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giovedì 15 dicembre 2016

Ricordo di Giuseppe Dossetti, «fedele a Dio e al mondo», profeta dei nostri tempi.


Chi l’ha conosciuto vede nella sua «fedeltà a Dio e al mondo» (G. Bellia) uno dei paradigmi più eloquenti per interpretare la sua esistenza. Fedeltà nel senso di sponsalità in Cristo e nella Chiesa e per questo anche verso la storia, com’è detto nel salmo: «Di te si dicono cose gloriose città di Dio» (cf. Sal 87,3). Gerusalemme come madre di tutti i popoli, vale a dire cioè che chi è in Dio, abita la città degli uomini nella costante tensione fra memoria e profezia e diviene come una sorgente dalla quale si diffondono diversi fiumi. C’è un’universalità del pensiero di Dossetti che è difficile abbracciare prescindendo da questo suo percorso nuziale, una polisemia impossibile da declinare scindendo il cammino dell’uomo da quello del discepolo, e in ultima analisi un’armonia che stenta a risuonare enfatizzando un solo interludio perché c’è anche dell’altro e inoltre si sa, anche il silenzio è musica e fa parte dello spartito. 
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In conclusione, la fedeltà a Dio e al mondo consegnata alla storia lascia che Dossetti sia annoverato tra i sapienti e i profeti: «Sapienti, che con il loro gratuito servizio sanno custodire e accrescere il tesoro lasciato in eredità da altri» e profeti, «servitori vigili e fedeli che esplorano quel futuro di Dio verso cui uomini e società sono incamminati». Dossetti cioè annoverato tra quei sapienti e profeti che «con la loro fede sofferta e perseverante, scrutando come sentinelle nella notte il disegno di Dio, ne scandiscono i tempi e ne orientano il senso». (Bellia, «Servi di chi. Servi perché», 162).

Vent’anni dalla scomparsa di don Giuseppe Dossetti, padre e ispiratore fecondo di una certa idea di cattolicesimo democratico che, con l’andar del tempo, si è sempre più sbiadita, fino quasi a esaurirsi, specie dopo la scomparsa di Leopoldo Elia, avvenuta nel 2008, e che oggi vive, tuttavia, ai massimi livelli istituzionali grazie alla saggezza e alla profondità di pensiero e d’analisi del presidente Mattarella.
Vent’anni senza un uomo che seppe essere grande tanto nella vittoria quanto nella sconfitta, battagliero e rispettoso al tempo stesso, in grado di concepire la politica non solo come un servizio, frase viepiù abusata, fin quasi a diventare stucchevole, ma proprio come un dovere morale e civico di ogni cittadino.
Vent’anni e ritornano in mente i suoi insegnamenti, la sua lezione etica, il suo profilo e quell’idea, antica e modernissima, che la politica debba germogliare nel grembo della società, nell’animo di ciascuno di noi, nei nostri sogni, nelle nostre speranze, nella pienezza dei nostri valori e delle nostre azioni, riprendendo il concetto socratico della maieutica e trasferendosi poi, in base al principio della rappresentanza, nell’ambito delle istituzioni repubblicane.
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Diciamo che, per inquadrare Dossetti, dobbiamo aver presenti due figure mirabili del nostro panorama cattolico e spirituale: il cardinal Martini e padre Turoldo. Dossetti si colloca a metà fra i due, con la bussola della comunità e l’amore per la Terrasanta del primo e la passione e l’impegno politico del secondo
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Vent’anni e un vuoto incolmabile, eppure, rileggendo la sua biografia, ti vien voglia di amare la politica, di dimenticare come è stata ridotta e di riscoprirne l’infinita bellezza. E allora comprendi l’immortalità di un idealista che non si è mai arreso.

Il primo film su Giuseppe Dossetti
Quanto resta della notte