buio interiore, che lo portava a scappare sempre, cercando luci che non erano la luce del Signore» ma «luci artificiali», come quelle degli «addobbi di Natale», quando capisce tutto questo, alla fine «si è disperato». Ed è quello che accade «se le pecore smarrite non accettano le carezze del Signore».

Ma c’è ancora un ulteriore livello di profondità al quale è scesa la riflessione del Papa. Il quale, facendo notare che «il Signore è buono, anche per queste pecore» e non smette mai di andare a cercarle», ha evidenziato una parola che ritroviamo nella Bibbia, «una parola che dice che Giuda si è impiccato, impiccato e “pentito”». E ha commentato: «Io credo che il Signore prenderà quella parola e la porterà con sé, non so, può darsi, ma quella parola ci fa dubitare». Soprattutto ha sottolineato: «Ma quella parola cosa significa? Che fino alla fine l’amore di Dio lavorava in quell’anima, fino al momento della disperazione». Ed è proprio questo, ha detto chiudendo il cerchio della sua riflessione, «l’atteggiamento del buon pastore con le pecore smarrite».

Ecco allora «l’annuncio» di cui si parlava all’inizio dell’omelia, «il lieto annuncio che ci porta il Natale e che ci chiede questa sincera esultanza che cambia il cuore, che ci porta a lasciarci consolare dal Signore e non dalle consolazioni che noi andiamo a cercare per sfogarci, per fuggire dalla realtà, fuggire dalla tortura interiore, dalla divisione interiore». Il «lieto annuncio», la «sincera esultanza», la «consolazione», il «rallegrarsi nel Signore» scaturiscono dal fatto che «viene il Signore con la sua potenza. E quale è la potenza del Signore? Le carezze del Signore!». È come il buon pastore che «quando ha trovato la pecora smarrita non l’ha insultata, no», anzi, le avrà detto: «Ma hai fatto tanto male? Vieni, vieni...». E allo stesso modo, «nell’orto degli ulivi» cosa ha detto alla “pecora smarrita”, Giuda? Lo ha chiamato «amico. Sempre le carezze».

Di fronte a tutto ciò il Papa a questo punto ha affermato: «Chi non conosce le carezze del Signore non conosce la dottrina cristiana. Chi non si lascia carezzare dal Signore è perduto». Ed è proprio «questo il lieto annuncio, questa è la sincera esultanza che noi oggi vogliamo. Questa è la gioia, questa è la consolazione che cerchiamo: che venga il Signore con la sua potenza, che sono le carezze, a trovarci, a salvarci, come la pecora smarrita e a portarci nel gregge della sua Chiesa».

La conclusione è stata, come di consueto, una preghiera: «Che il Signore ci dia questa grazia, di aspettare il Natale con le nostre ferite, con i nostri peccati, sinceramente riconosciuti, di aspettare la potenza di questo Dio che viene a consolarci, che viene con potere, ma il suo potere è la tenerezza, le carezze che sono nate dal suo cuore, il suo cuore tanto buono che ha dato la vita per noi».
(fonte: L'Osservatore Romano)

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